10 aprile 1848 – Addio mia bella addio! I riminesi alla prima guerra d’Indipendenza
10 Aprile 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Il 10 aprile 1848 partono da Rimini le prime due compagnie di volontari della Guardia Civica. Si uniranno alle colonne dell’esercito pontificio che va a combattere assieme ai Piemontesi di re Carlo Alberto contro gli Austriaci.
Fra gli stati italiani che hanno aderito alla coalizione, quello della Chiesa, sebbene Papa Pio IX sia contrario, è il primo a inviare aiuti militari al sovrano sabaudo; comprendono una prima divisione regolare (circa 7.500 uomini, organizzati in quattro reggimenti di fanteria italiana, reggimenti svizzeri, due reggimenti di cavalleria, tre batterie da campagna, due compagnie del Genio ed una di artificieri) al comando del piemontese Giovanni Durando, e una seconda divisione (circa 3.000 uomini) composta da appartenenti alla Guardia Civica Mobile e da volontari agli ordini del repubblicano Andrea Ferrari. Quest’ultimo promuove fra le colonne un canto che poi resterà quello dei volontari romagnoli e del centro Italia:
«Bianchi e rossi color di pomodoro
morte a Radesky, evviva Pio IX
zitti, silenzio, che passa la ronda
zitti, silenzio e chi va là
evviva Carlo Alberto e la guardia nazional».
Il corpo d’armata entra nel Lombardo-Veneto dalla Legazione pontificia di Ferrara.
Ecco come Carlo Tonini ricostruisce gli avvenimenti e racconta la partenza dei soldati riminesi:
“La rivoluzione avea già rovesciato il trono imperiale nella stessa Vienna. Le cinque gloriose giornate di Milano e la insurrezione di Venezia aveano costretti gli Austriaci ad abbandonare la maggior parte del Lombardo-Veneto, e il solo Maresciallo Radetzcki, tuttoché cacciato da Milano, non avea del tutto disperato delle cose. I liberali dello Stato pontificio, avendo ottenute le armi per mezzo della guardia civica, e tutto quasi alle lor mani il governo mediante la Costituzione (onde anche fra noi fu fatta una festa con solenne Te Deum nel Duomo), levarono il grido guerriero, e col maggior entusiasmo si apprestarono a marciare verso il Po, non ostante che il Pontefice vi si opponesse, adducendo che qual padre di tutti i fedeli a nessun di essi poteva egli, senza legittima cagione, far guerra”.
“Il nostro Comune già fin dal gennaio 1848 avea fatta al governo l’offerta di ottocento fucili per la Guardia civica. Nel marzo aperse gli arruolamenti pei volontarii, e questi in numero di 478 alli 10 d’aprile si partirono, avendo le paghe dal Comune per quindici giorni”.
“Cominciarono nello stesso tempo a passare le truppe pontificie e le civiche provenienti da Roma per concentrarsi a Ferrara. Due giorni appresso alla partenza dei nostri, ossia il 12 di aprile sul mezzodì, giunse una parte della Legione romana; 1200 uomini con mezza batteria; tutti colla croce tricolorata al petto. Doveva arrivare la sera; ma anticipò per non essersi fermata a Pesaro, ove i furieri temettero di cattivo ricevimento. Fu incontrata al Terzo dalle Deputazioni della Magistratura e del Clero, dallo stato maggiore della Civica e dai militi di essa in divisa senz’armi, dai Seminaristi condotti dal predicatore del Duomo (un Padre Domenicano) e da buon numero di dame condotte dalla liberalissima géntildonna cesenate Lucrezia ved. Felici vestita all’italiana, come ella soleva, con cappello nero e largo a piume, la quale presentò al Colonnello una bandiera”.
Le vicende del corpo d’armata pontificio del generale Durando rappresentano un capitolo a parte, poco raccontato, della prima guerra d’Indipendenza. Una lunga serie di battaglie che si svolsero in per lo più in Veneto, a Montebelluna, Cornuda, Vicenza, Verona, passando per l’insurrezione del Cadore e le vittorie di Goito e Peschiera, fino alla conquista austriaca di Vicenza che segnò la fine della campagna.
Il 10 giugno, dopo la resa della città, gli austriaci permisero ai suoi difensori di ritirarsi a sud del Po, a patto di non combattere più per tre mesi. Il giorno dopo, circa 9.000 soldati pontifici lasciavano il campo. Nel solo assedio di Vicenza gli italiani lamentarono 293 morti e 1.665 feriti; gli austriaci avevano avuto 141 morti, 541 feriti e 140 dispersi.
I caduti riminesi della campagna, ricordati nella lapide sotto il portico del Comune di Rimini, furono sette: Giulio Arlotti, Andrea Bellabarba, Giovanni Bucchi, Vincenzo Grossi, Luigi Lanfranconi, Francesco Legnani, Gaetano Perazzini.