17 gennaio 1920 – A Rimini culla dell’Anarchia nasce il giornale “Sorgiamo!”
17 Gennaio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
il 17 gennaio 1920 esce a Rimini il primo numero di “Sorgiamo!, settimanale dell’Unione anarchica emiliana romagnola. Risultano gerenti della pubblicazione: Ciro Musiani, Virgilio Sambi, Amilcare Gamberini, Giuseppe Tonini.
Il 1° novembre 1922, dopo il 18° numero, il periodico sarà sospeso per una prima volta dall’autorità; poi di nuovo e definitivamente chiuso il 6 gennaio 1923. La testata sopravviverà, con larga diffusione, fra gli emigrati italiani, soprattutto in Argentina.
Di Ciro Musiani, i rapporti della polizia dicono: “Verniciatore, figlio di Oreste, nasce a Rimini nel 1889. Anarchico, pericoloso di III categoria, diffidato politico”. Il suo fascicolo continua ad arricchirsi fino al 1943.
Musiani era nato il 27 dicembre 1889 da Oreste e Angela Tarassi. Aderisce al movimento anarchico in giovane età. Le fonti di polizia lo descrivono calmo di carattere e discretamente educato, molto serio negli impegni di lavoro. Fin dalla sua assunzione nelle ferrovie a Rimini come verniciatore, vive tutte le lotte della categoria. Nel 1915 è arruolato col grado di caporale maggiore, ma il 14 settembre 1916 incorre nel reato di sottrazione di armi. Sei giorni dopo il Tribunale Militare di Genova (VII corpo d’armata in zona di guerra), lo condanna a 4 anni di carcere. All’atto del congedo dal servizio militare, il 2 luglio 1919, gli viene rifiutata la dichiarazione di avere tenuto buona condotta e di avere servito con fedeltà e onore. Viene riabilitato il 29 dicembre 1919 in virtù del decreto regio di amnistia del 2 marzo precedente.
Tornato a Rimini, in breve tempo la sua influenza e il suo prestigio crescono notevolmente all’interno del movimento anarchico e tra gli antifascisti in genere. Aderisce al Gruppo anarchico “Pietro Gori”, che è il più numeroso ed attivo di Rimini, sorto dalla fusione di quattro gruppi preesistenti: “Ferrovieri”, “Scuola Moderna”, “Moderni Malfattori” e “Borgo San Giuliano”. Partecipa nel luglio del 1919 ai moti contro il caro vita, che in Rimini assumono caratteristiche quasi insurrezionali.
Presto si impone il trasferimento a Imola di «Sorgiamo!», in seguito alle continue perquisizioni e agli arresti dei redattori. Dopo lo sciopero indetto il 2 marzo 1920 dai ferrovieri, Musiani viene accusato di avere compiuto un attentato a danno della ferrovia nei pressi di Rimini con tubi di gelatina assieme al ferroviere anarchico Angelo Bonfanti. Per sfuggire al mandato di cattura emesso dal Tribunale di Forlì, i due si rifugiano nella Repubblica di San Marino. L’11 maggio la Corte di Appello di Bologna li proscioglie dall’imputazione.
Il 26 giugno 1920 Musiani prende parte allo sciopero generale proclamato dagli anarchici di Rimini subito dopo lo scoppio in Ancona della sollevazione popolare contro l’invio di bersaglieri in Albania. L’episodio segna la rottura definitiva tra anarchici e socialisti riminesi, in quanto i secondi non aderiscono allo sciopero, mentre si conferma un avvicinamento con i repubblicani.
Con l’uccisione il 19 maggio 1921 del ferroviere Luigi Platania, uno dei fondatori del fascismo a Rimini (l’anarchico Carlo Ciavatti si autoaccuserà nel 1923 quale unico responsabile dell’omicidio; dopo una condanna a 16 anni e 8 mesi e varie peripezie finirà al confino a Ventotene e dopo la caduta del fascismo “misteriosamente” non verrà liberato ma finirà in carcere a Foggia, dove morirà suicida nel 1947), diverse squadre fasciste provenienti da Bologna e dal Ferrarese invadono Rimini per fare vendetta. È in questo clima che nell’estate del 1921 anche a Rimini si costituiscono gli Arditi del popolo e Ciro Musiani ne è il comandante; suo vice è Remo Bordoni. Vi aderiscono inizialmente sia libertari che comunisti, ma poco tempo dopo questi ultimi si distaccano per costituire proprie formazioni di partito.
Nel 1922 Musiani viene licenziato dalle Ferrovie dello Stato a causa delle sue idee e per l’attività antifascista. Nel dicembre dello stesso anno è aggredito alle spalle e bastonato dai fascisti. Nei primi mesi del 1923 è incarcerato con l’imputazione di “complotto con bande armate contro i poteri dello Stato”; solo nella provincia di Forlì gli arrestati per lo stesso reato sono 98. In carcere a Forlì, sottoposti a condizioni disumane, i carcerati chiedono la chiusura dell’istruttoria mediante uno sciopero della fame durato quasi una settimana, ma ottengono solo un inasprimento delle condizioni detentive. Il 6 febbraio 1924, il carcere è tramutato in libertà vigilata. Il 5 luglio rimane ferito ad un braccio da un coltellata in seguito ad un’aggressione da parte di alcuni fascisti. Forse sotto le pressioni degli stessi squadristi, non sporge denuncia contro Gilberto Steis di Prato, responsabile del ferimento (militerà con grado di tenente nella Repubblica Sociale Italiana e sarà fucilato presso Genova dai partigiani il 22 marzo 1945). L’8 agosto 1926 si trasferisce a Milano dove è assunto come verniciatore di bilance automatiche presso la ditta Berkel. Nel 1927 si sposa a Milano con Giovanna Caironi (detta Carlotta). Dal 3 ottobre 1934 è nell’elenco di persone ritenute pericolose e pertanto immediatamente da arrestare in determinate circostanze politiche.
Il 23 agosto 1940 mentre si trova a Rimini per le ferie, viene segnalato in via confidenziale all’ufficio di pubblica sicurezza e quindi tradotto in carcere (viene rilasciato il 30 seguente), perché sorpreso a canticchiare l’Inno dei lavoratori (musicato da Amintore Galli da Perticara) con altri suoi ritrovati compagni in un’osteria. Il 12 dicembre 1942 scattano per lui di nuovo le manette dopo una denuncia per oltraggio agli agenti di pubblica sicurezza di Rimini.
Nelle settimane successive il 25 luglio 1943 Musiani si iscrive al PCI e prende parte alla Resistenza, prima a Rimini, poi a Milano. Alla fine del 1945 ritorna definitivamente nella sua Rimini ed è di nuovo riassunto dalle ferrovie, stavolta però come Comandante della polizia nella stazione ferroviaria (il «Giornale di Rimini» dell’1 gennaio 1946 saluterà l’antifascista militante, già bastonato e pugnalato dai fascisti, incarcerato sette volte e “reduce dell’insurrezione di Milano”). È capolista per il PCI nelle elezioni amministrative del 6 ottobre. Il PCI si conferma primo partito a Rimini con il 40,30% dei voti e 17 consiglieri, tra cui Musiani, ma terzo in ordine di preferenze (dopo Cesare Bianchini, sindaco, e Nicola Merluzzi). Il 25 luglio 1950 Musiani è nominato assessore in sostituzione di Alberto Lollini. È inoltre segretario dell’ANPI di Rimini. Muore a Rimini il 21 maggio 1975.
La tradizione anarchica a Rimini era antica a radicata. La figura di riferimento era quella, avventurosa e pittoresca, di Amilcare Cipriani. Nato a Porto d’Anzio da padre riminese acceso patriota, volontario nel 1859 nascondendo la sua vera età di 16 anni, combatté «come un demone» a San Martino dove per il suo valore fu promosso sergente e assegnato al 57º Reggimento di Fanteria della Brigata Ravenna, di stanza a Tortona. Pochi mesi dopo disertò per raggiungere Garibaldi in Sicilia. Riammesso nell’esercito regio partecipò alle operazioni contro i briganti abruzzesi. Distaccato a Palermo, nel 1862 disertò nuovamente, alle testa di 35 commilitoni e raggiunse Garibaldi al bosco della Ficuzza per seguirlo nell’avventura d’Aspromonte. Riuscì a non farsi catturare e riparò in Grecia, sopravvivendo (soltanto lui ed il capitano della nave) ad un naufragio. Non potendo tornare in Italia per non finire in carcere, punta all’Egitto dove s’impiega al Banco Dervieux e lavora con grupppi di esploratori che partono alla ricerca delle sorgenti del Nilo.
In vista della terza guerra d’indipendenza, costituisce la «legione egiziana» senza assumerne il comando, e parte per Brescia dove si arruola ancora con Garibaldi nel Corpo Volontari Italiani. Soldato semplice del 1º Reggimento combatte con valore nella battaglia di Monte Suello e in quella di Condino. Chiusa questa fase, corre a Creta per dar manforte agli indipendentisti greci contro i Turchi. Nuovamente in Egitto, è coinvolto in una rissa: si difende uccidendo tre persone, un connazionale e due poliziotti. È il 12 settembre 1867. Da clandestino parte alla volta di Londra dove vive facendo il fotografo. Ritrae la regina Vittoria (da lui rimproverata perché non stava ferma durante la posa); e, in segno di amicizia, Mazzini nella celebre immagine meditativa. Lo stesso Mazzini nel 1870 lo invia ad «accendere dei focolai di guerriglia in Lucchesia».
Il 18 marzo 1871 con un’insurrezione popolare si forma la Comune di Parigi, soffocata nel sangue il 21 maggio. Anche qui Cipriani è sempre in prima fila. Catturato, condannato a morte, commutata la pena per grazia governativa non richiesta, Cipriani è infine deportato in Nuova Caledonia.
Nel 1881 ritorna in Italia. Arriva in treno a Rimini dove spera di incontrare il padre Felice, gravemente ammalato. Sua madre è morta di crepacuore nei giorni della Comune. Come racconta Vittorio Emiliani (in «Libertari di Romagna», 1995), Cipriani «non fa nemmeno a tempo a scendere dal predellino della vettura ferroviaria che lo arrestano», e lo conducono alla Rocca malatestiana.
Nel 1897, si unisce volontario con molti altri romagnoli nella legione irregolare di Ricciotti Garibaldi (figlio di Giuseppe Garibaldi), con alcuni dei capi dei Fasci Siciliani, ancora a fianco dei Greci contro i Turchi Ottomani nella Guerra greco-turca dove viene ferito. Al suo rientro in Italia nel luglio 1898 viene imprigionato per altri tre anni .
Il 25 gennaio 1913, Amilcare Cipriani, l’“uomo più rosso d’Italia”, viene eletto deputato. Benito Mussolini, la sera stessa, celebra la vittoria arringando il popolo dal balcone dell'”Avanti!“: “Amilcare Cipriani potrà tornare tra noi: gli abbiamo spalancato la porta al confine. Quando per questa magnifica vittoria di popolo, egli sarà qui a Milano, voi dovete fare echeggiare di nuovo il grido che io vi invito a ripetere: Evviva la Comune”.
Cipriani scompare nel 1918 a Parigi, nella «sua» Montmartre. Quando passava per strada la gente guardava con rispetto quell’uomo che aveva sempre gridato «guerra alla guerra!».
Altro anarchico di grande prestigio a Rimini, ma di opposta indole e biografia, fu Domenico Francolini (1850-1926).
Figlio di Luigi, un agiato possidente di Fano, e da Marianna Pani, frequentò il Ginnasio e il Liceo. Nel 1871 si impiegò nel Banco di Sconto. Ardente mazziniano, aderì alla Consociazione Democratica. Nel 1873 fondò il periodico “Il Nettuno” che, da foglio balneare, divenne ben presto la battagliera voce della Sinistra repubblicana e socialista: ciò che gli procurò ripetuti sequestri. Le posizioni politiche di Francolini evolvevano intanto dal mazzinianesimo al socialismo, e infine all’anarchia. Il 2 agosto 1874 fu – con Aurelio Saffi, Alessandro Fortis e altri – tra gli arrestati di Villa Ruffi, un incontro tra militanti repubblicani e anarchici con vaghi obiettivi insurrezionali. Nel 1878 Francolini fu nuovamente arrestato; verrà assolto dall’accusa di aver dato vita a una “banda di malfattori” dopo un anno di carcere. Nel 1881 sposò la contessa Costanza Lettimi. Nel 1880, compiendo un percorso inverso a quello di Andrea Costa, era approdato a convinzioni schiettamente libertarie; tali rimarranno fino alla morte, avvenuta il 10 dicembre 1926. Chiamato “anarchico francescano” per la mitezza del carattere, l’affabilità dei modi e il sostegno, continuo e un po’ paternalistico, ai suoi ben più diseredati compagni di fede, Francolini fu anche un garbato poeta in lingua e in dialetto riminese.