Veniero Accreman: “La cultura & il diritto – In appendice Due arringhe malatestiane” Guaraldi Editore.
Sono già passati tre mesi dalla scomparsa di Veniero Accreman il 27 dicembre 2016. Aveva compiuto da qualche settimana 93 anni (era nato a Rimini il 23 novembre 1923).
Veniero negli ultimi anni aveva pubblicato due volumi: “Le pietre di Rimini” (Capitani, 2003) ambientato nel periodo della Resistenza; la raccolta di saggi “La morale della storia” (Guaraldi, 2013).
Il terzo libro “La cultura & il diritto” (Guaraldi, 2016) doveva essere presentato in occasione del suo compleanno, ma il ricovero in Ospedale lo ha impedito.
Prima di parlare di questa sua ultima opera vorrei però ricordare le diverse volte in cui ho tentato, come Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza, di spingerlo a scrivere della Rimini del dopoguerra, della sua vita politica e amministrativa, senza però mai riuscire a convincerlo. Con gentilezza, ma anche con fermezza, mi rispondeva sempre che non ne valeva la pena. Oggi, caro Veniero, sono ancora più che mai convinto che invece avremmo avuto bisogno di queste tue pagine per capire meglio tante vicende riminesi dal dopoguerra ad oggi, del tuo ruolo e quello di tuoi amici carissimi. Ci rimane il grande rimpianto di una occasione perduta.
In questo suo ultimo volume invece Veniero affronta due temi: “Identità e destino di ‘Homo Sapiens’” e “L’avvenire del diritto penale”. Ci concentriamo sul primo capitolo, perché in queste poche pagine Accreman ci racconta le sue scelte di vita, il suo pensiero filosofico, e ci manda il suo saluto finale (quasi avesse sentito che la fine era ormai vicina).
“Ho creduto nel comunismo e nella democrazia. Essere legislatore mi ha sempre riempito di entusiasmo”. Nel corso delle tre legislature in cui fu parlamentare (dal 1963 al 1976) Accreman, oratore straordinario, intervenne 90 volte e firmò 22 progetti di legge.
“Chi non si è mai chiesto: qual è il senso del nostro vivere?” La risposta nasce da questa affermazione: “più cresce il sapere, più l’orizzonte diventa ampio”. “Al contrario dell’evoluzione biologica – che è lentissima – la Cultura evolve con rapidità straordinaria. Nel ventesimo secolo la crescita è stata vertiginosa. Le basi di tale crescita sono il sapere scientifico e l’innovazione tecnologica, che ne è figlia”. Sulla base della Cultura Accreman ha un moto di rifiuto netto, e parole durissime, verso l’Islam: “L’Islam ha una riserva enorme di uomini, che peraltro vivono in un involucro di incultura assoluta. La cultura dell’Islam consiste solo nella conoscenza di alcuni versetti del Corano, che promettono il Paradiso a chi uccide gli infedeli”. Sono certo che queste poche affermazioni (ma nel libro ce ne sono altre di questo tenore), lui vivo, avrebbero dato vita ad un dibattito serrato e, forse, feroce. Ma Veniero non si sarebbe certamente tirato indietro.
E ancora: “Il nostro Pensiero – nel XX secolo – ha accumulato più conoscenze che in tutta la Storia precedente. Siamo gli artefici del nostro Destino con ogni atto che compiamo. Siamo l’unica specie che ha creato civiltà”. “La nostra Storia ha conosciuto e conosce crudeltà, sofferenze, superstizioni. Ma solo noi Umani abbiamo attribuito un valore all’Individuo: solo noi godiamo della Bellezza della Natura; solo noi proviamo compassione per i nostri simili. Solo noi riconosciamo il Male nella sofferenza dell’innocente; e riconoscere quel Male ci dà la vertigine”.
E conclude, lanciandoci il suo ultimo saluto: “And now? Posso guardare dentro di me senza imbarazzo. Non ho commesso grandi viltà. Mi hanno sempre indignato l’ingiustizia, la falsità, il servilismo; non ho mai sopportato la gioia immonda. Quando ho potuto, ho dato il pane all’affamato e vestito l’ignudo”. Un addio laico, da pensatore stoico cosciente del ruolo svolto e della fragilità umana. Il voto che si è assegnato alla fine per l’insieme della sua vita è “Sufficit”, sufficiente.
Alla fine dei due saggi, due “chicche”: le due arringhe malatestiane pronunciate nel corso del processo a Sigismondo Malatesti (l’1 settembre 2006 alla Rocca Malatestiana), in cui Veniero svolse il ruolo del difensore del Signore di Rimini contro il suo acerrimo nemico Papa Pio II. Il voto del pubblico presente (quasi mille persone) diede ragione a Veniero e assolse Sigismondo (800 voti contro 200). Invece nel processo a Gianciotto (il 22 maggio 2010 nella Sala de L’Arengo), accusato dell’uxoricidio di Francesca e di fratricidio di Paolo, la difesa svolta da Veniero non fu sufficiente a vincere e Gianciotto venne condannato ai lavori forzati. Due divertissement storici, ma in cui emergono con grande rilevanza la grande cultura classica e storica di Veniero e la sua arte giuridica, oltre che la sua abilità oratoria. L’uomo Accreman era tutto questo. Ed è per questo che già oggi manca alla Città, e probabilmente ancora di più questa sua assenza si avvertirà nel prossimo futuro.
Paolo Zaghini