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23 luglio 1357 – Galeotto Malatesta conquista Bertinoro


23 Luglio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Una delle figure femminili più grandi del medio evo è quella di Marzia Ordelaffi, più conosciuta come Cia degli Ubaldini, moglie di Francesco II Ordelaffi il Grande signore di Forlì. Indomita, spietata fino alla ferocia, orgogliosissima del suo lignaggio e delle sue prerogative.

Lo stemma degli Ordelaffi di Forlì

Lo stemma degli Ordelaffi di Forlì

Cia era figlia di Vanni Ubaldini da Susinana e di Andrea Pagani, figlia a sua volta del celebre Maghinardo Pagani da Susinana. Gli Ubaldini erano un’antichissima famiglia forse di origine longobarda che possedeva diversi feudi lungo il crinale appenninico del Mugello fra Romagna e Toscana. All’apice della potenza con Federico I Barbarossa, furono sempre fieramente Ghibellini. Secondo la leggenda, fu l’imperatore a concedere il privilegio di inserire una testa di cervo nello stemma di famiglia, poichè uno degli ubaldinidi cui era ospite nel castello della Pila durante una battuta di caccia avrebbe afferrato l’animale per le corna così che Federico potesse trafiggerlo.

Stemma degli Ubaldini

Ma il personaggio più potente della famiglia fu il cardinale Ottaviano, che invece fu colui che nel 1248 ridusse tutta la Romagna all’obbedienza guelfa; tra il 1249 e il 1250 fu anche amministratore apostolico della diocesi di Rimini. Fu lui a ottenere la contea della Carda, presso Apecchio alle falde del monte Nerone, che restò i suoi discendenti fino al 1752. Era un Ubaldini quel Ruggieri vescovo di Pisa, nipote di Ottaviano, che fece imprigionare Ugolino della Gherardesca insieme a due figli e due nipoti nella torre della Muda, dove morirono di fame.

Stella degli Ugolini della Pila

Destreggiandosi fra Guelfi e Ghibellini, Maghinardo era riuscito a diventare signore di Faenza e Imola oltre che di una buona fetta di Appennino. A fianco di Dante Alighieri con i guelfi nella battaglia di Campaldino, poi di nuovo dalla sua stessa parte in quanto, cambiata bandiera, si era alleato con i ghibellini Ordelaffi, il Sommo Poeta lo pose comunque all’Inferno nelle Malebolge, l’VIII cerchio fra i falsi consiglieri (canto XIV), mentre Ruggieri finì nel IX cerchio fra i traditori politici (canto XXXIII).

Quanto alla nipote Cia, aiutò sempre il marito nella sua lotta con la parte ghibellina. Nel maggio del 1351, il suo intervento in soccorso del figlio Lodovico Ordelaffi fu decisivo per la vittoria della battaglia di Dovadola.

Nel 1357, durante la Crociata contro i Forlivesi, fu incaricata dal marito di difendere Cesena, di cui Francesco era riuscito ad ottenere la signoria.

Così dice l’anonima Vita di Cola di Rienzo: «In Cesena staieva madonna Cia, la moglie dello capitanio de Forlì, con suoi nepoti e con granne forestaria drento dalla rocca. A questa madonna Cia lo capitanio scrisse una lettera. La lettera diceva così: “Cia, aiate bona e sollicita cura della citate de Cesena”. Madonna Cia respuse in questa forma: “Signore mio, piacciave de avere bona cura de Forlì, ca io averaio bona cura de Cesena”».

Nei racconti popolari rimane ancora vivo ancora oggi il ricordo della sua eroica resistenza contro le truppe di Egidio Albornoz, a cui alla fine dovette comunque cedere, non senza prima aver martoriato di rappreseaglie la popolazione che voleva arrendersi e aver fatto tagliare la testa a traditori veri o presunti. A condurre la Crociata contro gli Ordelaffi erano i guelfi Malatesta: Galeotto e suo fratello, l’Ungaro. Come spesso è accaduto loro, i signori di Rimini anche in questa circostanza si trovano dalla parte “sbagliata”: o meglio, in questo caso, quella vincente nella storia, ma perdente nella fama e nella gloria. 

Fatto sta che dopo la caduta di Cesena, il 21 giugno 1357, i Malatesta intendono far man bassa. E quindi attaccano subito la strategica Bertinoro, “l’ombelico della Romagna”.

Narra la Cronaca di Giovanni Villani«Ditto Mill.° et die XXVII de Giugno andò Misser Galeotto de’ Malatesti cum tutta la gente della Chiesa a Bertinoro, e comenzò a battere il Borgo, et in questo borgo trasse tutti i soldati da pe e da cavallo, i quali erano qui per lo ditto Capitanio. Et combattendo mis. Galeotto intrò dentro dal lo ditto borgo; et qui fo morto et prisi gente assai; et quigli che scampoe volendose redurre dentro dal Castello, el ditto mis. Galeotto cum sua gente intrò dentro. Et habbe per questo modo el Castello de Bertinoro, et fo rubati tutti i Castellani, et cacciati de casa loro in fino a che si vinse la Rocca de Bertinoro».

La Rocca di Bertinoro

La Rocca di Bertinoro

Dunque Galeotto è riuscito a penetrare nel Castello, cioè la cinta di mura che circonda il Borgo, ma non ha ancora preso la Rocca, la fortezza dove si sono rifugiati gli ultimi difensori.

Ma l’epilogo è scontato. Sempre il Villani: «MCCCLVII, et dì XXIII del mese de Luglio, se rendè la Rocca di Bertinoro ai pasturi della Chiesa, e fono fidati delle persone, et per le grandi cave – gallerie scavate sotto le mura per provocarne il crollo – che erano fatte a la ditta Rocca se convenne rendere; et se non avessero presi patti la Rocca cadeva in terra, et era grandissimo danno».

L’Albornoz era arrivato in Romagna per far abbassare la cresta a tutti i signorotti locali, che si comportavano come capi di stati indipendenti mentre mentre erano tutti feudatari della Chiesa.

Per condurre la sua impresa il cardinale aveva spodestato anche i Malatesta, per poi però arruolarli nella sua “crociata” e nominarli – anche se a termine – Vicari della Santa Sede, poiché della loro forza militare, economica e politica non poteva fare a meno. E alla fine la famiglia riminese si era ritrovata più potente di prima, sia in Romagna che nelle Marche, avendo eliminato, anche se per conto del Papa, gran parte dei loro nemici di sempre.