L’11 aprile 1906, alle prime ore del mattino, la carovana di Buffalo Bill giunge a Rimini. Dal 1883 William Cody ha allestito uno spettacolo viaggiante, il “Buffalo Bill Wild West Show”, con protagonisti veri cowboy e “pellerossa” tra cui gli Sioux Toro Seduto e Alce Nero; ne faceva parte anche Calamity Jane, “la donna pistolero”. Lo spettacolo ebbe un gran successo sia negli Stati Uniti che in Europa per oltre venti anni. Nel 1906 in Italia fu a Roma, Torino, Genova, Brescia, Bergamo, Udine. E Rimini. Il biglietto non costava poco: 2 lire.
Come si legge su tuttiarimini.com, il circo di Buffalo Bill viaggiava “in quattro treni speciali provenienti da Ancona, ognuno dei quali era composto da dodici o tredici carri e da due vetture regolari, per una larghezza media di circa 250 m. ciascuno. La mostra era composta da 700 persone e da 500 cavalli, era qualcosa di unico, di spettacolare, tutti a Rimini ne parlarono per molto tempo, fu un’opportunità unica vedere coi propri occhi un mondo nuovo che popolava la fantasia di grandi e bambini”.
“Lo spettacolo durò 2 ore circa e mostrava al pubblico brani di vita vissuta: Pony Express, la battaglia del generale Custer (1876), veri indiani con le loro famiglie si esibivano, quel giorno a Rimini nella piazza d’Armi di borgo XX Settembre accorsero oltre 10.000 persone, gli spettacoli in programma a cui assistettero furono 22“.
William Frederick Cody era nato a Le Claire, Iowa, il 26 febbraio 1846 e morirà a Denver, Colorado, il 10 gennaio 1917. Com’è noto, il soprannome di Buffalo Bill gli venne dall’aver ucciso in un solo anno quattromila bisonti (buffalos) per conto delle compagnie ferroviarie che dovevano procurarsi cibo per gli operai delle linee in costruzione. Durate le guerre indiane conobbe e sposò Luisa Maude Frederici, di origini italiane, da cui ebbe quattro figli; solo Irma Louise srabbe sopravvissuta al padre e di un solo anno. Nel 1890 aveva incontrato papa Leone XIII e poco prima della morte si era convertito al cattolicesimo.
L’enorme successo di Buffalo Bill in Italia ebbe curiosi risvolti “romagnoli” anche molto tempo dopo. Nel 1920 l’editore Nerbini iniziò a pubblicare una collana dedicata alle avventure di Buffalo Bill. A quel punto la popolarità del cow boy divenne permanente anche in Italia, fino a rappresentare un piccolo problema per il regime fascista. Negli anni ’30 si era infatti decretato, soprattutto su iniziativa del segretario del PNF Achille Starace, di “italianizzare” ogni aspetto della cultura e del costume nazionale, compresi gli eroi dei fumetti e dei racconti per l’infanzia. Buffalo Bill era però un nome troppo popolare da poter essere storpiato in “Mino Bisonte” o qualcosa del genere. Ma con la guerra contro gli Usa, un eroe così americano non poteva comunque essere più tollerato. Come fare?
La soluzione arrivò procedendo all’inverso, come scrisse nel 2010 Massimo Introvigne su “Avvenire”: “Nel 1942 l’editore fiorentino Nerbini, che con Buffalo Bill si era arricchito stampando oltre mille romanzi popolari sulle imprese del leggendario eroe del West, obbedì a una velina del regime, peraltro priva di ogni fondamento storico, rivelando che il cow-boy era in realtà un immigrato italiano, si chiamava Domenico Tombini ed era romagnolo come Mussolini”.
Questa velina aveva origine in un articolo del “Corriere Padano” (quotidiano politico fondato dal quadrumviro Italo Balbo ed edito nella sua Ferrara) del 14 febbraio 1937: William Cody “si chiamava Domenico Tambini”, nativo di Santa Lucia delle Spianate (Faenza). Non solo: c’erano “parenti compaesani” che ne pretendevano la sua famosa e corposa eredità, che allora valeva 40 milioni di lire. Sempre secondo il Corriere Padano, il Tambini avrebbe preso il nome di “Buffalo” non per la sua abilità nel sterminare bisonti, ma perché emigrato dalla Romagna negli Usa fino alla città di Buffalo (nello stato di New York).
La leggenda di Domenico Tambini, o Tombini, si arricchì via via di nuovi particolari, e pazienza se le date non tornavano gran che. Il faentino sarebbe emigrato in America per motivi politici: di fede liberale, aveva partecipato ai moti di Venezia del ’49 e, dopo la sconfitta, non voleva o poteva tornare nella Romagna papalina. Non basta; nel 1911 la nipote del Tambini avrebbe ricevuto attraverso il Ministero degli Esteri qualcosa come quarantacinque milioni di lire, eredità di uno zio d’America: non poteva essere che quella di Buffalo Bill. Il fatto che Cody fosse ancora vivo e vegeto, essendo deceduto, appunto, solo nel 1917, non intacca la popolarità della diceria. Tanto che fra Forlì e Faenza ancora oggi circolano storie di poderi acquistati di punto in bianco, fortune sbucate dal nulla e via dicendo. Piuttosto che indizio di una qualche prosaica evasione fiscale, se non peggio, la fantasia popolare preferisce attribuire questi doni della dea bendata al selvaggio West di Buffalo Bill. Si può darle torto?