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11 ottobre 425 – L’imperatrice Galla Placidia è a Rimini


11 Ottobre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Secondo Cesare Clementini, che scrive nel 1617, nell’anno 425 Galla Placidia e suo figlio, l’imperatore Valentiniano III «nel mese di ottobre vennero in questa Città di Rimino, oue furono raccolti con quell’applauso, e pompa, che a tanto Imperatore, e alla diuozione di Popolo fedele conueniua».

“Tanto Imperatore”, Valentiniano III, ha sei anni e in realtà non è ancora salito ufficialmente sul trono. Sua madre lo sta appunto conducendo a Roma per l’incoronazione come “Augusto d’Occidente”, che avverrà il 23 del mese. Un anno prima Valentiniano era stato nominato invece “Cesare d’Occidente”, che nella ripartizione voluta da Diocleziano significava stare un gradino sotto l’Augusto. Intanto gli Unni di Attila sono ormai alle porte, ora alleati, ora devastatori. Come i Goti, gli Alani, i Burgundi, i Vandali e tanti altri.

Particolare della Croce di Desiderio, gioiello carolingio conservato nel Museo di Santa Giulia a Brescia, con un ritratto raffigurante, secondo la tradizione, Galla Placidia e i figli Valentiniano III e Giusta Grata Onoria

Particolare della Croce di Desiderio, gioiello carolingio conservato nel Museo di Santa Giulia a Brescia, con un ritratto raffigurante, secondo la tradizione, Galla Placidia e i figli Valentiniano III e Giusta Grata Onoria

Siamo negli anni convulsi del crollo dell’impero romano d’Occidente ed Elia Galla Placidia (Costantinopoli 392? – Roma 450) ne è una delle protagoniste assolute, nel bene e nel male.

Nipote di tre imperatori, figlia di uno (Teodosio il Grande, colui che proclamò il Cristianesimo unica religione dell’impero), sorella di due, moglie di un re e di un imperatore, madre di un imperatore e zia di due, la nobilissima Galla Placidia fu dapprima ostaggio presso i Visigoti, poi loro regina. Il suo matrimonio con re Ataulfo, celebrato forse a Forlì forse a Narbona, e la nascita del loro figlio Teodosio rientrarono in una politica di avvicinamento tra “barbari” e Romani, ma la morte del bambino e quella del sovrano posero fine a questa possibilità.

Il mausoleo di Galla Placidia a Ravenna

Il mausoleo di Galla Placidia a Ravenna

Ma in quel 425 i disegni di Galla sembrano ancora procedere per il meglio. Due anni prima, con la morte senza eredi di Onorio, per la successione al trono d’Occidente (che aveva allora sede a Ravenna) si era aperta l’ennesima, gravissima crisi. La corte di Ravenna e il Senato romano avevano scelto come successore Giovanni Primicerio, un alto funzionario imperiale, ma la corte di Costantinopoli non riconobbe l’elezione e organizzò una spedizione per rovesciare Giovanni.

L’esercito romano d’Oriente, appoggiato dai Goti che continuavano a riconoscere Galla come loro regina, sbaragliò facilmente i sostenitori di Giovanni in Dalmazia e ad Aquileia; da qui il generale Aspare discese su Ravenna, dove catturò Giovanni e lo inviò ad Aquileia da Galla, la quale ordinò che gli fosse tagliata la mano destra, legato ad un asino ed esposto per le strade di Ravenna al pubblico ludibrio. E che fosse infine decapitato nel circo, come avvenne nel maggio del 425.

"Solido" di Giovanni Primicerio

“Solido” di Giovanni Primicerio

Che l’ingresso a Rimini fosse “trionfale” è molto probabile: tutte le fonti concordano che tale fu tutto quel viaggio verso l’incoronazione capitolina. Ma Clementini aggiunge altri dettagli. Per esempio, che Galla Placidia visitò l’arca dove era sepolto San Gaudenzo «facendo molte elemosine di denari, per il compimento del Tempio». Dunque presso la sepoltura del Patrono di Rimini non sarebbe ancora esistita una chiesa, ma la si stava allora costruendo o almeno completando. Altre fonti, in parte confermate dall’archeologia, dicono però che un sacello era già stato eretto da almeno un secolo, dedicato alla «Confessione dei Martiri»: un tempietto funerario accanto a una necropoli dove i primi cristiani erano stati sepolti assieme o poco distante dai pagani, lungo la Via Flaminia.

Clementini precisa che Galla Placidia sarebbe tornata a Rimini più volte, sempre per visitare la sepoltura del vescovo-martire e sempre donando largamente, così che «il Tempio del Santo restò in più uolte arricchito da questa Regina di nobili apparamenti, e ricchi uasi d’argento».

Mosaico nel mausoleo di Galla Placidia a Ravenna

Mosaico del Buon Pastore nel mausoleo di Galla Placidia

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Inoltre l’Imperatrice avrebbe più volte soccorso Giovanni, vescovo di Rimini«di uita esemplare, & amico carissimo di San Barbatiano», donando anche alla cattedrale della città addobbi e argenteria; tanto che alcuni, ai tempi del Clementini, ritenevano che Santa Colomba fosse stata addirittura fondata, o almeno ricostruita, proprio da Galla Placidia.

Con più certezza, si sa che nel 438 l’Imperatrice, che ancora teneva le effettive redini del potere, volle fondare a Rimini «un sontuoso Tempio in onore di Santo Stefano». Ai primi del XVII secolo erano a quanto pare ancora visibili diverse iscrizioni che ricordavano le donazioni di Galla Placidia. Queste epigrafi, riferisce sempre il Clementini, avevano indotto qualcuno a identificare la chiesa di Santo Stefano, già scomparsa da secoli, chi con S. Colomba, chi con S. Gaudenzo, chi con S. Pietro, futura S. Giuliano. Ma correttamente Clementini identifica la chiesa con quella che, dopo essere stata abbandonata, nel 1144 era già inglobata in San Giovanni Battista, nel Borgo che ora porta il suo nome. Una chiesa in realtà non grande, come usava allora, ma impreziosita di marmi  e mosaici. Qualcuno la riteneva un poco più tarda, edificata o almeno completata da Teodorico sul finire di quel V secolo. E si sa anche che già nel 596 dovette essere ricostruita dopo un incendio.

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A Ravenna esiste un magnifico edificio, Patrimonio dell’umanità protetto dall’UNESCO, noto come Mausoleo di Galla Placidia, in quanto secondo la tradizione fu dai lei fatto costruire. Al suo interno vi sono tre sarcofagi che la tradizione assegna a Galla e, variamente, a Costanzo III (marito), a Onorio (fratellastro), a Valentiniano III e a Onoria (figli). Secondo gli storici, il mausoleo sarebbe stato fatto erigere da Galla tra il 417 e il 421, anno della morte di Costanzo e del trasferimento di Galla a Costantinopoli, con l’intento di farne un mausoleo imperiale per due sepolture. Superfluo sottolineare le emozioni incomparabili che suscita in chiunque l’ingresso in questo piccolo angolo di paradiso.

Galla, però, non fu sepolta a Ravenna ma a Roma, probabilmente nel “mausoleo onoriano”, la cappella di Santa Petronilla nell’antica basilica di San Pietro. Nel giugno 1458 in quella cappella fu trovato un sontuoso sarcofago in marmo contenente due bare in cipresso, una grande e una piccola, foderate d’argento, con all’interno due corpi, un adulto e un bambino, avvolti in vestiti intessuti d’oro (i metalli preziosi furono fatti fondere da papa Callisto III). Alcuni studiosi hanno ipotizzato che si potesse trattare dei resti di Galla e del suo primogenito Teodosio, dato che una cronaca anonima del V secolo narra che nel 450 (anno della morte di Teodosio II, che però fu sepolto a Costantinopoli) Placidia, papa Leone e l’intero senato romano parteciparono alla sepoltura del corpo di “Teodosio” nella cappella presso la basilica dell’apostolo Pietro; si tratterebbe dunque del corpo del figlio di Galla e Ataulfo, rimosso dalla tomba in terra francese e risepolto con tutti gli onori a Roma. Una translatio che di solito si riservava alle reliquie dei santi.

La basilica di San Pietro a Roma nel suo aspetto voluto da Costantino

Secondo un’altra versione invece, quasi certamente una semplice leggenda, la salma di Galla, imbalsamata per sua espressa volontà, sarebbe stata riportata a Ravenna e collocata in un sarcofago nel Mausoleo dove, per più di un millennio, la si sarebbe potuta osservare attraverso una feritoia, finché un giorno, nel 1577, un malaccorto visitatore per vedere meglio, avrebbe avvicinato troppo la candela alle vesti dell’imperatrice mandando tutto a fuoco.

Le tradizioni riminesi attribuivano a Gallia Placidia una generosità larga e frequente verso la città. Gli storici moderni non hanno trovato prove documentali di tanta benevolenza, ma ai riminesi evidentemente piaceva almeno crederci. Oltre ai già citati lasciti per San Gaudenzo e  la cattedrale di Santa Colomba, nonché pagato di tasca sua la fondazione di ben due edifici sacri: la già citata  “basilica” di S. Stefano e il monastero di San Gregorio “fuori le mura”.

San Gregorio “extra muros” riusci a sopravvivere nelle sue vetuste forme “bizantine” fino alla prima metà dell’Ottocento. Si fece appena in tempo a disegnarne dei rilievi, in cui appaiono mosaici, capitelli, la volumetria a croce graca intatta. Ormai sconsacrata, la Diocesi di Rimini la cedette a privati. I quali provvidero, come d’uso, a vendere laterizi e pietre ancora utilizzabili facendo sparire il resto. Di San Gregorio resta solo il nome del vicolo che da via XX Settembre conduce a dove sorgeva la chiesetta.