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12 dicembre 1229 – Finisce la guerra fra Rimini e Pesaro


12 Dicembre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Nel 1229 Teodorico, Arcivescovo di Ravenna, ne ha abbastanza. Rimini e Pesaro sono in guerra da una vita e non se ne viene a capo. Le trattative fra i due Comuni vanno avanti da oltre un anno e i Pesaresi hanno anche inviato loro ostaggi in segno di buona volontà. Niente. Peggio: sembra proprio che invece il conflitto stia per riaccendersi.

Santa Maria Assunta, Duomo di Pesaro

Oltre all’inimicizia tradizionale fra le due città, l’origine ultima della guerra era la ribellione fra alcuni feudatari dei «monti di Pesaro» – le famiglie dei Berardini, Bandoni e Ramberti – contro il loro Comune. In ballo soprattutto Montecchio, conteso fra due rami degli stessi Bandoni. La sedizione gode dell’interessatissimo appoggio di Rimini che, l’anno prima, aveva ottenuto la sottomissione di tutti i castelli del promontorio di San BartoloFogara (Fiorenzuola), Medio (Casteldimezzo), Ligabizzo (Gabicce) e Granarola – tutti di proprietà, ormai solo teorica, proprio dell’Arcivescovo ravennate – arrivando praticamente alle porte di Pesaro, dalle cui presunte aggressioni i castellani intendevano difendersi.

Montecchio, a una quindicina di chilometri da Pesaro

L’11 giugno 1229 Teodorico intima dunque di farla finita, altrimenti saranno pesanti multe per tutti. Si trovi un compromesso qualsiasi e se il risultato risultasse «oscuro», cioè con punti ancora in sospeso, nessun problema: ci avrebbe pensato lui stesso a darne l’interpretazione definitiva.

Questa volta la buona volontà delle due parti pare esserci, ma sorge un intralcio: i Comuni sono entrambi ghibellini ma al momento quello di Rimini è sotto interdetto papale e non può sottoscrivere atti legali. A riprova di quanto politici fossero questi interdetti dei pontefici, è la facilità con cui viene superato un ostacolo che parrebbe insormontabile. Tutto quello che occorre è un “perdono” di Papa Gregorio IX: una sanatoria, un condono, diremmo noi, come per una qualsiasi magagna burocratica.

Decretale di Papa Gregorio IX

Come scrive Luigi Tonini, «fu conosciuto che a voler stipulare validamente la pace era dovuto ne fosse premessa l’assoluzione. Né fu difficile ottenerla dietro supplicazione fattane dai due Comuni, e da Ventura e Bartolomeo loro Vescovi, i quali per autorità pontificia a’ 29 novembre, nella Chiesa di S. Colomba, l’Ariminese popolo e suoi aderenti ribenedirono».

Il più è fatto e ora si procede spediti: «Appresso di che Bernardino di Pio Podestà e Giudice Compromissario a’ 12 dicembre, nel Palazzo del Comune di Rimini, presente il Generale Consiglio, e presente Giovanni del Piccolo Notajo Sindaco pel Comune riminese, per Rainado e Oddone di Ramberto e loro nipoti, figli di Guido e Berardo Berardini, non che per Rugilo, Aldrovando, e Ucchizione Bandoni; e presente pure Ugolino Berardi cittadino pesarese e sindaco pel Comune di Pesaro, pronunziò il suo laudo in questa sentenza».

In sintesi, Pesaro cede su tutta la linea: dietro l’assicurazione che la città non sarà più molestata né dalle famiglie ribelli né da Rimini – di aggressioni pesaresi ai castelli del monte di Focara non si fa cenno – riconosce loro tutto quello che si erano presi, salvo naturalmente gli ostaggi e i prigionieri. Quanto a Montecchio, in pratica resta fuori dalla sua giurisdizione. Su torti e danni reciproci (ma in realtà patiti più che altro dai Pesaresi), una pietra sopra. Unico successo dei Pesaresi, vengono riconosciuti i diritti di quei Bandoni che erano rimasti fedeli al loro Comune: almeno loro possono restare nei loro domini. Rainaldo di Ramberto e Galvano di Pier de’ Bandoni accettano, si abbracciano e si baciano. «Il Notajo Crescentino scrisse in duplo la sentenza, e la rogò».