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13 novembre 1815 – Rimini abbatte Santa Colomba, la sua Cattedrale


12 Novembre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

«Non ostante il ristabilimento della dominazione pontificia si compì nel novembre la demolizione dell’antica nostra Cattedrale sulla piazza del Corso, oggi Malatesta, che dicemmo essersi acquistata dal Romagnoli di Forlì. In quell’occasione tornarono in luce molte iscrizioni antiche…».

Con queste scarne righe riferite all’anno 1815, Carlo Tonini ricorda la scomparsa di San Colomba, il primo duomo di Rimini.

«Non ostante il ristabilimento della dominazione pontificia», appunto. La cattedrale, come molte altre chiese, con l’arrivo dei francesi era stata sconsacrata nel 1798 e ridotta a caserma di cavalleria. Venduti poi ai privati, spogliati e umiliati, alla caduta di Napoleone gli ex edifici religiosi di Rimini erano però tutti ancora in piedi.

Ma la restaurazione del governo papale non significò affatto la loro salvezza, anzi ne vide la scomparsa definitiva. Così accadde, solo per stare ai luoghi sacri più notevoli, all’abbazia di San Gaudenzo o alla chiesetta “bizantina” di San Gregorio fuori le mura, mentre il grande convento di San Domenico, risalente al Duecento, resistette pur sconsacrato fino al termine dell’Ottocento.

Quanto rimaneva di San Colomba ai primi del Novecento

Il millenario duomo della città fu il primo a sparire, né si registrano particolari proteste dei Riminesi. Giudicata pericolante tranne il massiccio campanile, la chiesa venne smantellata per rivenderne marmi, mattoni e coppi. Si salvarono alcune pietre con iscrizioni o facenti parti delle decorazioni scultoree, oggi sparse fra il Museo della Città e il palazzo comunale, come lastre funerarie di vescovi e l’arca del Duca Martino Nel Museo della Città di Rimini sono conservate anche 22 grosse porzioni di un portale romanico che poteva appartenere alla Santa Colomba del XII secolo; sono serviti a ipotizzare l’aspetto di quello della cattedrale.

Ricostruzione ipotetica del portale di S. Colomba (Carlo Valdameri)

Il titolo di cattedrale era già passato prima a S. Giovanni Evangelista (S. Agostino), poi a San Francesco (il Tempio malatestiano). Oggi di Santa Colomba resta solo la torre campanaria, mentre all’interno del moderno edificio privato che la affianca si possono vedere alcuni affascinanti resti delle fondazioni.

Tutta l’area, come è capitato anche in occasione della ricostruzione del teatro, continua a restituire reperti romani e paleocristiani, senza però dar risposta ai molti enigmi su questa parte della città, anzi aggiungendone di nuovi.

Ipotesi ricostruttiva della prima chiesa di Santa Colomba (Carlo Valdameri)

Innanzi tutto, la stessa Santa Colomba: la cattedrale riminese fu dedicata fin dall’inizio alla vergine martire di Sens? In molti lo hanno messo in dubbio, ipotizzando anche che l’originaria dedicazione (avvenuta, altro mistero, non si quando: ai tempi di Costantino come dice la tradizione? O molto più tardi?) fosse allo Spirito Santo rappresentato come colomba. Il culto della Santa gallica si sarebbe sovrapposto solo in seguito, dopo aver “dimenticato” il titolo primitivo. Ma c’è anche l’ipotesi contraria e cioè che il culto della colomba dello Spirito Santo, documentato ancora fino al XII secolo, si fosse aggiunto per un certo periodo a quello della Santa per poi essere abbandonato. Fatto sta che nei documenti altomedievali appaiono a intermittenza entrambe le dedicazioni, che figurano poi insieme nella riconsacrazione della cattedrale nel 1154.

Santa Colomba di Sens

E poi, quale Santa Colomba? I martirologi ne ricordano almeno sette, più un San Colomba maschio, (il monaco irlandese Colum Cille, in gaelico “colomba della Chiesa”). Una Santa Colomba di Aquileia (vissuta alla fine del IV secolo e sepolta a Osoppo), il cui culto era spesso associato a quello della padovana Santa Giustina che presso Rimini ebbe una sua pieve, apparirebbe la più affine a quella “riminese”; ma non esiste ombra di prova che avvalori questa ipotesi.

D’altronde resta solo una suggestione notare che la Sens di Santa Colomba prenda il nome, assieme alla Senna che la attraversa, dalla tribù celtica dei Senoni, la stessa che abitava a Rimini e dintorni prima dei Romani. Di certo fin da un tempo molto antico i Riminesi si convinsero che fra tante Sante con quel nome, quella venerata in cattedrale con tanto di reliquie fosse quella della Gallia.

Giovanni Baronzio, “Santa Colomba davanti all’imperatore Aureliano” (XIV sec.)

Secondo l’agiografia, Colomba sarebbe stata di origine iberica, senza specificare di quale città, di famiglia nobile e pagana. Valicati i Pirenei, a Colonia Julia Viennensis (Vienne) si sarebbe convertita al cristianesimo quando aveva 16 anni. Per sfuggire alle persecuzioni di Aureliano avrebbe poi raggiunto con altri cristiani Agendicum (Sens). Qui fu rintracciata e rinchiusa in carcere, dove una guardia cercò di violentarla. Ma un orso fuggito da un vicino anfiteatro la salvò e la liberò. Condannata al rogo, un acquazzone ne spense le fiamme. Alla fine sarebbe stata decapitata il 31 dicembre dell’anno 273, vicino ad una fontana detta d’Azon.

Giovanni Baronzio: “Santa Colomriminiba salvata dall’orso”

Dopo eventi miracolosi, sulla sua tomba fu costruita una cappella e, in seguito, nel 620 circa, Clotario II vi fondò l’abbazia di Sainte-Colombe-lès-Sens’. 

Si narra inoltre che alcuni mercanti di Agendicum-Sens, che navigavano nell’Adriatico portando con sé una reliquia di Santa Colomba, furono costretti ad approdare a Rimini. La reliquia fu accolta da Stemnio, vescovo della città dal 313 circa, e posta nella Cattedrale appena costruita al posto di un tempio di Ercole. Ma non abbiamo prove neppure sull’esistenza storica dello stesso Stemnio.

In Santa Colomba si sarebbe poi tenuto il Concilio di Rimini, quando vescovo era San Gaudenzo, lui sì invece robustamente documentato.

Giovanni Baronzio: “Martirio di Santa Colomba”

Nel 1581 monsignor Castelli vescovo di Rimini, nunzio apostolico in Francia, ottenne dai monaci dell’abbazia di Sens una costola e due denti della martire; al suo ritorno a Rimini constatò che combaciavano con le reliquie già in cattedrale; dal secolo XVIII sono conservate in un busto reliquiario ora posto nel Tempio Malatestiano.

Dopo essere stata una delle Sante più celebri nel Medio evo, “la popolarità del culto in Francia andò poi lentamente scemando e fallì nel secolo XIV il tentativo di riportarlo in larga diffusione. A Sens, a causa di una festa locale, concomitante con l’ultimo dell’anno, la celebrazione fu spostata al 27 luglio più altre ricorrenze, come la traslazione delle reliquie e la dedicazione della sua chiesa. Santa Colomba è invocata per ottenere la pioggia e i suoi attributi iconografici sono un’orsa incatenata ed una penna di pavone al posto della palma dei martiri”. (in “Santi, Beati e Testimoni”).

Cripta di Sainte Colombe a Sens

La penna di pavone era simbolo di resurrezione attraverso una contorta eziologia (il loro colore sgargiante sarebbe dovuto al fatto che l’uccello si nutrirebbe di serpenti velenosi, allo stesso modo in cui Cristo “divenne peccato” sulla croce adossanosi tutti mali dell’umanità per poi mobndarla risorgendo), attributo in comune con parecchi altri santi, la più nota è Santa Barbara.

“La chiesa dell’abbazia fu costruita una terza volta e consacrata nel 1164 da papa Alessandro III, poi distrutta nel 1792 al tempo della Rivoluzione Francese. I resti del complesso dell’abbazia e della chiesa, furono acquistati nel 1842, dalle religiose della Santa Infanzia di Gesù e Maria, che vi edificarono la loro Casa Madre, salvaguardando i resti dell’antica cripta; le reliquie di s. Colomba erano comunque già stata trasferite sin dal 1803 nella cattedrale di Sens”.

In questa “Morte della falsa moglie di San Marino” di Giorgio Picchi (1590 ca.) si vedono le absidi di Santa Colomba rivolte verso la piazza di Rimini

Leggende cariche di simboli che hanno fatto sbizzarrire gli antropologi. Gli spunti: l’orso fra i Greci era sacro alla dea vergine Artemide, la Diana romana, e le fanciulle a lei consacrate di chiamavano “orse”. Mentre la fertile colomba era sacra ad Afrodite-Venere, ma veniva sacrificata anche ad Apollo, all’infernale Ecate e, di nuovo, ad Artemide. D’altra parte, i Galli adoravano la dea-orsa Artio, da cui anche il nome celtico di Artù.

Quanto alle vicende più o meno storiche, l’inspiegabile attrazione di Santa Colomba verso l’Adriatico è continuata nei secoli. Le sue reliquie sarebbero arrivate intorno al XVIII secolo fino a Bari, “portate da alcuni vincenziani francesi in fuga dagli Ugonotti”, come narra la tradizione locale. Se non che gli Ugonotti erano stati sterminati dai cattolici fin dalla notte di San Bartolomeo del 1572, mentre il protestantesimo in Francia dopo la parentesi susseguente Guerra dei Trent’Anni era tornato fuorilegge dal 1685; ben difficilmente nel secolo successivo i pochi “riformati” da tempo alla macchia avrebbero potuto scacciare chicchessia. Un’altra leggenda parla di un miracoloso trasporto effettuato da uno stormo di colombe.

Santa Colomba nella cattedrale di Bari

Le reliquie furono comunque conservate nel palazzo della Missione dei Vincenziani dove ancora oggi esiste una cappella dedicata alla Santa e successivamente traslate in Cattedrale di Bari l’8 maggio del 1939 per volontà dell’Arcivescovo Mons. Marcello Mimmi. E qui si possono osservare. Solo che nella teca, da quanto è risultato dagli esami, sono esposte ossa di incerta provenienza ricomposte con cartapesta in un involucro di stoffa. La testa risulta attaccata al resto dello scheletro, come non dovrebbe essere dopo una decapitazione. Il tutto è ricoperto con un sontuoso abito da seta forse donato dal francese Gioacchino Murat quando era Re di Napoli. La Santa è tutt’ora invocata dai baresi per ottenere la pioggia.

Reliquiario Santa Colomba nel tesoro della Cattedrale di Rimini

Santa Una Santa Colomba è venerata anche ad Atri, in provincia di Teramo. E’ raffigurata in reliquiario del XVII secolo conservato nel Museo capitolare. Ma la reliquia che contiene è di un’altra Colomba, appartenente alla nobile famiglia dei conti di Pagliara; i quali, curiosamente, dominavano la valle detta del Mavone, il fiume abruzzese che porta lo stesso nome del torrente riminese. La giovanissima Colomba abbandonò i suoi beni e si fece eremita a Pretara, 1.200 metri di altitudine alle falde del Gran Sasso; verosimilmente visse fra il 1100 e il 1116. Innumerevoli i prodigi e leggende che la riguardano, mentre molti luoghi recano il suo nome. Ma probabilmente nel dover raffigurare la santa eremita senza possederne alcun modello si adottò l’iconografia (con la palma da martire, che la Colomba locale non fu) della più celebre omonima d’Oltralpe.

Reliquiario di S. Colomba ad Atri

Ma non è finita. A Torre del Greco, nella Basilica Pontificia di S. Croce si legge: “Le reliquie di S. Colomba Martire furono tolte dalle Catacombe di S. Ciriaca, in Roma. Esse furono consegnate dal Papa Leone XII nell’ anno 1825 al nostro Venerabile D. Vincenzo Romano, a mezzo del nipote D. Felice Romano che in quell’anno giubilare si era recato a Roma. Il nostro Venerabile affidò alla Santa la protezione della città contro le eruzioni Vesuviane. Da quell’epoca il nostro paese è stato sempre salvato dalle distruzioni del Vesuvio”. Altre notize di questa martiere romana però non si trovano, tanto meno relativamente alle catacombe di Santa Ciriaca e San Lorenzo, oggi in gran parte scomparse poichè vi sorge il cimitero monumentale del Verano.

E ancora: a Materdomini in provincia di Avellino è vivo il culto del settecentesco S. Gerardo Maiella. Ma nel santuario a lui dedicato, assieme a San Vitale si venera una Santa Colomba martire, di cui però “purtroppo non si hanno notizie più significative”.

Tormentate anche le vicende dell’edificio. Sempre secondo la tradizione, come abbiamo visto, la cattedrale di Rimini sarebbe stata fatta erigere nel 313 dal vescovo Stemnio dopo aver distrutto un tempio di Ercole (altri dicono dei Dioscuri Castore e Polluce), appena emanato il cosiddetto editto di Costantino che concedeva la libertà religiosa ai cristiani. Ma quell’atto ancora non proibiva i culti pagani (lo avrebbe fatto Teodosio con l’Editto di Tessalonica solo nel 381) e qundi difficilmente un tempio di una divinità olimpica avrebbe potuto essere già distrutto. Ricostruita più volte, fu consacrata, o riconsacrata, nel 1154. Ospitò le assemblee del libero Comune prima della costruzione del palazzo dell’Arengo. Descritta ormai in pessime condizioni, fu ancora rifatta nel 1430. 

Quando a metà Quattrocento Sigismondo costruì il suo castello, a farne le spese furono anche il Battistero della Cattedrale e l’Episcopio, demoliti in quanto troppo vicini alla cinta del maniero e quindi possibili capisaldi per un nemico. Dopo l’ennesima distruzione dovuta al terremoto del 1672, ne fu capovolto orientamento con la costruzione di una nuova facciata nello stile dell’epoca. Fino ad allora il duomo aveva sempre “voltato le spalle” alla piazza e alla città, offrendo alla vista le tre absidi. Le chiese più antiche non tenevano conto dell’urbanistica circostante perché erano orientate con criteri geo-religiosi, un po’ come le moschee che guardano tutte La Mecca; i cristiani guardavano a est e quindi le facciate dei luoghi sacri erano rivolte a occidente.

La Rocca e Santa Colomba nella carta di Rimini della Biblioteca Vaticana (1660 ca.)

Ora invece finalmente il duomo aveva una facciata sulla piazza “del Corso”. A quanto pare, la riconversione era stata però arrangiata in economia, tanto che il successivo terremoto del 1786 l’aveva resa quasi inagibile e già fin da allora si parlò di trasferire altrove il titolo di cattedrale.

Piazza del Corso alla fine del ‘700, con la Rocca e l’unica raffigurazione superstite di Santa Colomba nel suo ultimo aspetto (i due dipinti sono andati distrutti nel 1944. Da “Rocche e castelli di Romagna, III”)

Dunque nell’ultima versione di Santa Colomba della basilica paleocristiana ormai non restava molto. E anche il suo aspetto medievale, al momento della sconsacrazione, era mutato da quasi 150 anni in quello di una chiesa barocca.  La parte superstite più antica, era il massiccio campanile che fu forse per un periodo anche la residenza del Vescovo; ed è tutto quanto ci rimane oggi.