16 dicembre 1503 – Il doge di Venezia si compra Rimini
16 Dicembre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Il 16 dicembre 1503 il doge Leonardo Loredan (in apertura nel ritratto di Giovanni Bellini) firma a Venezia l’acquisto di Rimini e della signoria malatestiana. Ecco a quali condizioni, come riportate da Carlo Tonini:
«Pandolfo Malatesta consegnerebbe al serenissimo Principe, titulo et nomine simplicis purae et irrevocahilis permutationis, la città di Rimini colla ròcca e con tutte le sue pertinenze, diritti, azioni, rendite ecc. ecc. e il serenissimo Principe farebbe per prima cosa aggregare il Malatesta, la moglie, il fratello e i figli nati e nascituri, tra i nobili del maggior Consiglio di Venezia, e gli sarebbe assegnata una casa nella stessa città per esso e pe’ suoi eredi e successori».
«Sarebbero numerati in sua mano diecimila ducati d’oro e altri quattro mila e cinquecento sborsati già da lui al castellano per la ricuperazione della ròcca».
«Gli si darebbe la condotta di cento balestrieri e cinquanta cavalieri vita sua durante da dividersi tra lui e il suo fratello Carlo».
«Gli sarebbe ceduta la terra di Cittadella in quel di Padova con tutte le sue pertinenze, diritti, redditi ecc. col mero e misto impero della spada ecc. e con ogni altra podestà e giurisdizione che vi avea il dominio veneto, fatta solo eccezione in riguardo al sale, che il Malatesta dovrebbe ricevere dal daziario di Padova al prezzo consueto ecc. e tale cessione avrebbe vigore non solo rispetto ad esso, ma eziandio pe’ suoi discendenti maschi e legittimi di primogenito in primogenito, come osservavasi nello Stato di Rimini, e mancando l’Eccellenza sua senza legittimi discendenti maschi, passerebbe nel fratello Carlo e ne’ suoi come sopra».
«A Violante moglie di Pandolfo sarebbero dati 500 ducati annui e altrettanti a Carlo suo fratello».
«Tutte le confiscazioni e tutte le vendite fatte dal Malatesta innanzi che fosse cacciato da Rimini rimarrebbero ferme e valide, e tutto il sale che trovavasi allora in Rimini, dovrebbe restare in mano di Pandolfo, il quale ne disporrebbe a tutto suo arbitrio e piacere».
«E finalmente sarebbero conferiti ad uno de’ figli di Pandolfo benefizii ecclesiastici negli stati veneti pel valore di 1000 ducati».
La Serenissima invia subito Domenico Malipiero come Provveditore. Al suo arrivo a Rimini c’è ad attenderlo tutta la cittadinanza, che grida: «Marco! Marco!».
Le stesse grida inneggianti all’evangelista patrono di Venezia si levano all’ingresso del Malipiero nel Palazzo pubblico. Purtroppo, però, «per la pioggia e per la neve, che allora cadeva, non potè quel giorno innalzare il vessillo».
Ma il giorno dopo «fu rizzato nella piazza maggiore innanzi all’arco della via, che conduce alla porta di S. Andrea (nell’attuale piazza Tre Martirifino al 1921 sorgeva all’imbocco di Via Garibaldi il cosiddetto Arco dei Magnani), un lunghissimo albero di nave, l’altezza del quale superava quella di tutte le case, tanto che dal mare vedeasi lo stendardo che in cima d’esso ventolava».
Inoltre, «Avanti il palazzo de’Tingoli, che sorge sulla stessa piazza, fu eretta sopra una colonna di marmo una statua di S. Marco (probabilmente la consueta raffigurazione del leone alato, forse proprio dove ora c’è la statua di Giulio Cesare che si vorrebbe spostare perché in posizione “indegna”). E uno stendardo fu innalzato pur anco, d’ordine del Malipiero, innanzi alla chiesa di S. Nicolò nel borgo della marina, sulla cima di un albero di galea conficcato in una pietra d’Istria, nella quale era scolpita in basso rilievo la figura dello stesso S. Marco».
Per frenare Firenze e cacciare il Papa dalla costa, la Serenissima completa così il suo programma di espansione in Romagna, dove possiede già Ravenna, Cervia e Faenza. Inizia così il breve periodo della Rimini veneziana.
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