3 ottobre 1232 – Il contesissimo castello di Miratoio si sottomette al Comune di Rimini
3 Ottobre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Il 3 ottobre 1232, come riporta Luigi Tonini, «i Signori del Miratoio, Guido cioè e Rainerio fratello del fu Alberico dal Miratoio, e similmente Ugolino e Paganuccio pupilli, figli di detto Alberico, condotti nel Consiglio dì Rimini da Ugolino Ridolfi da Lauditorio lor zio, si sottoposero ciascuno a tulle le fazioni cui i cittadini di Rimino tenuti fossero, e ricevendo perciò la cittadinanza rimlnese, e con essa la protezione e difensione del nostro Comune, tanto per le persone quanto per le terre, ville, e uomini loro».
La “protezione e difensione” del Comune di Rimini non è in realtà per Miratoio, ma copre chi invece voleva riprendere il castello sotto il suo dominio: il Conte di Carpegna, a sua volta cittadino di Rimini. Fra le clausole del cittadinatico concesso al Conte di Carpegna nel 1228 e rinnovato nel settembre di quel 1232 (con la promessa da parte del Conte di versare ogni anno al Comune un censo di 50 lire di Ravenna), infatti, c’è anche quella di sostenere le sue rivendicazioni e Miratoio è una di queste. Tant’è vero che Rimini aveva richiesto aiuti armati anche a Urbino, sulla base dei trattati, per ridurre i ribelli alla ragione. Capo di costoro era proprio quell‘Ugolino Ridolfi di Auditore che si era impossessato illegittimamente del castello. A Urbino era allora podestà Ugolino de’ Parcitade, della famiglia ghibellina allora egemone in Rimini, che dolendosi di non poter fare di più aveva inviato 25 balestrieri.
Le prime notizie sul castello di Miratoio risalgono al 1140, quando apparteneva a Nolfo di Carpegna; passò poi a suo figlio Guido che nel 1223 lo vendette appunto a Rainerio di Carpegna. Probabilmente in occasione di questa compra-vendita fra congiunti si erano inserite, non sappiamo a quale titolo, le pretese dei Ridolfi.
Prima di arrivare alla guerra vera e propria, la mobilitazione convince Ugolino e i suoi a mollare l’osso. Diventano sì cittadini riminesi, ma soprattutto tornano sudditi dei Carpegna.
Se non che i Ridolfi riusciranno in seguito a impadronirsi di nuovo della posizione; ma ai primi del ‘300 ne sono scacciati, o la vendono, ai ghibellini Tarlati, potente famiglia vescovile di Arezzo. Ne nasce un lungo conflitto con i guelfi Conti di Gattara, che sono anche loro dei Carpegna e fautori dei Malatesta: compiono scorrerie contro Mercatello, Colcelalto, Castel della Pieve e S. Donato e fino a Borgo S. Sepolcro, tutte terre dei Tarlati. Nel 1337 Arezzo e i Tarlati soccombono alla guelfissima Firenze e nel 1355 Miratoio va a Pietro da Gattara: è ancora sua nel 1371, quando il Cardinale Anglico de Grimoard nel suo censimento della Romagna così la descrive: «Il castello di Miratoio è su di un certo sasso e ha una torre fortissima; è tenuto da Pietro e Cecco, conti di Gattara».
Pietro alla sua morte lascia il feudo a Galeotto Malatesta, ma nel 1420 torna ai Carpegna del ramo di Gattara: prima Giovanni, poi a suo figlio Roberto (che deve subire a Miratoio, Scavolino, Bascio e Gattara il saccheggio del Piccinino, condottiero dei Montefeltro) e infine nel 1463 a Francesco, il quale nel 1513 deve però cederlo alla Santa Sede insieme a Bascio dopo una ribellione dei suoi sudditi, forse fomentata dal Duca di Urbino Francesco Maria della Rovere, che infatti lo riceve in feudo da Roma.
Di questo contesissimo castello non resta quasi nulla. Sul Poggio di Miratoio, al centro di un altopiano di una bellezza mozzafiato, presso le sorgenti del Fosso della Petra, uno sperone di roccia è ancora detto Castellaccio; qui si vedono parti delle fondamenta e le basi murarie della fortificazione.
Una scomparsa che probabilmente non ha avuto cause naturali, ma nemmeno belliche. Miratoio è infatti nota fin dall’antichità per la qualità della sua pietra ed è plausibile che il castello con la sua “fortissima” torre, costruiti con quel magnifico materiale (come del resto le case del paese attuale), siano stati smantellati per altri usi. Fra l’altro, il palazzo dei principi di Carpegna fu costruito nel 1675 proprio con la pietra serena di Miratoio.
L’attività dei cavapietre ha lasciato molti anfratti, che si sono aggiunti a quelli prodotti dalla natura. Sono le suggestive “grotte di Miratoio”: “la Tana Buia”, “la Grotta del Beato Rigo”, “la Grotta del Barlac”, “la casa dei pipistrelli”. E ciascuna ha tante storie da raccontare.
Per esempio, la “Tana di Barlaccio” o “Antro di Barlac’”, probabilmente di origine naturale, durante la seconda guerra mondiale servì da rifugio a un gruppo di Sloveni fuggiti dopo l’8 settembre 1943 dal campo di concentramento di Renicci presso Anghiari, dove erano stati deportati dagli Italiani insieme a migliaia di connazionali; qui furono nutriti, per più mesi, dalla gente di Miratoio. Le quali a loro volta, temendo o saccheggi, avevano nascosto i loro beni nella “Tana Buia”.
Nella grotta del “Beato Rigo”, invece, secondo la tradizione visse l’eremita agostiniano Beato Rigo (Arrigo o Rigo o Enrico), vissuto nel XIV secolo. I suoi resti riposano nella Chiesa Conventuale di S. Agostino, alle porte del paese. Costruita nel 1127 ha ancora un bel portale gotico in pietra e, all’interno, tracce di antichi affreschi.