HomeCulturaQuegli anarchici di Santarcangelo che tutti volevano dietro le sbarre


Quegli anarchici di Santarcangelo che tutti volevano dietro le sbarre


17 Settembre 2018 / Paolo Zaghini

Paolo Pasi: “Antifascisti senza patria” – Eleuthera.

L’Autore, il giornalista del TG3 Paolo Pasi, presenterà il volume “Antifascisti senza patria” sabato sera 22 settembre, alle ore 21.00, presso il caratteristico ritrovo “Bottega Giorgetti” (in Via Verdi 23) a Santarcangelo di Romagna. La presentazione è organizzata dal Comune di Santarcangelo di R., dall’Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea della Provincia di Rimini e dall’ANPI nell’ambito degli eventi per ricordare il 74° anniversario della Liberazione di Santarcangelo di R. dal nazifascismo.

Nel libro Pasi racconta le vicende degli 800 confinati antifascisti nell’isola di Ventotene e quelle, fra questi, dei 150 anarchici che alla caduta del fascismo, tra il 25 luglio e l’8 settembre 1943, che invece di essere liberati vennero nuovamente rinchiusi in un altro campo di concentramento, quello di Renicci d’Anghiari (Campo 97) vicino ad Arezzo. Tra questi anche tre santarcangiolesi, i fratelli Girolimetti (Mario nato nel 1902, Carlo nel 1907 e Ferruccio nel 1904).

Non è un libro di storia, ma è un racconto corale che ha le sue basi nelle vicende vere di questi “antifascisti non conformi” che alla caduta di Mussolini reclamarono la liberazione dal confino a Ventotene. Il governo Badoglio li tratterà ancora come nemici dello Stato ed invece di liberarli li relegherà, dopo esse stati gli ultimi a lasciare Ventotene, nel famigerato Campo 97 assieme ad altre migliaia di prigionieri di guerra, per lo più slavi (sloveni, croati, serbi, albanesi, macedoni), in condizioni di vita durissime. Unica speranza: evadere. Ed è quello che faranno poche ore prima dell’arrivo delle truppe tedesche dopo l’8 settembre quando queste occuperanno l’Italia.

E’ in questa cornice storica che Pasi inquadra le vicende personali di diversi antifascisti italiani e stranieri, di cui con pazienza certosina ha raccolto informazioni, notizie, documenti d’archivi. Non di quelli più noti che nel dopoguerra fecero poi la storia d’Italia (Sandro Pertini, Luigi Longo, Altiero Spinelli, Camilla Ravera, Giuseppe Di Vittorio, Umberto Terracini), ma di quelli che umilmente e con grande coraggio rifiutarono il fascismo, resistettero alla dittatura, si batterono per la libertà degli italiani e combatterono per l’ideale anarchico. Fra questi il triestino Umberto Tommasini, il piacentino Emilio Canzi, il reggiano Enrico Zambonini, i santarcangiolesi fratelli Girolimetti, il siracusano Alfonso Failla, la napoletana Emilia Buonacosa e tanti altri. Molti di questi furono in Spagna e combatterono, oltre che contro i franchisti, anche tra di loro.

Ma il confino fascista li riunì tutti assieme, e a stretto contatto si trovarono liberali, giellisti, socialisti, comunisti e anarchici. L’esito della fuga ebbe risultati diversi: chi venne ricatturato e mandato a Mauthausen, chi entrò nelle file della Resistenza e morì combattendo, chi si nascose e basta.

Pasi disegna i profili di questi antifascisti anarchici, ne tratteggia le biografie, ne immagina i pensieri e le discussioni, ne descrive le speranze e le delusioni. Con la penna del narratore mette in scena le loro storie.

Scriveva nel 1938 Gaetano Salvemini nella Prefazione al volume di Carlo Rosselli “Oggi in Spagna, domani in Italia”: “I fascisti hanno nelle mani tutte le leve di comando. Il loro tribunale speciale ha condannato tremila persone a trentamila anni di galera, e tremilaseicento persone aspettano in carcere di passare sotto il mulino delle condanne. La loro polizia ha mandato al confino seimila persone, ha messo sotto sorveglianza speciale dodicimilasettecento persone, ha diffidato quarantamila persone. Nessuna opposizione può organizzarsi in un paese in cui nessuno può parlare d politica ad un suo vicino senza sospettare il suo vicino. Eppure i fascisti non si sentono sicuri del domani …”.

Il confino per gli antifascisti: “Per loro Mussolini si è inventata questa forma di reclusione, per la quale non è necessario aver commesso specifici reati. Basta una generica forma di pericolosità sociale e politica. Il confino è una misura cautelativa di repressione basata sull’imperativo ‘isolare e punire’”.

Storie terribili e gloriose quelle dei confinati anarchici: “Ci sono quelli che sono stati in Spagna a combattere i falangisti di Franco e i loro camerati italiani e tedeschi. I più hanno fatto parte del gruppo italiano della colonna Ascaso, hanno cercato di praticare l’anarchia tanto in prima linea quanto nelle retrovie. Nessuna gerarchia militare, Barcellona come laboratorio di autogestione. Hanno vissuto le suggestioni libertarie che si sono poi infrante contro i bombardamenti fascisti e gli agguati dei comunisti ortodossi, conformi alle prescrizioni di Stalin. Hanno conosciuto Camillo Berneri, tra le menti più raffinate e colte dell’anarchismo italiano, ammazzato a Barcellona dai sicari di Mosca. Hanno respirato l’aria di libertà per poi ripiegare nell’esilio oltre la linea di confine dei Pirenei, a subire la detenzione ‘democratica’ nei campi di internamento in Francia. Condizioni di vita proibitive e dure. Poi lo scoppio della guerra, l’occupazione dei tedeschi, il ritorno coatto in Italia”.

Dei fratelli santarcangiolesi Girolometti ne abbiamo parlato recentemente all’interno dell’articolo dedicato ai garibaldini riminesi in Spagna. Ma Pasi ne fa un racconto più ampio di queste vite: “Tra i compagni di confino di Zambonini ci sono tre fratelli, Mario, Carlo e Ferruccio Girolimetti, che ha conosciuto in Belgio quando la fame, il lavoro sottopagato e la fuga dai controlli di polizia facevano da sottofondo all’esilio. I Girolimetti vengono da Santacangelo di Romagna, figli di una famiglia numerosa e ostile ai fascisti, perseguitata a suon di manganellate e minacce: due sorelle e cinque fratelli in tutto, uno dei quali morto in manicomio, a Imola, dopo i pestaggi degli squadristi. A parte la madre Anna, rimasta n Romagna, i Girolimetti si sono sparpagliati per l’Europa sul finire degli anni Venti”.

“Curiosi e spavaldi, espansivi e chiacchieroni, i tre fratelli Girolimetti hanno aperto a Ventotene una bottega di ciabattini”. “Dopo la fuga da Renicci, Mario, Carlo e Ferruccio Girolimetti riuscirono a raggiungere la Romagna e si unirono ai gruppi partigiani della zona. Nel dopoguerra Mario e Ferruccio tornarono a Santarcangelo e parteciparono alla riorganizzazione del movimento anarchico decimato dal fascismo”.

Ma negli anni successivi tornarono tutti, ancora una volta, a lavorare in giro per l’Europa. Ferruccio morì nel 1968, Mario nel 1982 e Carlo nel 1997.

Pasi, alla fine, ci avvisa: “Sulle vite dei protagonisti ci sono buchi neri e zone misteriose che è stato necessario colmare con l’immaginazione. Ho cercato di evitare che la parte romanzesca intaccasse la realtà storica, e se sono incorso in inesattezze spero non siano state tali da stravolgere il senso della storia corale”. Tranquillo Pasi, quello che hai scritto è un bel libro che vale la pena di leggere.

Paolo Zaghini