24 marzo 1084 – Guiberto di Ravenna consacrato papa dai Vescovi di Bologna, Modena e Rimini
24 Marzo 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Il 24 marzo 1084 Guiberto Arcivescovo di Ravenna viene consacrato papa in San Giovanni in Laterano; prende il nome di Clemente III e fra i tre Vescovi che partecipano alla solenne cerimonia c’è anche quello di Rimini, Opizzone, insieme ai colleghi di Bologna Gerardo I e di Modena Landolfo I.
Siamo al culmine della lotta per le investiture e Clemente è l’anti-papa che l’imperatore Enrico IV oppone all’arcinemico Gregorio VII. Pertanto nella sua monumentale storia di Rimini scritta in pieno Risorgimento, il neo-guelfo Luigi Tonini rigetta quella notizia, riportata da Matteo Villani: il Vescovo di Rimini non poteva essere fra gli autori di quell’atto ai suoi occhi sacrilego e filo-germanico “ma per molti si prova che quelli furono il Bolognese, il Modanese, e l’Aretino; onde il facile equivoco tra Aretinus e Ariminensis; sebbene altri per terzo pongano invece il Cremonese. Così potessimo assolverlo dall’aver seguito le parti di quell’Antipapa”. E a sostegno di ciò si aggrappa a una pergamena “vista dal Clementini” nell’Archivio di Scolca ma evidentemente già scomparsa ai tempi suoi, così datata: “Gregorii pape anno octavo, die 29 octobris, Indic. IV, territorio Castri Conca in castro Morciano; segno che nè Arrigo nè Clemente ebber anche tirate a se queste terre”.
Ma siccome Tonini è comunque uno storico a suo modo rigoroso, deve tuttavia rassegnarsi: consacrazione o meno, quell’Opizzone fu davvero un sostenitore dell’aborrito anti-papa ravennate e dell’imperatore in piena fase di rivincita dopo l’umiliazione di Canossa del 1077: “Lo condannano troppo apertamente le tre ultime membrane capitolari citate qui sopra, per le quali è manifesto che ei tenne da Guiberto con l’intera Città, la quale colle altre di Romagna avea piegato ad Arrigo”. E quindi nell’epica lotta fra papato e impero, anche Rimini fu dalla parte di quest’ultimo. E non fu certamente un’eccezione.
Perchè: Enrico fu davvero umiliato a Canossa? E chi erano Gregorio, Clemente, Matilde? Gli studiosi sono d’accordo su un solo punto: furono i protagonisti assoluti della storia europea in un momento drammatico e cruciale. Il continente, almeno nella sua parte occidentale, dopo l’anno Mille aveva preso uno straordinario slancio e dopo secoli sulla difensiva di lì a poco si sarebbe cimentato addirittura nell’invasione della Palestina con la prima crociata. Sul resto l’ideologia ha spesso e volentieri prevalso sulla storiografia.
E ancora prevale: basti leggere i testi scolastici riguardo soprattutto papa Gregorio VII, proclamato addirittura Santo nel 1606 dal suo successore Paolo V (la cui splendida statua troneggia nella piazza di Rimini). Eppure la Chiesa cattolica di oggi si ispira a principi diametralmente opposti a quelli di Ildebrando di Soana: che arruolò milizie, scatenò una guerra dopo l’altra e fu per questo esecrato da moltissimi suoi contemporanei, per non dire degli stessi Romani che finirono per cacciarlo definitivamente dall’Urbe. Fu considerato precursore delle crociate in quanto fu lui a compiere il passo decisivo nell’affermare il concetto di “guerra santa”, ma le sue furono guerre fra cristiani piuttosto che contro gli infedeli, che cercò di legittimare in ogni modo con i suoi atti ufficiali: il papa e i suoi sostenitori propugnarono la liceità dell’uccisione di eretici e ribelli alla Chiesa, che aveva il diritto di difendersi da essi anche con le armi. Ai suoi occhi i pagani rappresentavano un pericolo assai minore.
Ma per stare alle nostre terre, da Ravenna appunto veniva Guiberto, nato a Parma da una famiglia imparentata con il ramo dei da Correggio della stirpe di Canossa; giovanissimo venne avviato alla carriera ecclesiastica e nel 1057 fu nominato cancelliere imperiale per l’Italia dall’imperatrice Agnese di Poitou, vedova di Enrico III di Franconia detto il Nero, reggente durante la minorità del figlio Enrico IV.
Il 6 dicembre 1058, a Siena, partecipò all’elezione di papa Niccolò II; fu presente anche al sinodo di Sutri del 18 gennaio 1059 in cui Benedetto X fu deposto e anatematizzato a favore appunto di Niccolò. Guiberto, dopo la morte di quest’ultimo, si alleò con la fazione imperiale sostenendo Onorio II contro papa Alessandro II. Avendo però la maggior parte della Chiesa ripudiato Onorio II, nel 1063 l’imperatrice Agnese depose Guiberto dalla carica di cancelliere. Ma nel 1072 il re dei Romani Enrico IV ripescò Guiberto dall’anonimato nominandolo arcivescovo dell’allora vacante sede di Ravenna. Sebbene papa Alessandro II fosse riluttante ad avallare la nomina, fu proprio il cardinale Ildebrando di Soana, suo consigliere, a convincerlo ad accettare, forse come compromesso per mantenere la pace. Guiberto fece voto di obbedienza al Papa e si insediò nella sede di Ravenna nel 1073.
Poco dopo Alessandro II morì ed il 29 aprile 1073 venne eletto Ildebrando col nome di Gregorio VII. Guiberto partecipò al primo sinodo quaresimale indetto da Gregorio a Roma nel 1074. Ma l’anno successivo l’Arcivescovo si rifiutò di partecipare al secondo sinodo quaresimale proprio mentre Enrico IV iniziava la sua guerra aperta contro il papa. Nel gennaio 1076 il monarca riunì un sinodo di vescovi a Worms che decise la deposizione di Gregorio VII. Ad essa aderì probabilmente anche Guiberto: infatti fu raggiunto, insieme ad altri vescovi del nord Italia, dalla scomunica che Gregorio pronunciò al sinodo quaresimale dello stesso anno. Poco dopo i vescovi ed i diaconi dissidenti si riunirono a Pavia sotto la presidenza di Guiberto e scomunicarono a loro volta Gregorio VII.
A questo punto si colloca l’episodio di Canossa. Gregorio accettò di incontrare Enrico il 25 gennaio 1077, festa della conversione di San Paolo. Che il re si sia umiliato ai piedi del papa, lo racconta solo Lamberto di Hersfeld, gregoriano di ferro e nemico giurato di Enrico. Tuttavia questa è l’unica versione disponibile nei libri di scuola, almeno quelli italiani. Di certo dopo laboriose trattative si pervenne a un compromesso grazie al quale il re sul momento recuperò libertà d’azione limitando allo stesso tempo quella del papa. Altrettanto certo è che, a lungo termine, questo evento infierì un duro colpo alla posizione dell’Impero.
In ogni caso a Canossa non fu sancita alcuna pace. Già nel marzo i nobili tedeschi ribelli all’imperatore elessero un anti-re nella persona del duca Rodolfo di Rheinfelden (o di Svevia). Da parte sua durante il sinodo quaresimale del febbraio 1078, il papa scomunicò Guiberto e il suo maggior sostenitore, l’arcivescovo di Milano Tedaldo da Castiglione. Costui nel 1075 era stato inviato dall’imperatore per debellare la Pataria, che invece i papi sostenevano apertamente fin da Alessandro II. Cioè Anselmo di Baggio, che aveva conferito al capo militare della Pataria Erlembaldo Cotta (che dopo essere stato assassinato sarà proclamato santo, uno dei primissimi fra i milites, cioè i cavalieri) il gonfalone della Chiesa e scomunicato l’arcivescovo filo-imperiale Guido da Velate. Lo stesso Gregorio VII contava sui Patarini quali fedeli alleati contro gli imperiali: ancora di là da venire i tempi delle persecuzioni contro coloro che invece a un certo punto la Chiesa considerò i peggiori eretici.
Durante i quattro anni successivi, il re dei Romani e il papa alternarono momenti di scontro e di riconciliazione, in corrispondenza dei loro alti e bassi. Enrico subì cocenti sconfitte durante quella che venne chiamata la grande rivolta dei Sassoni, eppure proprio l’aperto appoggio che Gregorio da un certo momento accordò a Rodolfo rafforzò Enrico e gli permise di reagire. Nel concilio convocato a Bressanone (16 giugno del 1080) i vescovi decretarono la deposizione di Gregorio VII e il re controfirmò l’atto. Il concilio elesse papa Guiberto, che però dovette attendere quattro anni prima di essere intronizzato e divenire sommo pontefice a tutti gli effetti. Il 14 ottobre 1080 il re fu nuovamente battuto nella battaglia di Hohenmölsen, ma nel combattimento Rodolfo venne mortalmente ferito ed Enrico si ritrovò abbastanza forte da poter attaccare frontalmente il papa.
Il 15 ottobre 1080 nei pressi di Volta Mantovana le milizie dei vescovi-conti del nord Italia fedeli ad Enrico e quelle di papa Clemente sconfissero le truppe di papa Gregorio VII comandate dalla contessa Matilde di Canossa, che nel 1079 aveva donato tutti i suoi beni alla Chiesa. Per Matilde, in quel momento la più potente feudataria d’Europa, fu la prima e grave sconfitta militare.
Nel 1081 Enrico marciò su Roma, ma non riuscì a penetrarvi col proprio esercito fino al 21 marzo 1084. Furono tre anni di scaramucce intervallate da febbrili trattatative su più tavoli, con Enrico che giunse a offrire la consegna di Guiberto come prigioniero se il papa avesse accettato di incoronarlo imperatore. Per il re arrivò invece una nuova scomunica, al che Enrico entrò in Roma con la forza. In poco tempo abbatté ogni difesa, assediando Gregorio in Castel Sant’Angelo ed insediando in San Giovanni in Laterano Guiberto, che prese il nome di papa Clemente III (24 marzo).Il quale a sua volta il 31 marzo incoronò Enrico IV imperatore in San Pietro.
Giunse però la notizia che Roberto il Guiscardo, Duca di Puglia e Calabria, stava accorrendo con i suoi Normanni. Gregorio aveva scomunicato Roberto d’Altavilla per ben tre volte, quando minacciava il ducato già longobardo di Benevento che il papa riteneva cosa sua (divenuto principato, restò allo Stato della Chiesa fino al 1861); l’ultima revoca era naturalmente il prezzo del suo aiuto a Roma. Clemente dovette lasciare l’Urbe insieme all’imperatore e Gregorio fu liberato. Ma i 38 mila soldati del Guiscardo si abbandonarono a un saccheggio come Roma non aveva mai conosciuto. Non ai tempi dei Goti di Alarico nè dei Vandali di Genserico, ma nemmeno paragonabile, secondo lo storico tedesco Carl Erdmann, al sacco dei Lanzichenecchi del 1527. Fatto sta che l’inferocito popolo romano ne attribuì tutta la responsabilità a Gregorio VII e si sollevò per fargliela pagare. Il papa dovette rifugiarsi prima a Montecassino e poi a Salerno, dove morì il 25 maggio 1085 senza aver più potuto mettere piede a Roma.
La morte di Gregorio VII lasciò la cristianità divisa: i suoi sostenitori tennero un concilio a Quedlinburgo, in Sassonia, dove condannarono Clemente III, mentre i sostenitori di Enrico IV tennero un concilio a Magonza che approvò la deposizione di Gregorio e sostenne Clemente. Questi tornato a Ravenna, nel 1086 vi convocò un sinodo, partecipato da diversi dignitari della Chiesa romana. Nel 1087 Clemente ritornò a Roma e riuscì a prevalere contro il nuovo pontefice Vittore III. Nel 1089 convocò, in tempo pasquale, un sinodo romano. Ma il 3 luglio dello stesso anno il nuovo papa Urbano II prese possesso dell’Urbe; Clemente fuggì a Tivoli. A Roma resistette un forte partito guibertista, che nel 1091 riportò Clemente III sul Soglio pontificio. Egli riunì un concilio a Roma che annullò la scomunica di Enrico IV.
Negli anni seguenti, però, il potere dell’imperatore andò scemando, mentre crebbe l’autorità di Urbano II. Nel 1094 Clemente dovette fuggire da Roma a causa del tradimento del capitano delle sue milizie, che passò dalla parte di Urbano. Dopo il ritorno in Germania di Enrico IV, l’influenza di Clemente III fu confinata solo nella provincia ecclesiastica ravennate (la Romagna e il Bolognese) e poche altre zone dell’Italia settentrionale.
Quando nel 1099 venne eletto papa Pasquale II, Clemente si recò ad Albano sperando ancora di poter ritornare a Roma, ma fu costretto a ritirarsi ed a riparare a Civita Castellana dove morì l’8 settembre 1100. I resti di Clemente III, sepolti nella Cattedrale di Civita Castellana, divennero in breve oggetti di culto per la popolazione locale, poiché si diffuse la voce che sulla tomba dell’antipapa, a seguito della trasudazione di un misterioso liquido profumato, si verificassero numerosi miracoli. Per contrastare questo culto papa Pasquale II ne fece disseppellire le spoglie per disperderle nel Tevere.
I seguaci di Clemente III elessero come suo successore il Vescovo di Albano Teodorico che però non rappresentò mai una vera minaccia per il papa “legittimo”. Eletto nottetempo e subito intronizzato probabilmente durante un’assenza di Pasquale, mentre cercava di raggiungere Enrico IV fu catturato da sostenitori del rivale e ricondotto a Roma: poiché il suo pontificato era durato – secondo la Vita Paschalis II – centocinque giorni, tutto dovette compiersi entro l’inizio del gennaio 1101. Senza indugio Pasquale II lo inviò nel monastero della Trinità di Cava dei Tirreni. Qui Teodorico, conducendo vita eremitica, visse ancora un anno: l’iscrizione sepolcrale ne attesta la morte nel 1102.
Enrico IV si ammalò e morì a Liegi il 7 agosto 1106 a 56 anni; era stato detronizzato da suo figlio Enrico V il 5 gennaio di quell’anno.
Il 22 ottobre 1106 papa Pasquale II, presiedendo un concilio a Guastalla, tolse a Ravenna la giurisdizione ecclesiastica su tutte le diocesi emiliane: Bologna, Modena, Reggio, Parma e Piacenza. Dieci anni dopo l’arcivescovo Gualtiero ristabilì l’obbedienza romana a Ravenna e papa Gelasio II restituì le cinque diocesi alla sede metropolitana ravennate (7 agosto 1118). Gualtiero fu l’ultimo arcivescovo di Ravenna a firmare i documenti ufficiali con l’espressione “servo dei Servi di Dio, per grazia di Dio arcivescovo della ravennate Chiesa”. Infine, nel 1157 gli arcivescovi di Ravenna cessarono di conferirsi il titolo di “Esarchi”.
Nel XII secolo l’emergere delle istituzioni comunali causò una forte spinta centrifuga, tanto è vero che entro il secolo successivo tutte le città romagnole si liberarono dalla sudditanza all’Arcivescovo, costituendosi in liberi comuni. L’area d’influenza della Chiesa ravennate venne a restringersi, verso l’entroterra, a un raggio di circa quindici chilometri, mentre solo in direzione del Po e lungo la fascia costiera si mantenne inalterata. Nel 1278, con il passaggio definitivo della Romagna sotto la sovranità pontificia, venne creata la Provincia Romandiolæ et Exarchatus Ravennæ. La capitale fu posta a Bologna, mentre Ravenna fu sede della seconda carica, quella di Presidente della Provincia. Il legato pontificio e il rettore di Romagna assunsero le competenze e i diritti che fino ad allora erano stati esercitati dall’Arcivescovo di Ravenna.
Roma riuscirà però a imporre il suo effettivo governo diretto su tutta la Romagna e le Marche solo nel corso nel Seicento, non senza eccezioni quali la Repubblica di San Marino e il principato-contea di Carpegna.