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10 marzo 1249 – Pietro da Verona porta la pace a Rimini e in tutta la Romagna


10 Marzo 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

“In mezzo alle ire cittadine, onde la società tutta dilaceravasi, era a conforto almen questo, che uomini religiosi, giovandosi del loro sacro carattere scendessero fra quelle mediatori di pace; e la voce loro fosse accolta con prontezza pari alla venerazione, onde ovunque erano ricevuti. Uno di questi uomini spettabilissimi, ardente di carità e di affetto, si presentò nel pieno Consiglio di Rimini adì 10 marzo del 1249; colla potenza della parola e della santità domandò che ad onore di Dio, e in riverenza delia gloriosissima Madre sua, il Popolo riminese volesse far remissione di ogni ingiuria, danno, od offesa avesse ricevuto nella guerra passata da ogni altro Comune, Castello, o Terra; specialmente da Faenza, Cervia, e Cesena, e da qualunque particolare persona di esse, tanto finché regnò Federico, quanto prima e poi: di modo che d’allora innanzi ciascuna di quelle città in comune, e ciascuno de’ loro uomini in particolare, venisse libero e assoluto da ogni obbligo di restituzione, coi tenuto fosse per guasti dati, furti o rapine, e per ogni mal tolta cosa”. Così nella “Storia civile e sacra riminese del dottor Luigi Tonini Rimini nel secolo 13°” Vol. 3, 1862.

Che prosegue: “Il Consiglio, convocato e presieduto dall’Assessore di Ugo da Carpegna Podestà, restò preso al santo ragionare dell’uomo di Dio, e ad una voce, nemine discrepante, accolse la pia domanda; a condizione però che gli altri Comuni, a cui prò quella volgeva, non ricusassero ad esso Padre di operare altrettanto a favore del nostro. Ma egli già in precedenza questo appunto avea ottenuto in favor di Ravenna, di Rimini, Bertinoro, Meldoia, Cesena, e Forlimpopoli, quando adì 8 gennajo si era presentato al Consiglio di Faenza preseduto dall’Assessore di Federico Bendigio Podestà, e quando a’ 15 febbrajo era stato in quello di Cervia, convocato d’ordine del Podestà Algerio d’Orsarola. Questo sant’Uomo, che ponevasi a tanta opera di carità in tempi sì rotti, era fra Pietro da Verona dell’Ordine de’ Predicatori di S. Domenico, conosciuto poi col nome di S. Pietro Martire, da che essendo Inquisitore in Milano ucciso fu dagli eretici Patarini in odio alla fede a di 6 aprile del 1252″.

Alessandro Bonvicino detto il Moretto: “Il martirio di san Pietro da Verona” (1530-1535 Pinacoteca Ambrosiana)

Pietro Rosini (Verona, 1205 circa – Seveso, 6 aprile 1252) era nato in una famiglia di Catari. Furono fra i principali eretici del medio evo che dopo essersi propagati nei Balcani dove erano detti Bogomili dal nome di un monaco bulgaro, erano dilagati in Occidente soprattutto nel XII secolo. Seguendo antiche credenze manichee e riprendendo quelle degli gnostici Pauliciani, credevano in mondo nettamente diviso fra bene e male e il Re d’amore (Dio) rivaleggiava con il re del male (Rex mundi) a pari dignità per il dominio delle anime umane. Mistici e ascetici, praticavano povertà, umiltà e carità. In occidente furono detti anche Bulgari, Patari o Patarini.

Albigesi massacrati dai crociati

Nelle città del nord Italia ebbero vastissimo seguito e a Rimini fra le prime, soprattutto fra gli artigiani, come ricordano la toponomastica (la fossa Patara, la contrada Pattarina e poi il rione così denominato in epoca napoleonica) e i due celebri miracoli di S. Antonio “da Padova” durante la sua predicazione contro di loro. Nella Francia meridionale furono detti Albigesi dalla cittadina di Albi e contro di loro papa Innocenzo III proclamò una crociata durata dal 1209 al 1229. Ma nonostante quei dieci anni di indicibili stragi (gli storici calcolano da 200mila a un milione di morti), l’eresia non fu affatto estirpata. Domenico di Guzmàn, il futuro San Domenico, riuscì a imporre allora una linea differente: gli eretici andavano combattuti innanzi tutto con la dottrima, la predicazione pacifica e con le loro stesse armi, conducendo una vita esemplare e irreprensibile. 

I Catarli cacciati nudi da Carcassone

Pietro da Verona fu uno dei frati domenicani che si assunsero questo compito. Inviato da papa Gregorio IX in Lombardia, ottenne ottimi risultati a Milano dove l’eresia aveva una delle sue roccaforti, ad Asti e Piacenza, mentre più difficoltà incontrò a Firenze. In Romagna, oltre che che a convertire i Patarini, cercò di portare la pace fra le città perennemente in guerra reciproca, come si vede nella sua breve permanenza riminese. Più a lungo, su ordine del cardinale legato Ottaviano degli Ubaldini restò nell’instabile Cesena, dove la lotta fra le fazioni era particolarmente incancrenita. Si era al tramonto di Federico II (l’imperatore “Stupor Mundi” sarebbe morto nel 1250) e la Romagna stava passando dall’egemonia ghibellina a quella guelfa; Cesena era uno di quei centri che ancora pareva non decidersi da che parte stare.

San Pietro martire di Pedro Berruguete (1504)

Nominato inquisitore di Como, nel 1252 Pietro da Verona venne assassinato nella foresta di Seveso, nel territorio che oggi è nel comune di Barlassina mentre si recava a piedi da Como a Milano. Carino Pietro da Balsamo, un contadino assoldato per venticinque milanesi dal patarino Giacomo Leclusa, gli spaccò la testa con un fendente. Si narrò che Pietro intinse un dito nel proprio sangue e con esso scrisse per terra la parola “Credo”, cadendo poi morto. Un suo confratello, Domenico, che si trovava insieme a lui, fu pugnalato mentre tentava di fuggire e morì dopo alcuni giorni di agonia.

L’arma che uccise Pietro da Verona

Carino si rifugiò a Forlì dove si pentì amaramente e morì in fama di santità presso il locale convento dei domenicani, avendo come padre spirituale il beato Giacomo Salomoni. Anche Carino da Balsamo ha oggi il titolo di beato e il suo corpo è stato conservato fino al 1964 nella cattedrale di Forlì per poi essere spostato nella Parrocchiale di San Martino in Balsamo (Cinisello Balsamo, Milano). Pietro da Verona, ormai per tutti San Pietro Martire, venne canonizzato da papa Innocenzo IV il 24 marzo 1253 con la bolla Magnis et crebris. La sorta di roncola usata per ucciderlo è conservato a Seveso, presso il Santuario a lui dedicato. È sepolto in un’arca conservata nella Cappella Portinaria della Basilica di Sant’Eustorgio a Milano.

Il sepolcro di S. Pietro Martire in S. Eustrorgio a Milano

Pietro da Verona fu solo uno dei tanti predicatori che percorsero l’Italia in quegli anni. L’affermarsi dei liberi Comuni avevano comportato anche l’incessante lotta fra loro, esarcerbata su scala minore dalla faide famigliari e su quella maggiore dall’insanabile dissidio fra Impero e Papato. In un vortice di violenza di cui non scorgeva la fine, trovavano fertile terreno sinceri aneliti al rinnovamento spirituale come le profezie millenaristiche che sorgevano da ogni parte.

Come ben annota Ernst Kantorowicz (“Federico II Imperatore”, 1926), “Mentre dunque imperatore e papa perseguivano, ciascuno a suo modo, gli eretici, accadde imprvvissamente qualcosa che è da prendere come si prende un fenomeno naturale: tutta l’Italia settentrionale ricadde in preda alla pazzia e al delirio d’una espiazione generale”.

In ciò fu cruciale il ruolo dei Domenicani, sia per l’essere i maggiori predicatori di penitenza e insieme deputati a combattere le eresie, sia per la competizione con i Francescani. Costoro avevano già visto proclamare la santità del fondatore nel 1228 e di S. Antonio “da Padova” nel 1232, mentre Domenico di Guzmàn dovette attendere la canonizzazione fino al 1234. L’esasperato zelo dei Domenicani si andò così a sommare ad altro, come spiega sempre Kantorowicz: “Da tre decenni correvano per l’Italia motti profetici che la facevano rabbrividire di paura e proprio qui, più che non altrove, il popolo era tenuto in un’eccitazione continua con l’attesa della fine del mondo”. Non dunque al volgere dell’anno Mille, ma molto più tardi, l’abate calabrese Gioacchino da Fiore (1130 circa – 1202) “aveva illustrato l’ultimo giorno con visioni terrificanti, e le sue parole risuonarono lungo tutto il XIII secolo fino a Dante”.

Gioacchino da Fiore

Ma non solo: “Dove non arrivavano le predizioni dell’abate Gioacchino, se ne trovavano altre dello stesso tipo. Sibille vere e false, parole magiche del mago Merlino, vaticini di Michele Scoto, oracoli orientali, pronostici spagnoli venivano a confondere e ad eccitare un tempo già angosciato dal problema del giudizio universale, della fine del mondo e della venuta dell’anticristo: che tuttavia non rinunciava alla speranza in un altro messia, nella pace universale e in un’apollinea età dell’oro”. “Il popolo in Italia era sazio di lotte e bisognoso di pace già da lungo”.  E “predicatori sbucavano ovunque contemporaneamente”.

Nel 1233 fu così il Grande Alleluja, quasi ovunque con le stesse modalità. “A Parma, per esempio, comparve, in abiti fantastici, un predicatore che non apparteneva ad alcun ordine: nera la barba, un alto berretto armeno in capo, un paludamento a sacco, e, sulle spalle e sul petto, una enorme croce rossa. Il frate si serviva di una piccola trombetta di rame, dalla quale traeva suoni ora raccapricianti, ora dolci. Come l’incantatore di topi di Hamelin, egli era seguito specialmente dai bambini, con torce e fronde, per strade e piazze; tutti levavano l’alleluja con lui, e al suo apparire scompariva all’improvviso ogni inimicizia, ogni lotta si spegneva”. A quanto pare, restarono immuni all’estatica epidemia solo la Sicilia (dove il ferreo governo di Federico II non lasciò mettere piede ad alcun predicatore girovago) e la sempre scettica Firenze (che accoglieva i profeti come buffoni sommergendoli di burle).

Medaglione di Fra Giovanni da Vicenza, particolare della facciata del Teatro Jacquard di Schio

Ma al nord oltre a Pietro Martire ebbero enorme risonanza il francescano Leone da Piacenza, il domenicano Giovanni da Vicenza (o da Schio) e Gerardo operatore a Parma di molti miracoli. Non era la parte politica a unirli: il minorita Gerardo era un estatico ammiratore dell’imperatore Federico, mentre Giovanni lo avversava fieramente. Questi dopo aver messo Bologna ai suoi piedi, si presentò nella piazza del mercato di Verona e salito sul Carroccio municipale predicò a migliaia di persone giunte da Padova, Treviso, Vicenza, Ferrara, Mantova. “Quando ebbe terminato, la folla lo acclamò duca e rettore della città”.

Nessuno osò opporsi, tanto meno il signore in carica, quel famigerato Ezzelino da Romano posto dall’imperatore a presidiare l’ultra-strategica Verona: “La sua signoria sarebbe stata annientata in un baleno, se proprio lui, il Satana vivente, non avesse giurato obbedienza al frate: e lo fece con le lacrime agli occhi – di commozione, pensava la folla”: col che la via della Germania era preclusa all’imperatore svevo. Tra i pochi dissenzienti alla richieste di incondizionata obbedienza giurata ai decreti arbitrali del domenicano, una sessantina di cittadini “quos ipsos condemnavit de heretica pravitate”, come ricorda il cronista Parisio da Cerea, membri di illustri famiglie cittadine, tra il 21 e 23 luglio 1233 furono arsi vivi “in foro et glara de Verona”.

Cristofano dell’Altissimo: “Ritratto di Ezzelino da Romano” (1552-1568 circa)

Tuttavia “l’Alleluja trovò una rapida fine”. “A una delle ultime grandi feste della pace, a Paquara presso Verona, si raccolsero intorno al frate, a quel che pare, quattrocentomila persone; la pace eterna fu solennemente giurata. Quattro giorni dopo scoppiava, nella marca trevisana e in Lombardia, la guerra delle città. Grande fu lo scompiglio, e frate Giovanni, «Duca» di Verona, fu infine imprigionato da uno dei suoi numerosi nemici”.

Umiliato e scacciato, Giovanni morì nelle Puglie, dove si sarebbe recato sin dal 1259 a predicare la crociata contro Manfredi di Svevia, probabilmente entro la metà degli anni Sessanta.

San Pietro Martire è un dei patroni dell’ordine mendicante dei frati Domenicani; è altresì patrono del Tribunale della Santa Inquisizione, dei commercianti di tessuti, di calzolai e birrai. Fra le cità, lo hanno quale patrono Verona e Seveso, naturalemnte; poi Fornelli (IS), Casteggio (PV), Roccasecca (FR), Castelleone di Suasa (AN), compatrono di Napoli. E anche il Comune di Mondaino in provincia di Rimini, sebbene in questo ruolo sia più spesso indicato San Michele Arcangelo, titolare della parrocchia cittadina., nella cui chiesa esistono un altare e un bel dipinto dedicati al martire.

San Pietro Martire (in alto a destra sopra San Rocco) raffigurato in una tela nella chesa parrocchiale di San Michele Arcangelo a Mondaino

(nell’immagine in apertura: San Pietro Martire che ingiunge il silenzio, affresco del Beato Angelico, Museo San Marco, Firenze)