Il 17 gennaio le Chiese occidentali commemorano uno dei Santi più venerati della cristianità: Sant’Antonio Abate, detto anche Sant’Antonio il Grande, Sant’Antonio d’Egitto, Sant’Antonio del Fuoco, Sant’Antonio del Deserto, Sant’Antonio l’Anacoreta (Coma d’Egitto, 251 circa – deserto della Tebaide, 17 gennaio 356). In Oriente la sua festa è il 31 gennaio.
Fondatore del monachesimo e primo Abate (dall’aramaico abbas, “padre”), è patrono di macellai, salumieri, canestrai e soprattutto animali domestici. E’ invocato per guarire l’herpes zoster, il “Fuoco di S. Antonio”.
Proprio perché il figlio era guarito da quella malattia, un certo Gaston de Valloire poco dopo il Mille decise di costruire un hospitium e di fondare una confraternita per l’assistenza dei pellegrini e dei malati presso Arles, in Provenza. Confraternita che si trasformò nell’“Ordine Ospedaliero dei canonici regolari di Sant’Agostino di Sant’Antonio Abate”, detto comunemente degli Antoniani. A loro, grazie alle cure offerte negli ospedali che conducevano a cominciare dal grasso di maiale che guariva l’herpes, si deve l’enorme diffusione del culto antoniano.
L’uso di benedire gli animali il 17 gennaio sarebbe nato in Germania, dove era consuetudine pagare con un maialino l’obolo dovuto agli ospedali, solitamente appunto tenuti dagli Antoniani.
A Rimini Sant’Antogne dal bes-ci era popolarissimo come ovunque. A fine ‘700 gli erano dedicati una chiesetta e l’oratorio dell’omonima Confraternita nell’odierna Via Clodia, ma più anticamente era intitolato a S. Antonio Abate il cimitero presso S. Francesco (poi Tempio Malatestiano) dove nel 1348 furono sepolte le migliaia di vittime della peste nera. Il priorato degli Antoniani era nei pressi dell’attuale Piazza Tre Martiri. Ma in quasi ogni luogo sacro c’era o c’è ancora una cappella, una statuetta, un quadro dedicato al Santo Abate. Notevole poi il convento di S. Antonio Abate a Montemaggio, di recente restaurato.
E anche a Rimini, come in tutta Europa, gli statuti comunali tutelavano i maiali di proprietà degli Antoniani: erano gli unici animali che potevano scorrazzare liberamente per le strade.
Ma soprattutto, erano i contadini ad avere una sconfinata devozione per il Santo. Ancora oggi la sua immagine appare nelle stalle e la sua medaglietta benedetta è sempre pronta per proteggere gli animali della fattoria.
“Per Sent’Antoni t ‘la stala t’andrè, e a j animèl t’farè da magnè”, dicono a Ravenna: per S. Antonio andrai nella stalla e farai da mangiare agli animali (meglio del solito): eco della tradizione diffusa soprattutto in Veneto e in Emilia settentrionale, dove “la notte degli animali parlanti” è questa e non quelle dell’Epifania o di Natale, come accade altrove.
“Sant’Antogne u s’è inamurè de baghin”, S. Antonio si è innamorato del maiale: “si dice per spiegare i gusti più strani, gli affetti più eterogenei” (Quondamatteo).
“Un s’po fè un tort ma Sant’Antogne!”, non si può fare un torto a S. Antonio, uccidendo cioè la femmina di un animale che attende prole.
“L’oglie ad S. Antogne”, l’olio di S. Antonio, era invece secondo Gianni Quodamatteo l’estremo espediente dei marinai riminesi per placare il mare in burrasca: dell’olio benedetto da gettare fra le onde. Ma Paolo Semprini ci fa sapere: “L’olio miracoloso non era di Sant’Antonio ma di San Nicolò, che si dice continuasse a sgorgare dalle sue ossa deposte nel sacro luogo di sepoltura del santo presso la Basilica di Bari. I marinai (me compreso) ne avevano qualche goccia che conservavano gelosamente a bordo”.
“Sent’Antoni da la berba bienca, se un la j ha poc u j menca”, S. Antonio dalla barba bianca se non ce l’ha poco ci manca, cioè la neve se non c’è ancora ci sarà.
Ma niente paura: “Per Sant’Antoni gran fredura, per San Lurenz gran calura, l’on e c’l’elta poc la dura”, per S. Antonio gran raffreddatura, per S. Lorenzo gran calura, l’uno e l’altra durano poco.
“Vo avì sempar da tarmè, infena che Sant’Antoni u ‘ è pasè”, voi dovete sempre tremare fino a che S. Antonio non sarà passato; “Sant’Antoni e’ passerà, alora e’ fred e’ calarà”, S. Antonio passerà e allora il freddo calerà; così nel cesenate. E nel forlivese: “Par Sant’Antoni Abèt, i de i s’alonga d’un’ora e quert”, per S: Antonio i giorni si allungano di un’ora e un quarto.
Sperém!
(nell’immagine di apertura, “Sant’Antonio Abate tra due santi” di Guido Cagnacci nel Museo della Città di Rimini)
17 gennaio 1634 – Nasce a Rimini Antonio Draghi, musicista eccelso alla corte di Vienna