22 luglio 1617 – I corsari Uscocchi visitano Rimini
22 Luglio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Solo nel 1673, dopo decenni di disperate richieste da parte della popolazionee dei suoi rappresentanti locali, lo Stato della Chiesa si decise a costruire sei torri di avvistamento da Cattolica a Bellaria. Sono le torri che dovevano servire a difendersi dai pirati (ma anche da molto altro) e che verranno chiamate “saracene”. In realtà in quegli anni il pericolo più costante non era venuto dai corsari musulmani, la cui base più prossima era a Dulcigno (in albanese Ulqin, in serbo-croato Ulcinj, oggi in Montenegro), bensì dai ben più vicini Uscocchi, cattolicissimi e con il covo a Segna (Senj), presso Fiume.
Gli Uscocchi erano croati, serbi e bosniaci fuggiti dal dominio ottomano, ma anche sbandati di ogni provenienza e risma, cui l’Impero asburgico aveva concesso protezione ai primi del ‘500: in teoria per fronteggiare i Turchi, in pratica per molestare Venezia e tutta la costa adriatica occidentale, Stato della Chiesa compreso. Abbordaggi di navigli, ma anche razzie sulla terraferma con rapimenti di gente da ridurre in schiavitù o per cui chiedere un riscatto, fra ‘500 e ‘600 erano tristi consuetudini anche sulle coste romagnole. Venezia dovette combattere contro gli Austriaci ben due “guerre degli Uscocchi”, ottenendo alla fine che il nido dei pirati fosse smantellato. Era il novembre 1617.
Ma fino all’ultimo ogni apparizione degli Uscocchi destava ovviamente il massimo allarme. E così, proprio in quel 1617, come scrive Carlo Tonini, «essendo usciti a corseggiare nell’Adriatico gli Uscocchi, (…) avvenne che anche i nostri dovessero vigilare e premunirsi contro le invasioni di quei pirati».
E gli Uscocchi arrivano davvero a Rimini: «Che anzi, sebbene senza danni, si ebbero il regalo di una loro visita – prosegue il Tonini – e questa, secondo il Pedroni, precisamente a’ 22 di luglio, giorno di sabbato; in cui, fra le 21 e 22 ore, entrarono in questo porto quattro loro barche con la capitana benissimo armate».
Ma per una volta non si tratta di un’aggressione: «Molti di essi scesero in terra a mangiare sul lido, ed uno venne dentro la città per mostrare certe loro patenti al governatore». Gli Uscocchi infatti erano esattamente dei corsari, non dei pirati: la differenza non è da poco. I corsari agivano in nome e per conto di uno stato sovrano, che aveva rilasciato loro delle “patenti”, appunto, in cui erano specificati i limiti delle loro azioni e fissate le percentuali del profitto. In questo caso gli Uscocchi avranno mostrato al governatore riminese delle patenti dell’Impero. I pirati, invece, non avevano né padroni né leggi, attaccavano indiscriminatamente tutti quanti e non dividevano il bottino con nessuno.
Nonostante i documenti in regola, il governatore di Rimini non è per nulla rassicurato e vuole vederli ripartire al più presto: «Ma questi fece loro rispondere che dovessero ritirarsi al largo in mare; ond’essi prontamente partirono andando verso Pesaro, e, come poi s’intese, recarono molto danno a quella riviera». Dunque il Governatore riminese, patenti o non patenti, aveva fatto bene a non fidarsi. Se infatti la città non poteva correre pericoli, grande e difesa com’era, non altrettanto poteva dirsi dei villaggi e le case isolate lungo la costa. E infatti avevano più volte dovuto subire scorrerie sia la zona di Bellaria che quelle fra Riccione e Cattolica.
Corsari ma cristiani, anzi cattolici e al servizio del Sacro Romano Impero. L’epopea degli Uscocchi era scomoda per tutti e fu volentieri dimenticata appena possibile. Non ebbe dei Daniel Defoe a cantarne le gesta in diretta, né dei Louis Stevenson a rievocarle, come accadde ai colleghi nordeuropei passati nei Caraibi: unici al mondo (salvo l’eccezione dei pirati malesiani di Salgari) a divenire eroi letterari e poi del cinema. Tutti gli altri rimasero la selvaggia genia di reietti che da sempre infestava ogni mare. Ovunque odiata senza riserve e combattuta senza misericordia.
Ma proprio per questo, e per l’essere ignoto ai più, quel nome non poteva sfuggire all’erudizione snobistica di Gabriele D’Annunzio. Il Vate durante la sua “impresa di Fiume” (1919-20) battezzò “Uscocchi” un reparto di legionari incaricati di assalire piratescamente i mercantili per rifornire di viveri l’affamata Reggenza italiana del Carnaro. Erano guidati, guarda caso, da un riminese e fra i più celebri in quei giorni: Capitan Giuseppe Giulietti, leader indiscusso del sindacato dei lavoratori del mare. Finita senza gesta memorabili anche quell’avventura, nuovo oblìo.
Ma non per molto. A impadronirsi di lì a poco degli Uskok saranno i nazionalisti croati, per collocarli trionfalmente nel loro pantheon fra i miti fondanti della Hrvatska. Fino al paradosso di oggi: nella Repubblica di Croazia si chiama Uskok un organismo del sistema giudiziario, collegato all’Ufficio del Procuratore dello Stato e specializzato in indagini sulla corruzione e la criminalità organizzata. E’ stato costituito nel dicembre 2001 e il suo quartier generale si trova non a Segna (Senj) ma nella capitale Zagabria: da infimi delinquenti a punta di diamante delle forze dell’ordine.