1 marzo 1507 – Papa Giulio II a Santarcangelo
1 Marzo 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Il 1 marzo 1507 papa Giulio II, “reduce dall’impresa di Bologna” e sulla via di Roma, pernotta a Santarcangelo. Non può andare a Rimini perché la città dal 1504 appartiene a Venezia. E di ciò è molto scontento.
Le cronache di Papa Della Rovere assomigliano più a quelle di un condottiero piuttosto che di un pontefice. “L’impresa di Bologna” è stata la riconquista della città manu militari, strappandola alla signora dei Bentivoglio per riportarla all’obbedienza di Roma. Il Papa vi ha preso parte di persona, indossando la corazza. Ma ora, dopo che già Cesare Borgia, sotto il suo predecessore Papa Alessandro VI, aveva spazzato via tutti i signorotti di Romagna, Marche e Umbria, Malatesta compresi, c’è ancora del lavoro da fare. Venezia si è infatti impadronita di Faenza, Ravenna, Cervia e Rimini. Un boccone che per la Serenissima deve diventare indigesto, medita il collerico Papa.
Fin qui era andato tutto bene. Suo nipote Francesco Maria Della Rovere, figlio di una Montefeltro, nel 1504 era stato designato da Guidobaldo, ultimo della dinastia, a succedergli come Duca d’Urbino.
Poi il controllo centrale della Santa Sede viene imposto anche dove era stato solo teorico con una brillante campagna militare. Nel 1506 le forze armate pontificie sono riuscite ad entrare a Perugia e poi appunto a Bologna, abbattendo le “libere” signorie. A Forlì il pontefice sa imporre la pace tra guelfi e ghibellini, perchè le fazioni ancora così si autodefiniscono. Durante la visita in città vuole assistere alla collocazione della pala di Marco Palmezzano, La comunione degli apostoli, sull’altare principale della Cattedrale cittadina. Perché Giulio II passerà alla storia come grandissimo amante dell’arte e protettore dei maggiori maestri del Rinascimento italiano, a iniziare da Bramante, Raffaello e soprattutto Michelangelo, con cui ha epici scontri.
Giulio II appronta dunque un piano per estromettere i Veneziani dalla Romagna. Trovando impossibile spuntarla sul Doge con le sue sole armi, men che meno con la sola autorità spirituale, nel 1504 favorisce un’unione degli interessi da sempre contrastanti di Francia e Impero per far concludere tra loro un’alleanza contro la Serenissima. Ma inizialmente il patto non sembra sortire effetti, mentre gli abili Veneziani, per dimostrare di non volere loro la guerra, cedono alcuni castelli romagnoli; pochi però e poco importati, tenendosi i bocconi più grossi: Ravenna, Cervia, Faenza e Rimini.
Nel 1508 Giulio II ci riprova in grande; questa volta riesce a far entrare nell’alleanza i Duchi di Savoia, Ferrara e Mantova, Luigi XII di Francia, l’Imperatore Massimiliano I d’Asburgo e anche Ferdinando II d’Aragona, il Re Cattolico di Spagna che sta a dismisura crescendo in potenza dopo la scoperta dell’America: è la famosa Lega di Cambrai. Come mai tanta concordia fra chi si è sempre combattuto senza di risparmio? E’ bastato far balenare a tutti un obiettivo di solare semplicità: annientare Venezia per sempre e spartirsi le sue spoglie. Cioè quelle dello stato che in quel momento è forse il più ricco d’Europa. Nella primavera dell’anno seguente la Repubblica viene posta sotto interdetto. Nella battaglia di Agnadello Venezia viene disastrosamente sconfitta dall’esercito della Lega (nella quale prevalgono i Francesi) e rischia davvero di perdere tutti i domini di terra.
Il Papa però cambia idea. Ripresosi Rimini e Cervia nel 1509, gli appetiti dei sovrani possono aspettare, mentre i suoi aumentano: adesso vuole Ferrara, anche perché quegli Estensi così amici dei Francesi non li sopporta più. Nel 1510 i Veneziani vengono assolti e il bando papale si abbatte invece sulla Francia, che ha il torto di essersi ritrovata praticamente padrona del nord Italia. Contro re Luigi viene scagliata la Lega Santa alla quale nel 1511 aderiscono il volubile Enrico VIII d’Inghilterra, l’estroso Imperatore Massimiliano, il cauto e implacabile re Ferdinando, gli indomiti Cantoni svizzeri e, appunto, l’ormai redenta Repubblica di Venezia.
Lo scontro finale avviene l’11 aprile 1512 a Ravenna. Un massacro. Fra morti e feriti cadono forse in 10 mila, anche per via delle nuovissime artiglierie del Duca Alfonso I d’Este che, secondo quanto si disse, sebbene alleato dei Francesi avrebbero sparato imparzialmente nel mucchio poiché, secondo il ferrarese, “Sono tutti stranieri nemici degli italiani”. Teoricamente sul campo vincono i Francesi e i cannoni del Duca; ma, anche grazie al loro fuoco amico, le truppe di Luigi XII sono talmente stremate che devono ritornarsene in patria. Lungo la strada prendono una batosta dai terribili Svizzeri a Novara, poi nella stessa Francia anche dagli Inglesi nella “battaglia degli speroni” a Guinegatte. L’influenza francese in Italia è finita.
Magra soddisfazione per il Papa. Il sogno “cesareo”di Giulio II era già finito prima della sua morte, avvenuta nel febbraio del 1513 senza riuscire a rendere lo Stato della Chiesa egemone in Italia e in Europa. Di quel sogno restano però le opere degli artisti che dovevano celebrarne la gloria, uno dei patrimoni più preziosi mai prodotti dall’umanità.