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16 settembre 1798 – Rimini non è più capoluogo: comanda Forlì


16 Settembre 2024 / Redazione

Nel 1798 Rimini fa parte della Repubblica Cisalpina. Durante tutto l’anno i cambiamenti si sono succeduti vorticosi.

La Repubblica Cisalpina

La Repubblica Cisalpina

Per esempio, si svolgono indagini sulle devastazioni delle truppe repubblicane nel Montefeltro (che portano a un nulla di fatto). Si allestiscono finti assalti alla Rocca con gran dispiegamento di truppe e apparati scenografici ridondanti di motti; come: «Gran festa in segno di riconoscenza della Cisalpina stessa verso la Repubblica Francese».

Si decretano poi elargizioni di «alcune schede di lire 100 di Milano a titolo di dote a più zitelle nubili, bianco vestite e ornate di fiori». Si accendono roghi di stemmi gentilizi e addirittura si ordina di bruciare il Libro d’Oro (il registro ufficiale delle famiglie nobili; che però non si trova e allora si bruciano altri libri pubblici qualsiasi e un quadro con la genealogia della famiglia Bianchetti Gambalunga).

Allegoria del rogo dei titoli aristocratici (Bologna, Museo civico del Risorgimento)

Allegoria del rogo dei titoli aristocratici (Bologna, Museo civico del Risorgimento)

Le autorità giurano fedeltà alla Repubblica al cospetto dell’Albero della Libertà; vi collocano l’alloro dicendogli «Tu i verdi rami e il nostro amor conserva». Una «cantata nel pubblico teatro» (che è nel palazzo dell’Arengo) e un successivo «gratuito veglione» pare però che «trapassino e di troppo i confini della verecondia e del buon costume».

Si adotta il calendario «dell’Èra francese». E poi di nuovo festose simulazioni militari: questa volta truppe polacche fingono di difendere la costa da uno sbarco, con finale di «un bel desinare delle truppe sul lido e con un patriottico banchetto di trecento coperti dato dal generale Dambrowski nel palazzo Gambalunga».

Il giuramento alla Repubblica Cisalpina

Il giuramento alla Repubblica Cisalpina

Piovono prestiti forzosi e giuramenti parimente obbligatori: a quello dei pubblici ufficiali, l’unico che si rifiuta, ma riuscendo a non perdere il posto, è «il notajo Michelangelo Zanotti, il noto raccoglitore delle patrie memorie e autore della Cronaca di questi tempi medesimi» e ancor più noto come incorreggibile reazionario.

Vigono i divieti delle processioni e la diminuzione delle feste religiose. In occasione dell’ennesima siccità, i contadini vogliono sfilare dietro la Madonna dell’Acqua, ma la processione viene permessa solo «fra chiesa e chiostri». Dall’altare dell’ex chiesa di San Domenico, ridotta a caserma, si prendono «due belle e grandi pietre» per scolpirvi i primi tre articoli della costituzione repubblicana e poi collocarle «l’una alla destra l’altra alla sinistra dei due quadrati esteriori degli archi di mezzo del pubblico palazzo».

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Più nella sostanza, «non si tardò poi a mettere in esecuzione la legge sulla devoluzione de’ beni ecclesiastici allo stato». Il quale Stato poi li rivende ai privati, dando un bello slancio a un’economia stagnante da secoli. Cadono i privilegi: chi ha mezzi e iniziativa può finalmente farli fruttare senza dover essere nobile o/ed ecclesiastico.

Il prezzo è una irrimediabile dispersione del patrimonio artistico e architettonico, ma sul momento ci fanno caso in pochi. Al Capitolo della cattedrale come unica entrata resta solo la questua durante le funzioni. Mentre le campane devono tacere quasi sempre, sono proibiti i cortei funebri religiosi e perfino il viatico per i moribondi. Poi ci si accorge di aver forse esagerato e il viatico è ripristinato, ma non in forma solenne, mentre le campane possono suonare di nuovo a morto purché purché gratis e non oltrepassando lo spazio di cinque minuti.

La religione è ammessa ma solo come fatto privato. Pertanto non serve insegnarla e si chiude il Seminario. Si trasferiscono monaci e suore, li si forza a secolarizzarsi in cambio di una pensione statale.

D’altra parte, si pone fine alla discriminazione degli Ebrei e i ghetti vengono aboliti. Cadono tutte le dogane comprese quelle che separavano la Romagna dalla parte più ricca e moderna d’Italia. Si razionalizzano le leggi, i lavori pubblici, le tassazioni, i pesi e le misure, la pubblica amministrazione.

E si può divorziare.

Napoleone scaccia gli ecclesiastici da Bologna -- Litografia. Il soggetto, ideato in Germania negli anni '30 del sec. XIX

“Napoleone scaccia gli ecclesiastici da Bologna” Litografia, 1830 ca. (Bologna, Museo civico del Risorgimento)

La popolazione come la pensa? E’ divisa a tutti i livelli. Fra nobili come nella borghesia, fra il popolino e perfino nel clero, in tanti plaudono entusiasti a questi provvedimenti. Ma allo stesso tempo portano in salvo le immagini sacre per sottrarle dalle ingiurie dei soldati repubblicani e dei “giacobini” più sfegatati. Nelle campagne i braccianti e i mezzadri restano diffidenti e comunque tenacemente attaccati alle tradizioni, anche se fra chi non ha niente da perdere non pochi subiscono il fascino delle avventure napoleoniche.

Fra i possidenti, grandi e piccoli, stessa divisione: fra chi ha orrore di ogni cambiamento e chi, magari silenziosamente, inizia a fare “una botta di conti”. Per poi scorgere prospettive promettenti: le aste degli immensi beni confiscati agli enti ecclesiastici hanno immesso nel mercato una quantità tale di terra e di immobili che i prezzi sono precipitati ai minimi storici, mentre il credito è diventato più facile.

Resta ostile al “Mondo nuovo” la marineria, che come ovunque è conservatrice per definizione. Inoltre, da settore economico più florido diventa quello più esantemente danneggiato, perchè sul mare comandano gli Inglesi che non danno tregua ai navigli repubblicani e compiono anche raid sulle coste. E infatti di lì a poco sarà da Borgo Marina che si scatenerà la sollevazione anti-francese. Eppure anche fra la gente di mare – o meglio fra armatori e mercanti – non manca chi apprezzerebbe certe novità, come il netto calo degli odiosi dazi. 

Ma il 30 Fruttidoro dell’Anno Sesto (16 settembre 1798), la costernazione è generale. Liberali e giacobini cercano di inghiottire il rospo, ma clericali e insorgenti soffiano sul fuoco. Cosa è successo?

«Erano parecchi mesi – scrive Carlo Toniniche la città nostra godeva del benefizio e dell’onore di essere capoluogo del Dipartimento del Rubicone. Quando la Repubblica francese, che sempre tenea di mira la figlia Cisalpina, veniva nella determinazione di riformarne la costituzione politica, restringendo il numero de’ Consiglieri legislativi, e procedendo a nuova divisione del territorio. Per la qual cosa i Dipartimenti, da venti che erano, furono ridotti a undici, e furono: Olona, Alto Po, Serio, Adda ed Olio, Mella, Mincio, Crostolo, Panaro, Reno, Basso Po, Rubicone, e i loro capoluoghi, Milano, Cremona, Bergamo, Morbegno, Brescia, Mantova, Reggio, Modena, Bologna Ferrara e Forlì».

Il palazzo comunale di Forlì

Il palazzo comunale di Forlì

Proprio così: Rimini è stata spodestata, degradata, umiliata. Capoluogo del Rubicone, quanto a dire capitale della Romagna, è ora e’ Zitadòn, il “Cittadone”. L’Ariminum  di Cesare e Augusto, seconda solo a Roma di cui è figlia primigenia al di qua dell’Appennino (mai avendo riconosciuto, dicono le patrie memorie, neppure l’autorità dell’imperiale Ravenna) finisce alle dipendenze di una Forum Livii qualsiasi.

Finchè durò il governo pontificio, Rimini faceva parte della Legazione di Romagna con capoluogo Ravenna. Sconfitto dai Francesi, il 19 febbraio 1797 con il Trattato di Tolentino il Papa rinunciò a tutti i suoi diritti sulla Legazione che il 19 maggio fu unita alla Repubblica Cispadana; la quale il 29 giugno si espanse a Repubblica Cisalpina. Il 27 luglio 1797 fu costituito il Dipartimento del Rubicone con capoluogo Rimini. Comprendeva il Cesenate, il Riminese, il Montefeltro e l’area di Pesaro. Forlì fu assegnata al Dipartimento del Lamone con capoluogo Faenza.

Ma appunto nel settembre 1798 (il decreto fu firmato il 5), in seguito alla riorganizzazione territoriale della Repubblica, il Dipartimento del Rubicone ingloba quello del Lamone e va a corrispondere con tutta la Romagna dal torrente Sillaro in giù e Forlì viene eletta a nuovo capoluogo.

Il 27 del mese il decreto è già operativo. Non bastasse, presidente del Dipartimento viene eletto il ravennate Locatelli, mentre i nuovi membri del governo dipartimentale sono un avvocato di Forlì e un notaio di Savignano. Riminese è solo il segretario, Giuseppe Zanotti fratello del notaio recalcitrante a giurare per la Repubblica; ma ricopriva la carica anche prima e la consolazione dei Riminesi è pressoché nulla.

Dopo la caduta dell’Impero, nel 1815 il Congresso di Vienna avrebbe restituito la Romagna allo Stato della Chiesa, che però non modificherà sostanzialmente l’assetto amministrativo napoleonico, come molte altre aborrite innovazioni “giacobine” che però evidentemente avevano dato buona prova. E nulla cambierà nel 1861 con il Regno d’Italia e nel 1946 con la Repubblica Italiana.

Nasce allora a Rimini la rivendicazione dell’autonomia amministrativa, che come sappiamo avrà un percorso molto, molto lungo: quasi 200 anni.

Il Gonfalone della Provincia di Rimini, istituita nel 1992