Il 25 gennaio i cristiani commemorano la Conversione di San Paolo: Saulo, accecato sulla via di Damasco, trova la luce della vera fede.
Gianni Quondamatteo nel suo E’ Lunèri rumagnol annota per questo giorno “Sen Pevli di segn”, San Paolo dei segni.
Quali segni? Niente a che fare con le manifestazioni divine ricevute dall’Apostolo delle Genti. Per la tradizione contadina questo è un giorno importantissimo per altre ragioni, di natura magica e divinatoria. Una data entrata nel calendario in tempi ben più antichi di quelli cristiani.
“Ne guardè calendar né calandren, guerda e’ dè ‘d Pèval che sia sren”, non guardare calende né calandrini, guarda che sia sereno il giorno di San Paolo. “Di calend an ne me cur, pur che e’ dè ad San Pavul en sia scur”, delle calende non mi curo purché il giorno di San Palo non sia scuro”. Così a Cesena, come descrisse Umberto Foschi nel 1898, ma anche in gran parte d’Italia.
Occorre un passo indietro. In Romagna si chiamavano “calendre” o “al spej di mis”, le spie dei mesi, i primi 24 giorni di gennaio. L’andamento meteorologico dei primi 12 avrebbero corrisposto ai mesi dell’anno appena iniziato; poi la controprova nei 12 giorni successivi, invertendo la corrispondenza con i mesi.
Fossili di riti ancestrali, che i primissimi Romani praticavano il primo giorno di tutti i mesi, le calende appunto. Un Pontefice minore traeva auspici ad ogni Luna nuova: trattandosi di un calendario lunare, come tutti i più antichi. Il mese dedicato a Giano (Janus) ancora non esisteva, essendo introdotto nel calendario assieme a febbraio solo da Numa Pompilio, il secondo re di Roma.
Ma le tradizioni si sovrapponevano, anche quando erano in contraddizione fra loro. Il giorno che per noi è il 25 gennaio, per chi dalla notte dei tempi osservava gli astri era un “giorno di marca”, come i solstizi e altre fasi cruciali dell’universo, magiche e propizie per fare previsioni. Quindi, invece di tutte le 24 calendre, secondo altre credenze sarebbe bastato il solo giorno San Paolo per sapere come sarebbe andato tutto l’anno: erano le ore dei giorni ad equivalere ai mesi.
Ancora a Cesena: “Se e’ dè ‘d San Peval l’è sren tot la zent la starà ben, se e’ vent e’ tirarà la guera us farà, se e’ vent e’ tira fort eì srà una guera a mort, se ven la nebia e l’an va via l’è segn ad murìa”, se il giorno di San Paolo è sereno tutta la gente starà bene, se tirerà il vento si farà la guerra, se il vento tira forte sarà una guerra a morte, se viene la nebbia e non va via è segno di epidemia.
Decine i proverbi di questo tenore. Ma non è tutto. Un altro metodo di divinazione che andava praticato sempre in occasione di San Pevli era la Zvuléra.
Gianni Quondamatteo: “C-vulèra da Riccione alla Valmarecchia. Nella notte dal 24 al 25 gennaio – conversa di San Paolo – si faceva la ‘zvulèra’: previsione, non direi estremamente scientifica, del tempo dell’anno incominciato. 12 mezze cipolle (altrove 12 ʓbrogi) venivano scavate nel mezzo, riempite di sale, ed esposte verso tramontana, in luogo riparato. Indicando ognuna un mese dell’anno, all’indomani mattina si ‘leggeva’ il tempo che avrebbe contrassegnato ciascun mese. Quelle asciutte indicavano il tempo buono, e quelle umide, o ripiene d’acqua, il contrario (pioggia o anche solo umidità)”.
Lo studioso riminese (1910-1992), coniugava i verbi al passato, ma si sbagliava. Non solo ai suoi tempi, ma anche ai nostri, queste liturgie sono ben note e praticate. Però non sono più le popolazioni rurali a dover dipendere così strettamente dal cielo, potendo schierare tutto l’armamentario della tecnologia almeni per lintare i danni, dai razzi antigrandine alle irrigazioni massive. Oggi c’è un altro settore che invece ancora dipende interamente dal tempo che fa, senza poter opporre assolutamente nulla: il turismo.
E infatti, scherzando ma non troppo, a rivolgersi ai pronostici delle cipolle ai giorni nostri sono gli operatori turistici. Nelle Alpi della Bergamasca dove il rito è detto la Conta, si scrutano le sigòle (cipolle) per indovinare se d’inverno sui monti arriverà la (oggi) benedetta neve per i rinomati impianti sciistici o se almeno d’estate pioverà abbastanza per avere scorte d’acqua per l’innevamento artificiale con i “cannoni”.
Dalle nostre parti gli adepti più assidui della pratica sono i bagnini. Anche se basta loro l’osservazione delle tre mezze cipolle (rigorosamente di Santarcangelo), massimo quattro, che corrispondono alla Stasòn, la Stagione (balneare).
(nell’immagine di apertura, La Conversione di San Paolo di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, 1601 – Roma, Santa Maria del Popolo)