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20 ottobre 1386 – Carlo Malatesta riprende Santarcangelo e vi erige la più alta torre d’Italia


20 Ottobre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Santarcangelo per lungo tempo fu oggetto di contesa fra il Vescovo e il Comune di Rimini. Presa nel 1288 da Giovanni “Gianciotto” Malatesta – l’uccisore di sua moglie Francesca e di suo fratello Paolo – la Santa Sede riuscì a recuperarla e cercò di spostarla nell’orbita cesenate, concedendola alla famiglia Tavelli. Ma il 20 maggio 1326 Balacuccio e Fidughino de’ Balacchi, giunti nottetempo da Rimini, assalirono il castello, catturarono i Tavelli per consegnarli a Ferrantino Malatesta e ammazzarono tutti gli altri che erano con loro.

I Malatesta hanno dunque appoggiato il golpe, ma devono subire un’amara delusione: i Balacchi si proclamano signori di Santarcangelo, sostenendo di averne titolo in quanto investiti dai loro antenati, due dei quali erano stati Vescovi di Rimini. Pretesa del tutto infondata, ma se anche fosse stato il contrario Ferrantino non gliel’avrebbe comunque fatta passare liscia. E così il Malatesta già il 25 maggio si presenta sotto le mura del castello con truppe sia di Rimini che di Cesena, ma non c’è niente da fare: i Balacchi vi si sono ormai appollaiati.

Seguono decenni di contese e di passaggi di mano, con i Balacchi che ormai si fanno chiamare, senza averne alcun titolo “Conti di Santarcangelo. Hanno ormai un certo seguito in città e se la riprendono per l’ennesima volta alla morte di Galeotto Malatesta, nel 1385, grazie a una sollevazione popolare.

Ma l’anno dopo arriva la resa dei conti, una volta tanto senza violenza. Come si legge nelle “Memorie istorico-critiche della città di Santo Arcangelo raccolte da monsignor Marino Marini, prefetto degli Archivi Vaticani” (1846), «Carlo Malatesta, figlio di Galeotto, costituito dal Papa Rettore di Romagna, andò egli ai 20 de ottobre 1386, alle ore otto di notte con un buon numero di gente a ricuperare alla Chiesa quella terra, ch’ebbela senza spargimento di sangue e colla prigionia di Gasparo e di Lorenzo Balacchi, essendo Paolo lor fratello fuggito ». Carlo non è “solo” Rettore papale, ma figura soprattutto fra i maggiori sostenitori di papa Urbano VI. Già nel 1378, appena eletto, contro di lui era stato eletto l’anti-papa Roberto da Ginevra, cugino del re di Francia, che prese il nome di Clemente VII. La questione era infatti il ritorno dei pontefici a Roma da Avignone, dove stavano fin dal 1309.

Bartolomeo Prignano da Itri, metropolita di Acerenza e Matera nonchè arcivescovo di Bari, era stato voluto dal popolo dell’Urbe – “romano lo volemo, o almanco italiano” – proprio perchè avrebbe ristabilito la Sede apostolica là dove era sempre stata. Fu l’inzio del Grande Scisma d’Occidente, durato quasi 40 anni fino al 1418, che vide anche quattro sedicenti pontefici contemporaneamente in carica. Una fase drammatica per la Chiesa, in cui il Malatesta fu uno dei protagonisti, e con peso crescente, dall’inzio alla fine.

Carlo Malatesta

Carlo promette di rispettare le libertà municipali – Santarcangelo è un Vicariato autonomo – e quindi «serbarla indipendente dai Riminesi» confermando il Vicario Giorgio, «uomo valente», promettendo di costruire una nuova chiesa dedicata a San Paolo e soprattutto di risarcire i proprietari di quelle case che erano state abbattute per far spazio davanti alla rocca.

Però il Malatesta fa anche altro: «Affinché gli Arcangeliani non ardissero in avvenire di ribellarsi alla Chiesa, aggiunse alla Rocca una torre, che, in altezza, e in beltà superava, come già dissi seguendo il Clementini, e l’Amiani, le più famose e nominate d’Italia, e dentro ad essa erano due scale a lumaca per salire, e discendere senza darsi intoppo, riputata poco meno che l’ottava meraviglia del mondo».

Conferma il Branchitanto quell’opera venne giudicata straordinaria, stendendo così il sintetico necrologio di Carlo: la torre di Santarcagelo è l’unica sua opera ad essere citata, tanta fama deve avere avuta: «Morì el signor Carlo de’ Malatesti, quale a suo tempo acquistò Santo Arcangelo, dove edificò la più alta e grossa torre de Italia». Non che le altre realizzazioni fossero state di poco conto. Quali il completo rifacimento del porto e delle mura di Rimini, l’aver portato o domini malatestiani al massimo della loro estensione, l’aver governato saggiamente un popolo che lo adorava, l’essere stato il più importante difesore di un papa durante il drammatico scisma d’occidente, fino a ospitarlo a Rimini facendone di fatto sede apostolica. In breve, Carlo Malatesta fu il più grande della sua dinastia, ma fra tante opere e imprese è la torre di Santarcangelo a simboleggiarlo per i contemporaei.

Se non che, non sapremo mai come era fatta. La meravigliosa torre fu dimezzata già nel 1447 da Sigismondo Pandolfo Malatesta. Probabilmente era ormai già troppo alta per il progredire delle artiglierie.

Mentre di certo non aveva dato buone prove di sé dal punto di vista militare: aveva sì resistito nel 1387 ai forlivesi di Giovanni Ordelaffi, ma era stata espugnata nel 1390 da Giovanni Sforza di Barbiano e ancora nel 1426 dai viscontei di Angelo della Pergola. In compenso Sigismondo ricostruì la rocca di cui faceva parte e munì tutta Santarcangelo di nuove mura: quelle che più o meno vediamo adesso.

Osservando oggi il maschio della rocca e provando a immaginarselo il doppio più alto, lo spettacolo offerto dalla torre di Carlo doveva essere davvero imponente. E, chissà: pur essendo stata solo per poco più di sessant’anni la torre più alta e bella d’Italia, forse seminò una nostalgia più o meno inconscia da spingere i cittadini a erigere quattro secoli dopo il “Campanone”, da allora inconfondibile simbolo di Santarcangelo.