25 novembre 1290 – Primo documento dell’Inquisizione a Rimini
25 Novembre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Sul tribunale dell’Inquisizione si sono versati e si verseranno fiumi d’inchiostro. Una delle infamie peggiori di cui si macchiò la Chiesa o solo una “leggenda nera” imbastita soprattutto in ambienti protestanti?
La verità storica, come sempre, ha molte più sfumature; senza dimenticare che durante la sua vicenda plurisecolare (sorse nel XII secolo per terminare solo nel 1908) il tribunale cambiò molte volte; e molto differenti da luogo a luogo furono i suoi modi di agire.
Di certo, ciò che ripugna alle moderne coscienze laiche è che l’Inquisizione fu senza dubbio un tribunale che giudicava le idee. Ma che queste debbano essere libere e liberamente espresse è appunto un concetto moderno, elaborato lentamente solo a partire dal Settecento e, come sappiamo, ancora oggi ben lontano dall’affermarsi ovunque.
Il tribunale dell’Inquisizione non ha una data esatta di nascita. Secondo i più ebbe origine ai tempi di papa Lucio III e dell’imperatore Federico Barbarossa. Siamo alla fine del XII secolo e il pericolo da cui ci si vuole difendere è quello degli eretici. Papato e Impero, pur fra mille contraddizioni, furono generalmente concordi nel combattere movimenti che minavano l’autorità di entrambi.
Gli eretici servirono però anche come strumento politico. Quindi a qualcuno, come la Parte Ghibellina, poteva non piacere affatto che un tribunale controllato direttamente dal Papa ficcasse il naso nelle vicende dei Comuni e dei Signori.
Ma allo stesso tempo, a proposito di contraddizioni, fu proprio l’Imperatore Federico II di Svevia, “lo stupore del mondo” che nella sua corte accoglieva anche Musulmani ed Ebrei, a fissare per primo la pena del rogo per il reato di eresia. In ciò si rifaceva al diritto romano: uscire dall’ortodossia era un reato di “lesa maestà” che colpiva ugualmente il potere temporale dell’imperatore come quello spirituale del papa. E siccome già dai Cesari la pena per questo reato era stata individuata nell’essere arsi vivi, Federico, che si compiaceva di essere il “nuovo Augusto”, non faceva altro che ripristinare l’antico ordinamento.
Tuttavia restava il problema di stabilire chi deviava dalla retta via e chi no. La “Pataria” nata a Milano nell’XI secolo e subito dilagata soprattutto nel nord Italia Rimini compresa, al suo sorgere trovò il suo maggior sostegno nei papi riformatori, da Alessandro II che della Pataria era stato uno dei capi al grande Gregorio VII. Erlembaldo Cotta, che dei Patarini era stato capo anche militare, dopo essere stato assassinato dai tradizionalisti fu santificato quale martire della fede. Durante il secolo successivo le cose erano però gradualmente cambiate, fino all’aperta condanna per eresia di papa Lucio III nel 1185.
Eppure nella ghibellina Rimini i numerosissimi Patarini anche nel secolo successivo non subirono grandi persecuzioni finché la città fu in mano ai partigiani dell’Imperatore, tanto che proprio per questo il Comune fu più volte sanzionato dalla Chiesa.
Come, per esempio, nel 1227, quando il nuovo Podestà Inghiramo da Modena inserì il decreto imperiale sulla condanna degli eretici negli Statuti comunali ma, come riporta il Tonini, “avendo fatto catturare certe donne, che erano in voce di eretiche” perchè fossero “abbruciate”, “poco n’andò che dai sommossi congiunti di quelle sciagurate non gli fosse tolta la vita. Principali di costoro vengono ricordati un Boccadiferro, e un Arimino di Bonfiletto”.
Con una tradizione ereticale tanto cospicua – un intero quarto del centro storico di Rimini porta ancora il nome di Rione Pataro; fossa Patara è il corso d’acqua (oggi sotterraneo) che lo attraversa; i miracoli di S. Antonio sono tutti volti a convertire i Patarini riminesi – meraviglia che a Rimini non si trovi traccia dell’Inquisizione se non alla fine del Duecento.
A dire il vero l’antico Bollario Francescano sostiene che a Rimini un tale tribunale esistette già dal 15 maggio 1251, quando Papa Innocenzo IV emanò contro gli eretici la Bolla Ad extirpanda, istituendo l’Inquisizione in tutta la Romagna e quindi anche a Rimini, affidandone la conduzione appunto all’ordine francescano. Il quale ordine, per inciso, era proprio l’ambiente in cui si sviluppavano le correnti più inquiete, che spesso sfociarono nell’eresia: come quelle degli Spirituali e poi dei Fraticelli, che predicavano il ritorno della Chiesa alla povertà evangelica, prendendo alla lettera i voti pronunciati da San Francesco.
Tuttavia non si deve pensare a questi tribunali come organi onnipotenti che conducevano gli accusati invitabilmente alla pena capitale. Non almeno a Rimini, dove non si rinviene traccia di alcuna condanna penale. Anzi, come riporta Luigi Tonini: “Noi sappiamo di una tal Mirabella, che par di Faenza, grande fautrice dei Patarini, la quale teneva case in molte città a comodo di quei settatori. Costei ne possedette anche in Rimini; scrivendo Fra Leonardo nella Cronaca de’ Malatesti, che il nostro Comune comperò omnes Mirabelle domos e donolle a Malatesta, il quale vi inalzò poi sopra il suo palazzo. Dal qual racconto, e da un processo fatto dopo il 1259 contro quella mala femmina, argomentò il Battaglini che il Comune comprasse l’area di quelle case già atterrate giusta le Costituzioni dell’Inquisizione, e le donasse a Malatesta, il quale dovette erigervi sopra quel suo palazzo magnifico, che fu in vicinanza del Gattolo, e più tardi fu compreso entro la Rocca”. Addirittura, per donare ai Malatesti l’area strategica che sarà il centro del loro potere in Rimini non si ricorre neppure alla confisca dei beni, ma ad un acquisto, per quanto forzoso dopo la puntiva demolizione. Lo storico riminese ricorda anche “altro processo compilato fra il 1270 e il 1288 contro Ermanno Pungilupo da Ferrara, pessimo eretico morto nel 1269”, ma di questa vertenza quasi ventennale, peraltro postuma, Tonini non ci riferisce l’esito.
Prima del Poverello di Assisi, lo stesso rigore l’avevano predicato i Catari e i Patari (eretici), Giacchino da Fiore (beato), gli Umiliati (ordine laico fondato dai beati Giacomo Pasquali e Giovanni Oldrati). E poi gli Apostolici di Gherardo Segalelli e Fra Dolcino (bruciati sul rogo), i Servi di Maria dei Sette Santi Fondatori (tutti santi, appunto), e tanti altri gruppi minori.
Quale fosse il potenziale rivoluzionario dei Fraticelli lo notava nell’Ottocento Niccolò Tommaseo: «Quella setta pareva scalzare furtivamente le fondamenta della società civile insieme e della religiosa; giacché i socialisti moderni non ne sono che una ripetizione più franca, e però non meno da temersi».
Se non che, lo storico Luigi Tonini non ha trovato un solo documento dell’Inquisizione riminese risalente a metà ‘200. Bisogna attendere ancora una quarantina d’anni perché vi sia una prova scritta che il tribunale fosse stato effettivamente costituito: «Di siffatto Collegio di ufficiali laici, come la Bolla prescrive, non ci appar segno, se non verso l’estremo volgere del Secolo, quando scoperta fu la nuova eresia detta dei Fraticelli», come si diceva.
“Ufficiali laici”, perché la Bolla di Papa Lucio proprio questo prescrive: se gli Inquisitori di ogni provincia erano nominati direttamente dal pontefice, la corte giudicante era invece scelta dal Podestà di ogni città.
Questi, «all’ingresso dell’ufficio suo avesse a giurare la osservanza di quelle Costituzioni; indi fra tre dì, alla presenza del Diocesano, di due Frati Minori, e di due Frati Predicatori, avesse a procedere alla elezione di dodici uomini probi e cattolici, con due Notari e due famigli. La quale eletta di uomini, da rinovarsi ogni sei mesi, fosse in ajuto ai Giudici ecclesiastici nel trovare, carcerare e processare i rei d’eresìa: a profìtto de’ quali coadjutori poneva la terza parte delle confiscazioni».
Chi furono dunque i giudici di questo primo, documentato, tribunale dell’Inquisizione a Rimini? A presiedere, l’Inquisitore di Romagna, che era allora Fra’ Galasso da Parma; fra i nominati di quel 25 novembre 1290 troviamo poi i nomi più eminenti di Rimini, a iniziare da Malatesta da Verucchio, di lì a poco padrone della città; poi, Oddo dalle Caminate, Ricciardetto de’ Ricciarelli, il giudice Tomo di Giovanni Taddei Gualdi, Ferrantino Malatesta, Ugolino Belmonti dalle Caminate, il notaio Girardo Stivivi. Sarà un caso, tutti Guelfi e soprattutto appartenenti alla consorteria dei Malatesta.
Nel 1300 a far parte dell’istituzione erano già molti più, addirittura «quaranta gentiluomini della Città, i cui nomi furono pubblicamente letti nel Consiglio generale l’anno seguente (1301) nel mese di marzo». I Fraticelli si erano fatti più pericolosi? O la carica era così ambita, con quell’usufruire di un terzo delle confische, che bisognava far spazio ad altri? Tanto più che ora i Malatesta avevano in pugno Rimini e dovevano pur nutrire il consenso.
Di certo i Fraticelli furono molto forti nelle Marche settentrionali, da Ancona a Fabriano, nel Pesarese e a Fossombrone: tutti territori che i Malatesta controllavano o volevano controllare; mentre la loro componente meno facinorosa e più colta, i “Fraticelli de opinione”, apparteneva alla cerchia di Michele da Cesena.
Alla fine dovettero rifugiarsi presso l’Imperatore Lodovico il Bavaro; scomunicati, in minoranza, mantennero però il sigillo dell’Ordine Francescano che Michele passò a Guglielmo da Ockham, il quale seppe poi guadagnarsi l’assoluzione dall’accusa di eresia. Tutti francescani, sia gli inquisitori che gli inquisiti: da queste parti solo nel 1609 l’Inquisizione passò ai Domenicani.
Sono le vicende e i personaggi riportate alla ribalta da “Il nome della Rosa”, libro e film, ambientati negli anni in cui Fra’ Dolcino, ultimo capo degli Apostolici, ha già pagato con la vita la sua ribellione, ma le divisioni all’interno della Chiesa sono ancora profondissime.
Di questa prima Inquisizione riminese non è rimasta alcuna sentenza. I processi non erano comunque frequenti e ben spesso largamente inficiati da motivazioni politiche: vedi le ripetute condanne contro i ghibellini Montefeltro e i forlivesi Ordelaffi, contro i quali furono perfino indette delle Crociate. D’altra parte, la condanna capitale, che era in ogni caso disposta dall’autorità civile e non direttamente dall’Inquisizione, era ancora del tutto eccezionale. Né qui si videro mai gli eccidi della Francia meridionale e del nord Italia.
Molto, ma molto peggio sarebbe accaduto dallo splendido Rinascimento in poi, quando le guerre di religione insanguinarono l’Europa con una ferocia mai vista prima.