20 dicembre 1296 – Il conte di Romagna cardinal Durante condanna definitivamente i Ghibellini cacciati da Rimini
20 Dicembre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Nominato da papa Martino IV, dal 1283 era Conte di Romagna e Marchese d’Ancona Guglielmo Durante (Guillaume Durand, nell’immagine in apertura) Vescovo Mimatense (ossia di Mende in Linguadoca), celebre e abile giurista che fin dai suoi studi a Bologna e del suo magistero a Modena si era guadagnato l’epiteto di Doctor speculator. Fu lui, fra tante opere, a sostenere la ricostruzione di Castel delle Ripe, roccaforte guelfa dei Brancaleoni distrutta dai Ghibellini di Urbino nel 1277. In suo onore il nuovo abitato si chiamò Casteldurante e tale restò fino al 18 febbraio 1635, quando papa Urbano VIII la elevò al rango di città e di diocesi ed essa cambiò per la terza volta il suo nome, divenendo Urbania.
Il 20 dicembre 1296 il cardinal Durante partì da Imola e fu a Rimini il 23, dove si fermò fino a tutto aprile. Il vecchio Malatesta da Verucchio, che giusto un anno prima si era impossessato della città scacciandone i Ghibellini, gli riservò magnifiche accoglienze. Pertanto Luigi Tonini (“Rimini avanti il principio dell’era volgare, III”) è certo che fu il Durante a mettere il timbro legale sulla cacciata dei suoi nemici. Essi furono dichiarati ribelli di Santa Chiesa e del Comune di Rimini; i loro beni confiscati e devoluti alla Camera Municipale. “Quelle condanne colpirono Giovanni e Galassino di Ugolin Cignatta de’ Parcitadi, morto nella mischia (del 13 dicembre 1295 ndr); Parcitadino figlio del fu Montagna de’ Parcitadi, tutti nobili uomini; non che Rigato del fu Rizio da Lauditorio (Auditore), Raimirolo del fu Martino egualmente da Lauditorio, e Capo di Guidicino da Monte Reguardo, anch’esso de’ Signori di Lauditorio; e molte altre famiglie seguaci loro”.
Secondo la classica tecnica del poliziotto buono e quello cattivo, a sentir ciò papa Bonifacio VIII che comunque perseguiva una politica a suo modo di “riconciliazione”, parve cadere dalle nuvole e “intimò al Comune di Rimini con lettera del 26 gennajo, mandasse a Roma prima delle calende di marzo due Ambasciatori muniti di ample facoltà; e prescriveva altrettanto ai Comuni di Ravenna, Cesena, Forlì, Forlimpopoli, Cervia, Faenza, Imola, e S. Leo. Personalmente poi chiamava alla sua presenza Malatesta da Verucchio, i Conti Guido, Galasso, e Corrado del Montefeltro, Rainerio da Calboli, e Maghinardo da Sosenana, per avere da essi più speciali informazioni dello stato della Provincia, e trattare sul modo di ottenere la pubblica tranquillità. Ma ci voleva ben altro che avvocare a Roma la cognizione di questi fatti!”, conclude giustamente il Tonini.
Ben lungi dal volersi recare alla conferenza di pace convocata dal pontefice, i fuorusciti ghibellini di Rimini assieme a quelli di Ravenna e di Bertinoro si appoggiarono alle città di Cesena, Forlì, Faenza, Imola, e Bagnacavallo, e il primo di aprile “stringevano lega col Marchese Azzo di Ferrara, con Modena, e con Reggio”. Ma fu soprattutto il conte Giovanni Malatesta da Sogliano a farsi notare “ricoverando i fuorusciti di Rimini”: se non fratello come ritenne Tonini, era comunque parente stretto di Malatesta da Verucchio, probabilmente cugino di primo grado.
Ma a differenza del congiunto era rimasto nella fede ghibellina anche nella mala sorte, se non altro perchè doveva il titolo comitale alla moglie Sofia dei Silighini. Questa famiglia raccontava di discendere niente meno che da Lucio Cornelio Silla, il dittatore romano rivale di Mario. Senza risalire tanto addietro, dichiaravano altresì di essere stati elevati a conti da papa Nicolò I nell’862 per intervento di Giovanni VII arcivescovo di Ravenna, mentre nel codice Bavaro (IX secolo?) risultavano proprietari di un fundus Sulliani. Comunque fosse, ghibellini di ferro dai quali Giovanni non volle sviare a costo di cozzare con la montante potenza del vecchio congiunto verucchiese, “per cui cominciarono fra loro vicendevoli rappresaglie”.
“Odio, che durò lungo e implacato, fin che nel 1312 non fu operata pe’ Malatesti di Rimini la distruzione di quel Castello, come avrem luogo a dire nel Secolo XIV”.