10 giugno 1940 – L’Italia dichiara la guerra, tutti nelle piazze a sentire Mussolini
10 Giugno 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Il 10 giugno 1940, lunedì, a Rimini è una giornata calda. Fin dalle prime ore del mattino si dice per le strade che Benito Mussolini alle 18 parlerà agli Italiani. Tutti sanno già perché.
Ecco come ricostruisce quella giornata Antonio Montanari in Riministoria:
«Sui tavoli dei caffè, gira la Gazzetta dello Sport che racconta in prima pagina: “Il coscritto Fausto Coppi è il vincitore del 28° Giro d’Italia che, nel doppio segno della giovinezza e della tradizione, ha recato alle folle sportive d’Italia la testimonianza della gagliardia e della serenità della Patria in armi”. Tutti i Salmi finiscono in Gloria. Il foglio sportivo è l’unica cosa rosea di quel giorno.
Alle 18, Mussolini si affaccia al balcone di Palazzo Venezia a Roma per parlare alla nazione: “Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente!”.
«La radio trasmette il discorso del duce (settecento parole), in tutte le piazze del Paese e davanti alle sedi del partito fascista. Donna Rachele è da una settimana al mare a Riccione, con i figli piccoli. Bruno è militare, Vittorio non ha dato notizie di sé».
«Galeazzo Ciano, ministro degli esteri e genero del Duce, annota nel suo Diario: “La notizia della guerra non sorprende nessuno e non desta eccessivi entusiasmi. L’avventura comincia. Che Dio assista l’Italia”».
«Molta gente piange: chi ricorda il ’15-’18, sa che cosa significhi guerra. “La parola d’ordine: Vincere!”, tuona Mussolini. “Dalla folla si alza un immenso grido”, commenta il Corriere della Sera che intitola a nove colonne: “Folgorante annunzio del Duce”, sotto l’occhiello che riporta la parola d’ordine di Mussolini: “Popolo italiano corri alle armi”».
“Rimini non andò incontro alla guerra. Fu questa che le venne addosso. Rimini non vi pensava. Si svolgeva lontana e, allora, perché preoccuparsene? E che cosa, d’altra parte, avrebbe potuto fare”, scriverà Oreste Cavallari.
Anche Rimini, come tutte le città, era stata mobilitata quel pomeriggio: “Il ‘campanone’ aveva mandato lugubri rintocchi, a cui avevano fatto eco quelli di tutte le altre campane”. (Liliano Faenza). L’ordine era arrivato da Roma, tramite le prefetture: per l’adunata non si dovevano usare le sirene, che dal 6 giugno erano state adottate come segnale per gli allarmi aerei, ma soltanto campane, trombe e tamburi.
Il discorso di Mussolini trasmesso per radio si conclude con applausi e grida della gente a piazza Venezia. A Rimini, scrive Faenza, “la voce del duce era piovuta sulle teste dagli altoparlanti di piazza Cavour e di piazza Giulio Cesare. Applausi e invocazioni erano partiti da nuclei di fedelissimi in orbace o in camicia nera. Poi c’era stato l’oscuramento e anche un iniziale pattugliamento notturno di questurini integrati da avanguardisti della GIL”.
Leggiamo la testimonianza di Cavallari: “Il 10 giugno del 1940 non ci fu qui alcun entusiasmo. Ero in piazza Cavour per sentire il discorso. Qualcuno parlò ad un gruppo di studenti. Quando gli studenti mi passarono davanti – io ero appoggiato al muro del caffè Commercio – lessi i cartelli. Irridevano alla Francia e all’Inghilterra. Nel complesso fu una cosa miserella”.
“La prima reazione è l’assalto ai negozi di generi alimentari. Mussolini ha parlato alle 18 del 10 giugno e alle 7 del mattino del giorno dopo si formano già le code davanti alle salumerie, alle drogherie… Nessuno crede ad una guerra breve. C’è una gran paura della fame e una gran corsa a procurarsi delle scorte”. (Silvio Bertoldi, “La chiamavano patria”, Mondadori, 1989)».
L’annuncio di Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia il 10 giugno 1940: