22 maggio 1921 – L’eccidio fascista di Santa Giustina
22 Maggio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Il primo dopoguerra anche nel Riminese è segnato dalla violenza, come riepiloga Luigi Montanari sulla scorta di Don Giovanni Montali (Una cara “vecchia quercia – Ed. Il Ponte).
Il 2 giugno 1920, mentre si sta recando alla fiera di Cattolica, viene freddato con un colpo a bruciapelo Secondo Clementoni, possidente di 44 anni di San Martino in Strada, Riccione; i sospetti ricadono sugli anarchici.
L’11 maggio 1921, alla vigilia delle elezioni che si terranno il 15, a San Marino viene ferito il dottor Carlo Bosi, simpatizzante fascista; “muore il 14, dopo una straziante agonia”.
Luigi Platania in gioventù è anarchico, poi diviene acceso interventista; pluridecorato al valor militare e mutilato di guerra, è uno dei fondatori del fascio riminese. Il 19 maggio 1921 viene ucciso alla stazione ferroviaria di Rimini, dove lavora come guardasala. Come esecutore materiale dell’omicidio viene arrestato Guerrino Amati, portalettere di 23 anni, anarchico e pregiudicato politico. Quali complici, finiscono nelle carceri di Forlì suo fratello Zeno, Dante Lazzari, tale Gabellini, Zeno Zavoli, tutti anarchici; i socialisti Francesco Zama ed Edgardo Magrini, quest’ultimo poi divenuto comunista.
“Nel ’23, del delitto si assume la responsabilità Carlo Ciavatti, che non poteva essere l’autore del fatto – sostiene Montanari – Alcuni testimoni, la sera del 19 maggio, lo avevano visto al cinema Fulgor. Nel ’24, Ciavatti viene condannato a 20 anni di carcere: ne sconta 14″.
Ciavatti, straccivendolo, detto “il monco” perché mutilato di una mano e con un’interminabile fedina penale, era stato arrestato per tentato omicidio già il 29 agosto del 1921 dopo aver partecipato a un’azione degli Arditi del Popolo in Piazza Tripoli a Rimini il 14 di quel mese; erano rimasti feriti lo stesso Ciavatti e Augusto Alvisi del direttorio fascista di Bologna, colpito a una natica. Scontati i 14 anni, condurrà una vita di stenti e disperazione, fino a chiedere lui stesso di essere mandato al confino di Ventotene pur di sopravvivere. Dopo il 25 luglio ’43 e la caduta del fascismo, invece di essere liberato finisce nel carcere di Foggia, dove si toglie la vita.
Ma torniamo a quel maggio del 1921. La vendetta dei fascisti per l’omicidio di Platania è immediata. A Santarcangelo, scrive l’organo cattolico L’Ausa, «hanno terrorizzato i cittadini tutti, girando con le rivoltelle alla mano, con bastoni, minacciando, entrando nelle case».
A Rimini, a poche ore dal delitto, in piazza Cavour ci sono scontri fra comunisti e fascisti. Questi ultimi sparano colpi di pistola «per intimidazione». Poi la spedizione punitiva nel borgo San Giuliano dove il Circolo anarchico viene dato alle fiamme. L’arrivo dei pompieri è ostacolato dalle camicie nere, che poi dànno fuoco pure al Circolo dei ferrovieri in via Clodia. Anche qui si cerca di impedire l’opera di spegnimento, con pugnalate alle gomme dell’autopompa. In via Castelfidardo viene presa di mira la casa del sindaco socialista dottor Arturo Clari.
Sabato 21: i fascisti scorrazzano per Rimini «menando botte da orbi a chiunque volente o nolente non si fosse tolto il cappello al passaggio delle loro bandiere».
Domenica 22, i funerali di Platania sono disertati dalla popolazione. Il settimanale fascista di Bologna, L’Assalto, il 28 maggio definisce Rimini «la città dei rammolliti e dei vili», «paese di mercanti ed affittacamere», e assicura che «la vendetta fascista avverrà… nel periodo più movimentato della stagione balneare».
Ma la vendetta era arrivata ben prima. Domenica 22 maggio 1921, verso sera, il paese di Santa Giustina è radunato davanti alla chiesa per la festa del Corpus Domini. Da Rimini arriva una colonna di squadristi bolognesi che stanno rientrando nella loro città dopo le azioni compiute nel circondario.
“I fuochi d’artificio rimbombano nell’aria. Ad un tratto avviene un fuggi fuggi generale. Si fatica a comprendere che cosa sia successo. Il bilancio complessivo sarà di tre persone uccise“.
Sul terreno resta il corpo di Ferdinando Samuelli Amati, 40 anni, sposato e padre di quattro figli. All’ospedale muoiono Pierino Vannoni, 18 anni, sposo da un mese; e Salvatore Sarti, 42 anni, di San Lorenzo in Monte. Sono tutti lavoratori della terra. Sarti si trovava a Santa Giustina per ritirare del grano macinato da un mugnaio del luogo.
A sparare sono stati i fascisti. Ma perché? L’Ausa del 25 maggio parla di «qualche provocazione e gesto all’indirizzo dei fascisti», di fischi, colpi di rivoltella, e di «un fascista leggermente ferito ad un polso». Il foglio socialista Germinal del 28 assicura: «Nessuno ha sparato, nessuno ha provocato». Il Carlino del 24 ipotizza un agguato contro i fascisti, confermato (ma senza prove di fatto) dall’autorità di Polizia. L’Avvenire d’Italia dello stesso giorno scrive: «Secondo una versione, il delitto sarebbe stato provocato da elementi comunisti, fermi sul piazzale della borgata, i quali avrebbero rivolte parole ingiuriose contro i fascisti bolognesi mentre passavano in camion».
«Quella fu una notte tremenda che si poteva evitare, e che noi vecchi non sappiamo ancora dimenticare», testimoniò a Flavio Lombardini nel 1982 un anziano di Santa Giustina che aveva assistito all’eccidio: «Sul momento la gente non si rese conto di quanto avveniva».
«Al momento di congedarmi, il più vecchio dei quattro, un ottantenne ancora “in gamba”, che per tutta la durata del colloquio osservò il più “placido silenzio” – scrive Lombardini – tenne a dichiarare che in quel tempo Santa Giustina era conosciuta come la frazione di Rimini in cui più forte era l’antifascismo, che si raccoglieva attorno al socialista Adamo Berti e al parroco don Silvio Casadei».
E nella biografia dello stesso Adamo Berti si legge: «La violenza fascista aveva scelto Santa Giustina come villaggio da colpire e su cui sfogarsi prima di tornare a Bologna, perché antifascista più degli altri paeselli e certamente si volle lasciare un’impronta della pazzia e della cattiveria dei suoi alfieri, sparando all’impazzata».