13 dicembre 1295 – I Malatesta diventano signori di Rimini
13 Dicembre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
«In lo dì de Santa Lucia», 13 dicembre 1295, Malatesta da Verucchio e i suoi figli si impadroniscono con la forza di Rimini e del suo territorio, scacciandone i loro nemici, i ghibellini Parcitade. Il Malatesta ha 83 anni e ne camperà ancora 17. Il dominio dei suoi discendenti sulla città avrà fine 233 anni dopo.
La versione più antica di quei fatti, che fu poi tramandata a Rimini per secoli, è contenuta nella cosiddetta “Cronichetta dei Malatesti scritta nel sec. XIV da anonimo Riminese”.
Un documento, di cui, appunto, non si conosce l’autore, redatto diversi anni dopo i fatti e sul quale non bisogna fare cieco affidamento. Non tanto perché sia stato scritto per incensare i signori di Rimini: al contrario, vi si citano i versi del “savio Dante”, che dei Malatesta fu sempre fiero avversario politico, sul “Mastin vecchio e ‘l nuovo da Verucchio”, mentre lo stesso Mastino e il nemico Parcitade vengono paragonati a Erode e Ponzio Pilato.
Se non pecca certamente di sudditanza ai signori, il documento fa però molta confusione di date e personaggi e le “frasi storiche” riportate, chissà se furono mai dette. Ma il fascino della narrazione è proprio nel linguaggio: così scriveva un riminese mediamente colto del Trecento, forse un ecclesiastico, fra riconoscibilissime impronte del suo vernacolo e influenze per noi inattese, eppure confermate da altre fonti. Oltre a quella toscana, la più evidente è quella della lingua veneta, che si ritrova anche un altro testo di fine secolo, la perduta Petra Ociosa contro i maldicenti del 1395.
Ma filologia a parte, vale la pena lasciarsi andare a un racconto che se non tocca l’epico, certo viaggia nel favoloso, come una fola raccontata durante la veggia attorno al focolare, in una notte di dicembre…
«Miser Parcitado, vedendo ch’el pensero gli era fallato, avea grande invidia, e senpre creseva odio fra lui e ditto misere Malatesta; e tanto venne, che non se fidava l’uno del’altro. Et ogni dì cresieva l’odio, e ‘l mal volere in tanto venne, che ciascuno portava arme e faceva grande vista de dovere mischiare inseme: de che tutti i citadini stava sotto l’arme, et intanto ciascuno fé venire aitorii grande, celate e palese. Miser Parcitado mandò ad Orbino al conte Guido (Guido da Montefeltro) che venisse in suo aiutorio. E stando così una parte e l’altra, e nissuno non cominzava. Miser Malatesta non cominzava, perché non credeva potere otinere, e miser Parcitado non cominzava, perché aspectava el conte che venisse».
«Eque venire un asino per lo Campo del Comuno (la piazza del Comune) raghiando dreto a un’asina; e faceva sì grande remore, che ognuno corse a l’arme credendo che fosse i signuri. Uno miser Lodovico da le Caminate corse a la piaza armato gridando: “Viva miser Malatesta e la parte ghelfa!”. In questo mezo giunse la gente de miser Parcitado e trasse com una ballestra et ocise el ditto miser Lodovico».
«E como miser Malatesta l’odì, subito fo in sula piaza; e partisse la gente de miser Parcitado e tornò areto, et in megio de la Strada Reale (Corso d’Augusto), in lo Riolo de la Fontana (via Gambalunga), se fé i seraglie (barricate) per una parte e per l’altra: e qui era la bataglia grande, e durò tri dì».
Nella narrazione anonima compare Guido da Montefeltro quale ovvio capo dei Ghibellini e signore di Urbino. In realtà nel 1295 Guido da un anno aveva fatto pace con la Chiesa, giurando a papa Celestino V di mai più opporsi ad essa. Il successore papa Bonifacio VIII tanto gli credette che lo investì poi della signoria di Forlì. Guido ripensò al suo passato sanguinario, si convertì e il 17 novembre 1296 vestì l’abito francescano, poi si ritirò in convento ad Assisi, dove visse i suoi ultimi anni per poi morire in Ancona il 29 settembre 1298. Volle essere sepolto nella nuda terra con indosso il solo saio francescano, esattamente come chiederà il suo arcinemico Malatesta da Verucchio quando anche a lui toccherà di lasciare questa terra, a cento anni tondi nel 1312.
Ma tornando al 13 dicembre 1295, i Ghibellini si asserragliano dunque verso l’attuale Piazza Ferrari, dove i Parcitade avevano le loro case presso la porta romana che fu detta di San Tomaso (per il vicino, antichissimo monastero). I Guelfi fanno lo stesso dalla parte opposta, avendo i Malatesta case presso la porta del Gattolo (che sarà poi inglobata in Castel Sismondo) e porta San’Andrea.
«Et eco venire uno da Veruchio, e secretamente disse a miser Malatesta che a San Marino s’aparichiava per lo conte Guido, che venia con trecento cavalieri da Petramala (cioè dei Tarlati di Pietramala, vescovi e signori ghibellini di Arezzo), da Fermo e da Fabriano in aiutorio de misere Parcitado. Sì che temette forte, e subito chiamò quatro boni omini comuni e disse: “Signuri, io me maraveglio perché miser Parcitado vole guastare Arimino, e non so perché e comò; questo remòre, non foi io comenzadore: anche me ne dole e pesa”. Quisti boni omini se partì et andò a favellare com miser Parcitado, et elio respondeva el simigliante. Tanto andò quisti boni omini da una parte al’altra, che i seragli se guastò. E miser Malatesta andò verso miser Parcitado e l’uno verso l’altro, che se favellonno inseme e basosse per la boca. Herodes et Pilatus facti sunt amici». Così infatti nel Vangelo di Luca, 23:12: “Et facti sunt amici Herodes et Pilatus in ipsa die: nam antea inimici erant ad invicem”.
«E per lo populo d’Arimino fonno a brazze levati e portadi in lo palazzo del Comuno, gridando: “Viva miser Malatesta e miser Parcitado”. Poi mandò le trombe per la terra che tutta la forestarìa (i forestieri armati) se dovesse partire; poi cavalcava inseme per la terra, gridando: “Viva viva ì signuri”; poi miser Parcitado rescrisse al conte Guido rengraziandolo e dicendo comò aveva facto paxe, sì che al presente la sua venuta non era de bisogno. El conte se fé beffe de lui comò omo savio; poi fé aparechiare tutti gli aitorii, che era venuti, com trombe e bandere: glie mandò a casa loro».
«Miser Malatesta fé do parte de la gente sua: una parte, ciò foe i ghelfe, glie fé ascondre dentro da le case soe, e gli altri com tronbe e bandere se n’andò per verso Veruchio; et andò tanto in quel dì, che giunse la sera al ponte del Maone (il torrente Mavone), ch’è presso tre miglia. Quando venne a megia notte, tornaro verso la terra e venoro ala porta del Gattolo. E la gente de miser Malatesta uscì fora gridando: “Viva miser Malatesta e la parte ghelfa, e mora miser Parcitado e i ghebilini!».
«Vedendo miser Parcitado esser senza aitorio, per lo migliore se partì com tutta sua fameglia, e fonno morti e prìse assai de casa sua e di soi amici: fra i quali fo preso Montagna di Parcitade (secondo gli storici moderni era lui a capo dei Ghibellini riminesi, essendo il vecchio Parcitade già morto da anni) e messo in presone, e il fo morto. E per ciò disse el savio Dante: “El Mastin vechio e ‘1 novo da Veruchio, che de Montagna fece el mal governo etc”. E partito che fo miser Parcitado e sua gente, andoniio a San Marino; e quando el conte Guido el vedde, disse: “Ben venga miser Perdecitade”».
«E questo fo anni milleducento novantacinque, del mese de dicembre, in lo dì di santa Lucia».
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