28 settembre 1233 – Tutti i castellani soggetti a Rimini a Calbana per giurare fedeltà
28 Settembre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Sembra incredibile che uno dei luoghi più derelitti – una cava di ghiaia – in una della valli più appartate – quella del fiume Uso – sia, o sia stato, uno degli scrigni più antichi della civiltà nel nostro territorio. Incredibile, se non fossimo in Italia, dove sappiamo quanto ogni pietra possa raccontare. O dovremmo saperlo.
Ripa Calbana oggi è appunto una cava nella valle dell’Uso. Il colle aguzzo perde man mano il suo fianco rivolto al fiume. Nel 1981 l’area archeologica fu sottoposta a vincolo, ma una sua parte era stata ormai compromessa dalle attività estrattive.
Su quel versante tremila anni fa esisteva un villaggio dell’Età del Bronzo. Un abitato “proto-villanoviano”, cioè precedente ai primissimi Etruschi, apparentemente analogo a quelli ritrovati fra Chiusi e Cetona, a sud ovest del Trasimeno. Fu scoperto da don Francesco Renzi a fine ‘800 e poi studiato anche da Mario Zuffa. Alcuni reperti degli scavi si possono vedere nel Museo “Renzi” di S. Giovanni in Galilea. Sono armi, gioielli, ceramiche, attrezzi per la filatura. Le ricerche misero in evidenza fondi di capanna con grandi focolari, resti di intonaci, pali, rudimentali pavimentazioni, resti alimentari, sepolture.
Il villaggio si estendeva su circa tre ettari. Era composto da capanne a forma ellittica e controllava la valle dalla sua magnifica posizione, sull’estremità orientale del crinale di S. Giovanni in Galilea. In quel punto anche la valle del Marecchia è vicinissima, appena oltre Torriana. Le conclusioni degli studiosi (Alessandro Zannini: “L’abitato di Ripa Calbana, San Giovanni in Galilea (FC)”) è che ci troviamo di fronte a «una delle più significative testimonianze abitative della fase finale dell’età del Bronzo in Romagna». Si trattava di un «punto intermedio nelle direttrici di scambio fra Italia settentrionale e area medio-tirrenica», sviluppatosi verso la fine del II millennio a.C . E si confermano «strette concordanze formali con il gruppo Cetona-Chiusi della Toscana centro-settentrionali».
Non si sa quando e perché il villaggio fu abbandonato, né quando la cima del colle fu fortificata; forse già in età preistorica oppure solo dopo il crollo dell’impero romano, o ancora più tardi. Sappiamo solo che il 7 ottobre 1059 un Castrum Calbane esisteva già e veniva concesso da Everardo, Conte di Rimini, alla Chiesa della sua città. Era poi finito a Cavalcaconte di Bertinoro, che il 31 maggio 1165 lo cedette ai Riminesi con queste parole: «Promitto vobis Ariminensibus omnibus, personas vestras, et bona vestra adjuvare, et salvare, perdita recuperare, recuperata retinere bona fide, sine fraude contra omnes homines. et nominatim concedo vobis castrum Calbanae ad faciendum quicquid vobis placuerit».
Nel 1233 Carnevale di Pavia è Conte di Romagna e Rettore per l’Imperatore Federico II. Probabilmente su richiesta degli stessi Riminesi, che devono rinsaldare le fila per la perenne guerra contro Urbino, ma anche per riaffermare il predominio ghibellino del momento – fra l’altro insolitamente pacifico, almeno fra Papa e Imperatore – il Conte-Rettore Carnevale ordina che tutte le terre soggette al Comune di Rimini giurino solennemente, tutte assieme, la loro fedeltà.
Confuse memorie dell’antica “sacralità” del luogo, meta di convegni fin dalla notte dei tempi? O concreti vantaggi logistici e strategici? Fatto sta che il piccolo castello di Calbana nel XIII secolo è il capoluogo di uno dei tre distretti in cui era ripartito il Contado riminese, ciascuno affidato a un Baiulo (altrove Balì, Bailo, Balio, Balivo): la Balìa di Calbana, appunto, quella di Montescutolo (Montescudo) e quella di Longiano. Il resto del territorio riminese era compreso nel Barigellato, dove i nuclei abitati godevano di minore autonomia.
Ed è a Calbana che tutti devono radunarsi per prestare il solenne giuramento.
E così «i Baiuli, i Consoli, e i Sindaci di tutte le Ville e Castella» il 28 settembre 1233 affluiscono lì dove li attendono il Conte-Rettore in persona e gli ambasciatori di Rimini Righetto e Rostolo, oltre ai testimoni Peppone de’ Rubei e Attone Ravignano.
Dai documenti conosciamo tutti i nomi di coloro che giurarono e in rappresentanza di quale castello. Disegnando così l’immagine completa del territorio riminese in quell’anno di grazia 1233. E anche un repertorio dei pittoreschi nomi dei nostri antenati.
Giura per primo, ovviamente, Ottonello da Calbana, per verità costituito “Baiulo” seduta stante. La formula come la riporta Luigi Tonini, fra l’altro recita: «Io giuro sui Santi Evangeli di Dio che gioverò e farò che gli uomini di mia Balìa giovino il Comune di Rimini nella guerra, che ora fa al Comune di Urbino, sarò coi Riminesi nell’esercito loro e nelle cavalcate; e farò che vi siamo gli uomini di questa Balìa ogni volta ne sarà richiesto».
Il giuramento, come tiene a rammentare Pietro da Imola, impegna ad armare a piedi e a cavallo tutti gli uomini dai 14 ai 70 anni ogni volta che sia richiesto.
A seguire – e ci vorranno giorni per completare la cerimonia – giurano i Consoli di Scorticata (Torriana): Peccio dal Gesso, Cristoforo, Peppolo da Pedregnano e Settiviva. Tocca poi a Cristiano, Console della stessa Calbana; Guido, Console di Castel dell’Uso (presso Pietra dell’Uso di Sogliano); Ugolino, Console di Sogliano; Giacomo e Giovanni di Benno, Consoli di Trebbo (presso Poggio Berni); Peppo Leoni, Console di Converseto; Pilizone, Console di Camarano (Camerano); Gualtiero, Console di Montalbano; Burgisio, Console di Canonica di Cerreto; «luoghi tutti della Balìa di Calbana».
E’ il 30 settembre e ancora si giura. Ecco quelli di Longiano, con il Baiulo Palmirolo Temidei e i Consoli Alberico di Donna Bianca e Diotavanzi; poi Martino, Console di Gaggio (Villa Ribano, presso Savignano); Corbolo e Bulgarello, Consoli di Monlione (Monteleone); Corbolo, Console di Ceola Arardi (Ciola Araldi); Rinaldo e Pizzone, Consoli di Castiglione (di Cervia); Mazolo, Console di Carmezano (sul torrente Rigossa); Rodolfino e Americo, Consoli di Ripalta (Serra di Bagnolo, presso Sogliano); Giovanni Foscoli e Martino, Consoli di Bagnolo (San Martino di Bagnolo, ancora presso Sogliano); Gauzolino, Console di S. Paola (Monte Farneto, presso Roncofreddo); Martino Rontano, Console di Montenovo (di Montiano); Bulgarello, Console di Gatteo; Giangio de’ Bonomoli e Pietro, Castaldi di Malatesta, con Leolo de’ Davinelli, per il Comune di Roncofreddo; Zanne Zannelli e Rusticello Lazzari, Consoli di Montiano; Berardo Rubeo e Nicolò, per il Comune di Savignano: «luoghi tutti della Balìa di Longiano».
La sfilata prosegue: giura Giovanni Clerico, Console di Ceola di Malalesta (Ciola Corniale) e per Verucchio giurano Tebaldino Console, Giacomo di donna Ingia, Matteo, Bonafede, e Aldigino.
Finalmente il primo di ottobre si prestano gli ultimi giuramenti, quelli che riguardano il settore meridionale del dominio riminese: Nicolò Baiulo di Montescudolo; Rainerio Fabbro, Console di S. Giovanni in Marignano; Ragolo, per il Comune della Biforca (Monte Bifurco, presso Saludecio); Todino e Giovanni Boniolo, Consoli della Fabbrica (Gerone, presso Tavoleto); Giovannello, Console di Meleto; Buscolo, Console di Ceola dell’Abbate (Cevolabbate); Pasitto, Console di Monte Gridolfo; Bernardo, Console di Cerreto dell’Abbate (Cerreto, presso Mondaino); Pasolino, Console di Monte Pettorino (Monte Pietrino, presso Saludecio); Ugolino, Console di Casalostro (San Teodoro, presso Saludecio); Giovanni, Console di Mondaino; Ugolino di Rigo, Console della Serra dell’Abbate; Resalito, Console di Lauditorio (Auditore); Giovanni Dominici, Console di Galiano (Gaiano, presso Gesso di Montescudo); Giovanni Rainerii, Console di Castelnuovo (presso Auditore); Clemente e Giovanni, Consoli di Faetano; Giambono e Manigoldo, Consoli di Montescudolo; Angelo e Alberighetto, Consoli dell’Albereto; Cristoforo, Console di S. Gregorio (al Conca, presso Morciano); Fiorentino, Console di Montefiore; Angelo Console del Gesso; Majolo, Console di Paderno (torraccia di Montelupo, presso Faetano); Benedetto, Console di Ventoso; Ugolino Ardicii, Console di Monte Colombo; Arimino Bernardo, Console di Croce; Ugolino, Console di Marazzano; Guido, Console di Gemmano: «Luoghi tutti, onde costituivasi la Balìa di Montescudolo».
Nel 1302 una sentenza attribuisce il castello di Calbana alla Santa Sede; il ricorso in appello del Comune di Rimini nell’anno seguente al Conte di Romagna non ha esito. Ferrantino Malatesta se lo prende allora con la forza nel 1335, ma poi gli viene tolto dal cugino Galeotto. Nel 1420 Papa Martino V lo conferma a Carlo Malatesta; dopo di che dovette essere distrutto, perché da allora le carte tacciono.
Nel 1971 Pier Giorgio Pasini, nel redigere la scheda del Castello di Calbana per “Rocche e castelli di Romagna”, constatò che ancora «sulla sommità si rinvengono le fondamenta e tratti delle basi murarie». Chissà se ci sono ancora.