21 giugno 1860 – Seconda guerra di indipendenza, a Rimini una festa dietro l’altra
21 Giugno 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Il 1860 è l’anno decisivo dell’unità d’Italia. E anche Rimini scoppia di entusiasmo. E non solo in senso figurato. Come ricorda Carlo Tonini, già il 18 marzo, quando era giunto l’annuncio ufficiale che il re Vittorio Emanuele aveva “accettato” l’esito dei plebisciti con cui i Romagnoli – aventi diritto al voto: 252.727, votanti 203.384 (80,48%), favorevoli 202.659 (80,19%), contrari 254 (0,10%), astenuti 49.343 (19,52%), nulli 471 (0,19%) – i Bolognesi, gli Emiliani e i Toscani avevano scelto l’annessione al regno sabaudo, a Rimini «furono subito sparati 101 colpi di cannone; addobbate le finestre; messa in moto la banda per la città, che tutta fu percorsa da grande folla di gente e con gridi di evviva; aperti due teatri con drammatiche rappresentazioni. Rimini a’ quei tempi era piena d’insolita vita pel trovarsi in essa numerose milizie di ogni arma, che rallegravano il popolo col suono delle molte bande, e colle parate che spesso facevano, delle quali bellissima era stata quella specialmente eseguitasi il 14 pel natalizio di Re Vittorio».
Ma per ora si tratta di variopinte milizie volontarie. L’esercito piemontese arriva il 18 aprile con alla testa il generale Enrico Cialdini, «festeggiatissimo esso pure». Ciò nonostante, il ruvido ufficiale modenese bada al sodo e «disapprovò le fortificazioni fatte, come troppo vicine alla città: laonde se ne sospese la prosecuzione».
Il primo maggio re Vittorio entra trionfalmente a Bologna. Il nuovo Consiglio Comunale aveva già stanziato 150 mila lire da offrire al sovrano per la guerra; ora il Conte Sallustio Ferrari-Banditi, primo sindaco di Rimini, e il deputato Conte Vincenzo Salvoni si recano sotto le Due Torri a consegnare la somma, «onde anche qui festeggiossi: ma più ancora allorché ricorrendo l’anniversario della concessione dello Statuto al Piemonte, mentre per la città sventolavano le bandiere e alle finestre erano i tappeti, tutte le autorità si recarono in cattedrale per assistere alla messa che fu celebrata da un cappellano della truppa, perchè niuno de’ nostri sacerdoti vi si potea prestare, stante le proibizioni del Papa. Dopo la messa fu cantato il Te Deum a cappella e data la benedizione col SS.mo. Indi si estrassero doti per povere zitelle: e la sera, luminaria, fuochi artificiali, e spettacolo in teatro».
Ma il 21 giugno i festeggiamenti giungono al culmine. Proprio quel giorno i garibaldini entrano a Palermo «sotto una pioggia di fiori». Garibaldi, incredibilmente, ha ormai strappato tutta la Sicilia ai Borboni, manca solo Milazzo. Giorno dopo giorno, il telegrafo e le gazzette fanno pervenire una notizia più esaltante dell’altra. Ormai si dà per certo che i Piemontesi invaderanno il resto dello Stato Pontificio, mentre Marchigiani e Umbri mordono il freno, la stessa Roma sembra a portata di mano.
Ma soprattutto, in quella data a Rimini ricorre il primo anniversario dell’abbandono della città da parte delle truppe del Papa: «Nuova dimostrazione di giubilo, aggiungendosi alle solite pompe delle luminarie e degli addobbi il suono della campana del pubblico. E tutto ciò per iniziativa del Comitato della Società nazionale, fondata dal Cavour e dal Farini e qui pure ben presto istituita al pari della Guardia Nazionale, a cui furono chiamati a prendere parte tutti i cittadini atti alle armi».
Ormai bandiere, broccati e tappeti non si tolgono più dai balconi, mentre di fiori per ghirlande si avvertono certa penuria e fulminei aumento dei prezzi. Tuttavia la polvere da sparo pare gratis, dal momento che a ogni minima buona nuova tutti schioppettano gaiamente al cielo quasi si fosse ad altrettanti matrimoni. Si va così avanti a festeggiare senza soluzione di continuità almeno fino al 25 giugno, quando cade un altro importante anniversario, quello della battaglia di Solferino.
Pertanto, «una commovente funzione fecesi in duomo colla celebrazione di messa funebre, alla quale assistette anche il Capitolo della Cattedrale. Un maestoso tumolo era stato eretto in mezzo al tempio con dori e con bella e grave epigrafe del Dott. Enrico Bilancioni. Lo attorniavano le milizie regolari e i fanciulli dell’asilo infantile. Grande fu il concorso del popolo d’ogni ordine e condizione. La novella Guardia Nazionale schierata innanzi al lato esterno del Tempio, che si adorna delle tombe marmoree, al tempo dell’elevazione fece bellissime salve di moschetteria».