2 marzo 1273 – Il nome di Cattolica svelato da una pergamena
2 Marzo 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
2 marzo 1273: in una pergamena dell’Archivio Arcivescovile di Ravenna si cita un “fundus Catholice seu Publici“. È una delle prime attestazioni che segnalano la nascita di Cattolica; ma soprattutto, secondo Antonio Carile (“Katholikai ‘Cattolica/La Catolga – Un arsenale dell’Esarcato”, con M. L. De Nicolò, Milano 1988, citato in “Archeologia e storia di un territorio di confine” a cura di Cristina Ravara Montebelli ) quel Publici chiarisce “il legame con terre origine assegnate ad alti gradi militari del ‘numero’ di Rimini e collegate al castrum Conke“.
Ai profani non apparirà, ma la pergamena in questione è importante perché spiega, assieme ad altri indizi, come mai Cattolica si chiami così.
Non perché, secondo la leggenda riportata dal Clementini nel narrare del Concilio di Rimini del 359, vi si sarebbero rifugiati i cristiani “cattolici” per salvarsi dalla persecuzione degli stessi Ariani che avevano condotto al martirio il vescovo di Rimini, San Gaudenzo.
I terreni di quel fundus erano “cattolici ossia pubblici” perché in origine servivano pagare gli stipendi degli ufficiali “del numero di Rimini”, ovvero del distaccamento militare (un numerus teoricamente era di 500 soldati, ma poteva andare dai 200 ai 400) che aveva il suo comando nella Corte dei Duchi di Rimini. E si trovavano in quel plano Chatolice citato più volte, nel 1259 e ancora nel 1267, cioè prima che Cattolica fosse effettivamente fondata il 16 agosto il 1271.
Sarà peregrino ricordarlo, ma i “bizantini” ignoravano del tutto questo nome che diamo loro, invalso fra gli studiosi a metà Cinquecento ben un secolo dopo la caduta di Costantinopoli. Chiamavano invece se stessi “Romani” (anche se parlavano greco) perché il loro era l’unico, legittimo impero di Roma, durato senza soluzione di continuità da Romolo in poi. E dunque si dice Romagna quella parte d’Italia che comprende la sede imperiale di Ravenna rimasta dei “Romani” quando tutto il resto era ormai dei Longobardi: Lombardia.
Con la sua posizione intermedia fra Rimini e Pesaro e a ridosso del pericoloso promontorio di Focara, la foce del Tavollo poteva ben servire da riparo e rifornimento per le imbarcazioni; quindi forse anche una piccola base navale, un “arsenale”, appunto, come nel titolo del libro citato. E certamente per una buona stazione di sosta lungo la strategica Via Flaminia, l’unico corridoio libero dai “barbari” che ancora conduceva Roma, pur con qualche diversione dalle parti del longobardo ducato di Spoleto. Viaggiando sia per mare che per terra, qui si potevano trovare acqua dolce e viveri abbondanti, grazie al fertile territorio circostante.
“Cattolica potrebbe derivare da Katbolikà determinativo del sostantivo greco Horrìa dal latino horreum, depositi generali”, spiega Maria Lucia De Nicolò, aggiungendo però che questo significato si sarebbe sovrapposto dopo, in un luogo che “conserverebbe anche il ricordo dell’originaria destinazione del suo territorio”: cioè di poderi dati in beneficio agli ufficiali imperiali.
A proteggere lo scalo esisteva una fortificazione “bizantina” sul Monte Vici, quel castrum Conke citato fin dal 756. Ma per la nascita della Cattolica vera e propria bisognerà attendere ancora qualche secolo.
L’atto che certifica la nascita del castello di “Catholica” è infatti del 16 agosto 1271, in cui gli abitanti dei castelli di Fogara (Fiorenzuola), Medio (Casteldimezzo), Ligabizzo (Gabicce) e Granarola si impegnavano a “facere munitionem et terram, que vocatur Catholica”, cioè a costruire un luogo fortificato chiamato Cattolica, per ripararsi dalle continue aggressioni dei Pesaresi. Quei castelli, in origine tutti appartenenti alla Chiesa ravennate, già dai primi del ‘200 si erano dati ai Riminesi, ma evidentemente Pesaro non si rassegnava. In quel luogo “que vocatur”, che chiamano Cattolica.
Nasce così il nuovo insediamento, che assume però un nome già esistente. E nasce con la sottomissione dei suoi abitanti al Comune di Rimini, per il quale si impegnano a combattere da alleati e versare un tributo annuo. In cambio, Rimini li rifornirà e li difenderà da tutti i nemici. Ponendo però una precisa condizione: che i nuovi coloni promettano di “non facere ibi portum”, di non fare lì un porto, perché quello di Rimini non voleva alcuna concorrenza nelle vicinanze.
Una promessa che i cattolichini mantennero, o meglio, dovettero mantenere, addirittura fino alla metà dell’800! Solo allora, finalmente, videro accolta la loro secolare richiesta di avere una “palata” per ricoverare le loro imbarcazioni.