18 dicembre 1299 – Papa Bonifacio VIII premia i Malatesta e sogna la pace universale
18 Dicembre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Papa Bonifacio VIII (nell’immagine in apertura) con suo Breve del 18 dicembre 1299 concede in feudo a Malatesta da Verucchio e a suoi discendenti «dietro annuo canone di soli due soldi – come scrive Luigi Tonini – i possedimenti tutti, che stati erano di Bernardo del fu Guido da Monticolo de’ Bandi da Pesaro; perchè colui in pena di aver aderito ai Cardinali deposti Pietro e Giacomo Colonna, e d’aver loro prestato in Pallestrina servitù e ajuto, era stato spogliato, n’era venuta in piena proprietà la Camera Apostolica. Lo che fu concesso a Malatesta espressamente in gratificazione della sincera fede e costante divozion sua alla Chiesa».
Quali siano questi possedimenti non viene specificato; i conti Bandi, o Bandoni, detenevano diversi piccoli castelli fra le colline pesaresi – il più importante, Montecchio (Monticolo) – e la parte meridionale della diocesi di Rimini. Da sempre nell’orbita riminese, ascritti alla nobiltà cittadina, il loro palazzo esisteva ancora a fine ‘700, in corso d’Augusto di fronte a quello dei Valloni (l’odierno cinema Fulgor); ospitavano fondaci degli Ebrei poi saccheggiati dagli “Insorgenti” ultra-cattolici di paron Federici, detto “il Glorioso”.
Al volgere del secolo, il trionfo di Bonifacio e della parte Guelfa pare completo. Solo per restare dalle nostre parti, i Ghibellini più in vista, cioè quelli dei Montefeltro, sono tutti scomparsi. Morto il conte Guido, il capo più prestigioso, l’anno prima in Ancona in abito da penitente francescano e dopo essersi sottomesso alla Chiesa. Trucidato il cugino Corrado, conte di Pietrarubbia, fatto a pezzi dai suoi stessi sudditi insieme a un figlio, alle sorelle e a un fratellastro, dopo aver acmbiato bandiera più volte. E l’anno dopo morirà anche Galasso da Secchiano, l’altro cugino di Guido che aveva abilmente tenuto in pugno Cesena.
Ora si può pensare alla pacificazione generale e per l’anno 1300 papa Bonifacio indice il primo Giubileo nella storia della Chiesa. Manda in Romagna il cardinale Matteo d’Acquasparta, francescano, con il compito di sistemare tutte le questioni in sospeso nello spirito della riconciliazione. Lo stesso prelato inviato a Firenze per mettere pace fra le fazioni (entrambe guelfe) dei Bianchi e dei Neri, in realtà parteggiando sfacciatamente per i secondi. Un’opera di “mediazione” che si concluderà con la disfatta dei Bianchi e l’esilio dei loro maggiori esponenti, compreso Dante Alighieri.
Ma al bastone bisogna alternare la carota. Ed è così, stando al Clementini, che il vecchio Malatesta da Verucchio (ha 87 anni e gliene restano da vivere ancora 13) viene convinto ad accogliere come cittadini di Rimini un buon numero di ex-nemici: proprio dei fuoriusciti fiorentini di parte Bianca. Famiglie guelfe che una volta cacciate si erano dovute rifugiare presso i Ghibellini, dai forlivesi Ordelaffi ai Della Faggiola con il loro piccolo ma strategico feudo di Casteldelci e perfino dagli odiatissimi aretini. Ma perchè, si sarà domandato il pontefice, consegnare tanti alleati al nemico? Se invece ripensano alla loro posizione politica, allora possono conservare almeno parte dei loro beni e diventare anche rispettati notabili. Magari non nella loro patria, ma per esempio in quella Rimini ormai guelfa e malatestiana. Fra quelle che accettano la “clemenza” papale, Clementini cita le famiglie Agolanti, Perici, Arnolfi, Adimari, Sacchi e Caponsacchi. In realtà pare che almeno alcuni rami di queste casate avevano dovuto attecchire nell’esilio riminese molto tempo prima, ai tempi della grande cacciata dei Ghibellini da Firenze del 1251.
Non è comunque così per l’ex priore di Firenze Durante degli Alighieri. Condannato a morte in contumacia, distrutti o derubati i suoi averi, a Dante, sconfitto su tutta la linea, non resta che la poesia. E nell’aprile del 1300 «ebbe supposto il misterioso suo viaggio», durante il quale, come si legge nel canto XXVII dell’Inferno, descrive la situazione politica romagnola proprio al Conte Guido di Montefeltro:
Romagna tua non è, e non fu mai,
sanza guerra ne’ cuor de’ suoi tiranni;
ma ’n palese nessuna or vi lasciai.
Ravenna sta come stata è molt’anni:
l’aguglia da Polenta la si cova,
sì che Cervia ricuopre co’ suoi vanni.
La terra che fé già la lunga prova
e di Franceschi sanguinoso mucchio,
sotto le branche verdi si ritrova.
E ’l mastin vecchio e ’l nuovo da Verrucchio,
che fecer di Montagna il mal governo,
là dove soglion fan d’i denti succhio.
Le città di Lamone e di Santerno
conduce il lïoncel dal nido bianco,
che muta parte da la state al verno
E quella cu’ il Savio bagna il fianco,
così com’ella sie’ tra ‘l piano e ‘l monte,
tra tirannia si vive e stato franco.
Il trionfo di Bonifacio dura però molto poco. L’8 settembre 1303 subisce il celebre oltraggio di Anagni: a schiaffeggiarlo è Sciarra Colonna, fratello di uno dei due cardinali deposti. Arrestato, liberato a furor di popolo ma terribilmente scosso dall’umiliazione subita, muore poco più di un mese dopo. Dopo il breve pontificato del trevisano Benedetto XI, con i successori francesi Clemente V e Giovanni XXII, completamente controllati dal re Filippo IV “il Bello”, la sede apostolica si sposta ad Avignone. La Chiesa sta pagando un prezzo carissimo per l’essersi appoggiata alla Francia contro gli imperiali. E la ruota della storia torna a girare.