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22 settembre 1333 – I Malatesti cacciano il rettore del Papa e si riprendono Rimini


22 Settembre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Il re di Napoli Roberto d’Angiò detto “il saggio” in teoria avrebbe dovuto essere il leader assoluto della Parte Guelfa in Italia. Nipote di quel Carlo I che aveva abbattuto la potenza della casa sveva degli Hohenstaufen, umiliato l’impero e disperso i Ghibellini, lui stesso si era opposto agli Aragonesi, agli ultimi sussulti ghibellini a seguito delle calate in Italia degli imperatori Arrigo VII e Ludovico il Bavaro. E invece l’Angioino aveva convocato a Genova sia Guelfi che Ghibellini per spiegare a tutti che ormai queste etichette non avevano più senso. L’impero era fuori dai giochi, era evidente per tutti. E il Papa se ne stava ad Avignone. E allora, che l’Italia si governasse da se. O meglio: ciascuna potenza grande o piccola, guelfa o ghibellina, poteva benissimo cavarsela senza dover nulla nè a un pontefice francese nè a un imperatore tedesco. Se poi c’erano questioni da regolare, nella peggiore delle ipotesi ci poteva anche scappare una guerricciola. Ma intanto era interesse di tutti liberarsi di chi arrivava da fuori solo per drenare ricchezze non sue.

L’Italia si inchina a Roberto d’Angiò (Miniatura attribuita a Convenevole da Prato – British Library, Londra)

In quel momento, per essere più precisi, a compiere queste azioni indigeste era il legato papale Bertrando del Poggetto per conto di suo zio, il pontefice Giovanni XXII, e grazie a all’aiuto di un pericoloso concorrente per l’egemonia nella penisola, Giovanni di Boemia. Roberto additò la loro cacciata come priorità assoluta. E a Genova scrosciarono gli applausi, sia dei Ghibellini che dei Guelfi.

Fra questi ultimi c’erano i Malatesta, che però, anche per via delle proprie faide interne, si erano ritrovati fuori dai loro sudati domini a iniziare dalla prediletta Rimini, governata da un rettore che nel 1333 era il bolognese Brandiligi Gozzadini. Come già il suo predecessore Arnaldo Donati, Brandiligi abitava nelle sequestrate case dei Malatesti: un’onta in più da lavare.

Stemma del cardinale Bertrando del Poggetto

La resa dei conti arriva il 22 settembre. Si legge in un’anonima cronaca bolognese: “Si s’acordono li Mallatesti, zoè tucta la chaxa insieme, e feno hoste a Rimino, che se tegnia per misser lo legato”. Tutta la “chaxa” comprende il Malatesta che si guadagnerà poi l’appelliativo  di “Guastafamiglia” e suo fratello Galeotto, il cugino Ferrantino e i suoi figli e nipoti Malatestino Novello, Ferrantino Novello e Guido: tutti e sei ordinati cavalieri e ben forniti di mezzi militari, finanziari e politici. L’astro di Bertrando del Poggetto è infatti ormai al tramonto, nessuno lo vuole più fra i piedi meno che meno dopo che le sue truppe sono state disastrosamente sconfitte dagli Estensi e dai loro alleati. La rivolta cova ormai nella stessa Bologna, dove il nipote del papa aveva fatto base e vi aveva eretto il sontuoso palazzo-fortezza della Galliera (le cui rovine vediamo nel parco della Montagnola). Betrando aveva anche fatto credere che lo zio pontefice avrebbe lasciato Avignone per tornare in Italia, ma non a Roma bensì per stabilirsi a Bologna! E anche per fargli pagare questa millanteria l’anno dopo il legato scamperà a stento dalla furia del popolo bolognese, che si sfogherà radendo al suolo la Galliera.

Ma tornando a Rimini, la stessa cronaca bolognese informa che “In dito milleximo, e fo in mercori, gli Mallatesti tolseno Rimeno (…) e si era per retore miser Brandelixe di Gozzadini. E tolseno la terra per questo modo, che la parte di Mallatesti ch’era dentro s’arostono alla porta de sovra e si cridono: “Mora la Gliexia’ (“Muoia la Chiesa!” Ovvero il partito papale), sì che costroro treno alla porta et introno dentro per forza. E fo morta e presa la gente che i era per lo legato: e ‘l dito miser Brandelixe si fo preso”.

Stemma dei Gozzadini

Significativamente, il colpo di mano dei Malatesti avviene esattamente utilizzando le stesse modalità e gli stessi luoghi serviti al loro avo, Malatesta da Verucchio detto da Dante il “Mastin Vecchio”, quando nel 1295 si era impossessato per la prima volta della città instaurando la signoria della sua famiglia: porta S. Andrea, a ridosso della quale c’era le “Case rosse” appartenenti alla famiglia dei signori e a quelle di loro sodali come i Faetani.

Spiega infatti più dettagliatamente l’anonima Cronaca malatestiana: “MCCCXXXIII, del mese di setembre. Se parte el ditto miser Ferantino e miser Galeotto e miser Malatestino com molti insiti d’Arimino e cum CLX omini a cavallo e più de MD boni fanti, da Santo Arcanzolo; e venne soccamente e senza alcuno ordine, e passò el fiume dela Marechia, e venne a porta Santo Andrea. Tutti i citadini cominzò a fare i seragli (barricate) per la terra. Buscole da Faitano tolse la bandera de miser Galaotto e com più de CCCC fanti, che era intradi per casa sua, venne in lo trebbo de porta Santo Andrea. Ecco venire alla ditta porta VI bandere da cavallo (potevano essere dai 150 ai 200 uomini) de quigli de la Chiesa. Tutta quella gente usì fora per le case del ditto Buscole. Poi si partì quelle sei bandere e andò verso il foro (l’odierna piazza Tre Martiri); chè, se fosse state ferme, non gl’intrava de quiglie dì. Partidose el ditto Buscole cun suoi amici, tornò dentro in lo ditto trebbo e com gli mazzi e martelli de ferre fè rompere le petre, che teneva le porte predite”.

Porta S.Andrea o Montanara ai primi del ‘900 inglobata nelle “Case rosse” che furono dei Malatesta

“Giettate le porte per terra, la gente di Malatesti intrò dentro et andonno al foro: e lì cominzò a fugire tutta la gente dela Chiesa, et omine e femine su per le case glie percoteva com lanze, com balestre, com petre e com cuppi. Finalmente se redussono tutti nela piazza de Santa Colomba (piazza Malatesta). Quando i Malatesti fonno al trebbo degli Agolante (presso l’odierna piazza Ferrari) e vedde questa gente, se mosse cum L lanze (circa 50 cavalieri e 100 fanti); e tutti fonno prisi e spogliati, perchè non fenno nissuna deffesa. E per questo partito fo sconfitta e presa la gente della Chiesa. Poi i ditti signuri corse la terra, chi per una piazza chi per l’altra, non lassando rubare persona veruna e sempre le trombe gridando che persona nissuna non debba rubare chivelli. E stette i ditti signuri poco inseme, ché cominzò a petorezare l’uno verso l’altro; ma per paura del legato sostenne perfina ch’el ditto legato fo caciato de Bologna: e como el ditto legato fo partito, andò a male”.

(Nell’immagine in apertura: miniatura austriaca, 1300 ca,)