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2 maggio 1335 – I Malatesta si dichiarano ufficialmente signori di Rimini


2 Maggio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

“Nell’anno mille trecento trentacinque del mese di Maggio cominciò la Signoria di Malatesta, e di Galeoto in Rimini, facendosi chiamare assolutamente Signori, e non più Capi, Difensori, e Conseruatori”: cosi Cesare Clementini nel suo “Racconto istorico dela fondatione di Rimino…” pubblicato nel 1617, a meno di un secolo dal definitivo tramonto di quella Signoria.

Malatesta (III) e Galeotto sono i figli di Pandolfo I, a sua volta ultimo figlio del fondatore della Signoria, Malatesta da Verucchio, detto da Dante “il Mastin vecchio”. La città è di fatto nelle mani della famiglia dal 1295, con la cacciata definitiva dei ghibellini Parcitade. Ma nessun titolo legale lo certifica. In base ai vecchi ordinamenti municipali, il Mastino e poi i suoi discendenti vengono “eletti” nelle cariche chiave, sotto le denominazioni citate dal Clementini. In quanto campioni guelfi, i Malatesta dominano i consigli municipali, il tribunale dell’Inquisizione, probabilmente il Capitolo della Cattedrale, sono i principali benefattori degli ordini religiosi in città più eminenti: Francescani, Domenicani, Agostiniani. Spalancano le porte ai toscani Servi di Maria.

Ma solo dopo quarant’anni si ha la forza di poter proclamare quella parola: Signori. Ariminum, non immemore di essere nata colonia latina di Roma, eletta a Municipium dall’Urbe e solo ad essa soggetta, ha sì avuto Duchi e Conti perchè fedele all’impero fin da Giulio Cesare; di più, prima città a riconoscere il primo vero imperator. Ha sì avuto vescovi e abati, ma anche loro a nessuno soggetti se non a Roma. Ha avuto ed ha da almeno duecento anni, ma probabilmente di più, libere istituzioni municipali. Anche se la vetusta carica bizantina del Pater Civitas a Rimini finirà per diventare un cognome, quello appunto dei ghibellini Parcitade che se la passarono di padre in figlio, formalmente la libertas del Comune di Rimini non poteva essere messa in dubbio. Nè papi nè imperatori avevano mai concesso la città in feudo a chicchesia. Signore vuol dire padrone e a Rimini questa parola non si poteva concepire.

Eppure ora si può. Malatesta campioni dei Guelfi, ma ormai sono saltati tutti gli schemi. Il papa sta ad Avignone e per riscuotere qualcosa da terre che sulla carta sarebbero sue, si arrangia come può con i padroni di fatto. Anche se non disdegnano di allearsi con chiunque, perfino con i Tarlati, ultrà ghibellini di Arezzo, per azzannare i beni della Chiesa. Eppure a novembre i nuovi Statuti della città vengono approvati senza che ad Avignone si batta ciglio.

Prima di potersi dire “Signori”, per Malatesta e suo fratello Galeotto la lotta è stata feroce. Tutta però all’interno della famiglia. E quel Malatesta, terzo con tale nome a dominare Rimini e detto anche “l’Antico”, non per nulla verrà immortalato come il Guastafamiglia. 

Intricata quanto efferata la faida fra i discendenti dei quattro figli del Mastino. I primi tre, Giovanni detto Gianciotto, Paolo “il bello” e Malatesta (II) detto Malatestino dell’Occhio e da Dante “il Mastin Nuovo”, avuti da Concordia dei Pandolfini; il quarto, Pandolfo padre del Guastafamiglia, da Margherita Paltenieri (o Poltronieri?) da Monselice (o Conselice?). Come Dante ha consegnato all’immortalità, Giovanni uccide Paolo che ama sua moglie Francesca. Negli anni successivi figli e nipoti si fanno guerra senza quartiere, dove la posta non sono solo Rimini e i possedimenti avìti, ma il controllo di Cesena, Pesaro, Fano e altro ancora.

La faida si conclude in quel 1335. In quel momento il capo del clan è Ferrantino, figlio di Malatestino dell’Occhio. Alle ruggini fra parenti si è aggiunta una gran insoddisfazione nei confronti del papa, che da poco è il francese Benedetto XII. Mandati controvoglia a combattere contro i ghibellini Estensi dal Legato papale Bertrando del Poggetto, non solo la guerra va male, ma caduti i condottieri riminesi prigionieri a Ferrara la Santa Sede si rifiuta di pagare il consueto riscatto. Per Bertrando è la fine e mentre si attende un nuovo Legato, il Guastafamiglia si finge malato.

Ecco perchè lo fa, come riassunto in “Rocche e castelli di Romagna vol. 3” alla voce “I Malatesta”: “Malatesta invita a consiglio Ferrantino con il figlio Malatestino Novello e il nipote Guido; appena li ha in mano corre a Rimini, se ne impadronisce con l’aiuto di Ostasio da Polenta e si fa acclamare signore. Di lì a poco, confinato Ferrantino nella rocca urbinate (morirà a Rimini, vecchìssimo, nel 1353), uccisi gli altri due, Malatesta detto il Guastafamiglia (e si capisce il perchè!) non deve temere che Ferrantino Novello, fratello di Guido, al quale darà la caccia per dieci anni”.

All’epoca dei fatti il Guastafamiglia ha 36 anni. Ne vivrà quasi altri 30 portando il dominio della famiglia fin dove mai era arrivato. Grazie al fratello Galeotto, le Marche sono tutte conquistate tranne Fermo, dove Gentile da Mogliano è un osso troppo duro. Di reputazione non specchiatissima quanto a fedeltà con gli schieramenti, in campo le prende e le dà, ma alla fine il conto è sempre in attivo. Se la caverà anche con il Cardinale Egidio Albornoz, il castigamatti che a ragione viene considerarato il vero fondatore dello Stato della Chiesa.

Il porporato è inviato a ripristinare la legalità fra i signorotti romagnoli, a parole guelfi e teoricamente sudditi del pontefice, ma di fatto non solo indipendenti ma spesso anche ostili. Dopo la batosta subita a Paterno presso Ancona (la città era allora in mano ai Malatesta) il Guastafamiglia alza bandiera bianca, fa penitenza e si mette agli ordini dell’implacabile cardinale spagnolo. Per se e Galeotto riceve in cambio la nomina a Vicario di Santa Romana Chiesa in Rimini, Pesaro, Fano, Fossombrone per dieci anni, rinnovabili. In cambio, si impegna a versare seimila fiorini d’oro all’anno e a far piazza pulita degli ex alleati, guelfi o ghibellini che si dicano ma ugualmente riottosi a San Pietro. Detto e fatto, con in campo anche il prode figlio Ungaro, le bandiere del Malatesta garriscono in tutta la Romagna e arrivano fin sotto le mura di Bologna, liberata dai Visconti che la assediavano.

Il papa ora è Innocenzo VI, non un irriconoscente come il suo lontano predecessore. In virtù anche della loro partecipazione alla Crociata che con tutti i crismi è stata indetta contro Forlì, ostinatamente in mano ai ghibellini Ordelaffi, sui Malatesta piovono i titoli legali per detenere “Gemmano, Montecolombo, Croce, Marazzano, la villa di Corbano, Ligabizzo (Gabicce), Cattolica, Gazzolo, Granarolo, Fanano, Montecatignano”. Ma soprattutto, la vicarìa sulla recalcitrante Santarcangelo, peraltro già sottoposta con le buone o con le cattive agli Statuti riminesi fin da quell’ormai lontano 1335.

Ma ormai siamo al 27 agosto 1364. A 65 anni Malatesta l’Antico chiude gli occhi. A chi lo aveva bollato come Guastafamiglia avrebbe potuto rispondere che la famiglia mai era stata così unita, dopo di lui. Mai così potente, ricca, rispettata e temuta. Grazie al suo primo Signore ufficiale, Rimini ha nuove mura, più ampie e solide, chiese e monasteri in pieno rigoglio, palazzi turriti e floride fattorie fortificate nelle campagne: le tumbae. Un contado ampio e prospero, irto di fortificazioni anche se non del tutto indenne dalle scorrerie.  La città ha dato alla Chiesa ecclesiastici dotti ed eminentissimi come Gregorio da Rimini, Gozio de’ Battagli, Guido da Vernano. Ha vissuto una grande stagione culturale con i pittori della scuola locale ispirata da Giotto. Gli studia degli Agostiniani, dei Domenicani e dei Francescani sono di prim’ordine. La crescita edilizia non conosce sosta e presto occorrerà allargare nuovamente la cerchia delle mura. Ma la città, da tempo immemorabile nessuno osa attaccarla, i traffici e le proprietà sono al sicuro. Il futuro Guastafamiglia da piccolissimo era rimasto indenne da un castrofico terremoto e quando aveva 50 anni perfino dalla Peste Nera che aveva ammazzato due terzi della popolazione, ma non i “Signuri”. In battaglia come in politica, se qualcuno poteva dire di averlo sconfitto, nessuno di averlo soggiogato. Lui e suo fratello Galeotto: fedeli l’uno all’altro tutta vita, nella buona e nella cattiva sorte, nei misfatti come nelle onorate imprese. Lo dicessero pure Guastafamiglia, infido se non traditore, sanguinario e cinico. Ma se qualcun altro avesse da esibire un bilancio migliore del suo, si facesse pure avanti.