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6 gennaio 1234 – Rimini impone a Urbino i conti di Montefeltro: che saranno la sua rovina


6 Gennaio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Com’è noto, Malatesta e Montefeltro furono le due casate che per oltre due secoli si fronteggiarono per il predominio fra bassa Romagna e Marche settentrionali. Le interminabili guerre fra Rimini e Urbino videro alla fine prevalere la seconda, elevata al rango di Ducato, con Sigismondo sgominato da Federico e lo stato malatestiano ridotto a un fazzoletto e avviato alla dominazione diretta di Roma.

Meno ricordato è che fu proprio l’intervento vigoroso e decisivo dei Riminesi a permettere ai Montefeltro di impadronirsi di Urbino e installarvi la loro signoria destinata a sconfiggerli.

Stemma originario dei Conti di Montefeltro

Come scrive Luigi Tonini (“Storia civile e sacra riminese: Rimini nel secolo XIII”, 1862) sulla scorta di Vecchiazziani (“Historia di Forlimpopoli con varie revolutioni dell’altre città di Romagna”, 1647) “Buonconte e Taddeo figli di Montefeltrano Conti di Montefeltro ebbero ottenuto in feudo dall’Imperator Federico la città e il contado d’Urbino. Ma gli Urbinati non solo ricusarono aperto di sottoporsi a que’ Conti, che anzi recarono danni alle terre lor proprie. Allora questi, come cittadini di Rimino, ricorsero ai Riminesi, perchè in forza delle convenzioni giurate nell’atto della professata cittadinanza fossero soccorsi in quella bisogna. E il nostro Comune, al quale dovea tornar bene, essendo allora tutto imperiale, che gli Urbinati già vincolati all’osservanza de’ comandamenti del popolo riminese fin dal 1202, fossero sotto il freno di Signori addetti all’Impero e ascritti a questa cittadinanza, aderì alla domanda”.

Dunque il libero Comune di Rimini, fermamente ghibellino, vede di buon occhio che quello di Urbino sia ridotto a feudo di propri cittadini, quali sono i Conti di Montefeltro, annidati nel loro feudo avìto di Monte Copiolo, fin dal giuramento prestato nel 1228. D’altra parte è comprensibile che gli Urbinati non siano felici di finire semplice appannaggio di quei Conti, perdendo le proprie autonomie municipali. Nè saranno mancate le opposizioni dei Guelfi, che avranno a ben ragione visto nell’operazione null’altro che il rafforzamento delle posizioni dell’imperatore Federico II di Svevia in quella Marca che i pontefici rivendicavano invece come cosa loro.

San Crescenziano, adottato da Urbino come patrono e uccisore di draghi con il nome di San Crescentino

Fatto sta che Rimini, cui invece Federico II ha giurato che mai e poi mai sarà data in feudo a chicchesia (e in effetti così sarà), si mobilita in armi e scende in guerra contro i recalcitranti Urbinati. Le cronache non ci tramandano quali combattiiment si svolsero, ma elencano una lunga serie di atti di sottomissione a Rimini, non sappiamo quanto spontanee, di terre fino ad allora urbinati.

Il castello di Montecopiolo nella veduta di Francesco Mingucci (1626)

Così “nel giugno del 1233 gli uomini del Castello di Cavallino, e quei di Verugola, mandarono il Podestà loro Oderisio da San Laudeccio col Sindaco Guizzardo, per sottomettersi al Comune di Rimini. Al quali si aggiunse per l’oggetto medesimo Rinaldo di Ramberto, sì in nome proprio come in nome del fratel suo Oddone, di Rinaldo del fu Berardo Ramberti, e di Guglielmo e Berardino figli del fu Giovanni Berardini, suoi nipoti, tutti signori di quelle terre”. Qui viene da pensare a una sottomissione spontanea: i conti Berardini erano originari di Rimini e sempre dalla sua parte nelle ricorrenti contese con Pesaro.  Mentre le condizioni del giuramento non appaiono troppo gravose: concorrere all’arruolamento in corso con gli uomini validi dai 14 ai 70 anni, cioè l’allora consueto servizio di milizia feudale, e “nella vigilia di San Giuliano recherebbero ogni anno in perpetuo un Pallio in segno di soggezione e riverenza al Comune di Rimini”. Dal che si conferma fra l’altro che Rimini in quegli anni aveva eletto a patrono San Giuliano al posto del “pontificio” vescovo San Gaudenzo.

Monte Fabbri

Appaiono più pesanti i patti accettati i lì a poco dai Signori di Monte Fabbri, “cioè Fabbro, Rinaldo di Pier Manente, e Pietro suo fratello. Manente, Fabbruccio di Martello, e Orlandino di Fabbro”,  i quali non solo “tutti nel Consiglio di Rimini alla presenza de’ Vicarj dì Nicolò da Doara Podeslà giurarono per se e loro eredi di essere cittadini di Rimini, a condizione per altro di non esser tenuti ad abitar la città se non quando i Rimìnesi avessero guerra dalla parte del Savio; di far pace e guerra non di volontà propria, ma a volontà del Comune di Rimini; e di contribuire lor uomini all’esercito riminese” ma concedendo anche che “il Comune anzidetto potesse togliere ogni anno due soldi di Ravenna per ciascun fumante di quelle terre”. E lor beni erano “il Castello di Monte Fabbri, e quanto aveano in Talacchio, in Colbordolo, Casarotonda, Coldazzo, Ferrocotto, Proila, Castel Buzzone, Palino, Mondiprozi, Lanzamolino, Folcovino, Monte Santa Maria, Pitriano, nelle Ripe, in Capacchio, Frundocorgnale, Coldelce, e in altre Curie”. Anche per loro, l’obbligo di inviare “in eterno” il solito pallio a San Giuliano.

Il 4 luglio è la volta di Macerata Feltria.Aldrovando da S. Cristoforo con Aldrovandino suo figlio, Ugolino e Berardo da Macerata figli del fu Guido da Macerala, Ugolino del già Donolo, Guglielmetto e Dioselvuole figli dei già Guglielmo, tutti del luogo medesimo, e Alberto del fu Astroso da Clargnano cedettero al Comune e Consiglio di Rimini il Castello di Macerata, obbligandosi di tenerlo e guardarlo pel Comune anzidetto”. 

San Pietro in Maciolla

Il 29 agosto l’esercito di Rimini è accampato nella “Curia di Mazeola”, ovvero l’odierna Maciolla a poco più di 8 km da Urbino. Compaiono alle tende del Comune “dinanzi ai Vicarj di Nicolò da Doara Podestà, Arardo Signore di Montalbano, Rinaldo di Pineta, Parlinello di Piagnano, Ugolino, Aldebrandino, Ugolino Palmiroli, Aldebranduccio di Ugone, tutti da Monte Albano, e Saracinello da Tavillione, assieme con Bessazone del fu Ugolino Berardini da Monte Cavallino, offerendo sè e loro terre al Comune di Rimini; nominatamente i Castelli di Tavillione, di Peneta, di Monte Albano, e di Monte Monticelli che fa di Luttifredo; e giurarono la cittadinanza di Rimni. Arardo poi in particolare promise di consegnare assieme alla moglie parte del loro Castello di Monte S. Maria, e del podere di Monte Afchere”. Sono presenti alla dedizione Rinaldo Ramberti, Buonconte, Taddeo, Ugolino Rodolfi; “tutti Signori del Montefeltro, che doveano essere co’ Riminesi in virtù delle recenti obbligazioni per essi giurate”. A essi il 21 settembre si aggiunge Guglielmo di Maiolo, che reca al Consiglio di Rimini “nel quale fra altri molti erano Buonconte, Ugone di Carpegna, Ramberto di Giovan Malatesta” il giuramento di fedeltà nei termini dei sopraddetti assieme al fratello Guittone.

A sostegno della campagna dei Riminesi e dei Montefeltro non manca di intervenire il Rettore nominato da Federico imperatore, che è Carnelevario de’ Giorgi da Pavia. Il Conte di Romagna convoca tutte le terre soggette a Rimini a Calbana, dove alla fine di settembre per tre giorni i rappresentati delle tre Balie in cui si suddivide il contado sfilano rinnovando i giuramenti.

San Tommaso in Foglia

Il 29 novembre si sottopone a Rimini la ricca abbazia di San Tommaso in Foglia (presso l’odierna Montelabbate di Pesaro) con tutti i suoi beni. I quali comprendevano “baronale giurisdizione sul Castello delle Genghe e parte di quelli di Colbordolo e delle Ripe (oggi Urbania)”. Tutto ciò l’Abate Giovanni data la guerra in corso mise sotto la protezione di Rimini, come notificato al consiglio della città dal Sindaco dell’Abbazia Bianco da Monte Sirico. Un’amicizia non priva di oneri, tanto che “ogni anno nella Festa di S. Giuliano ciascuna Famiglia di esse (terre) pagherebbe a questo Comune dodici denari di Ravenna o di Ancona  ad eccezione di quelle di Matteo Aldrovaudi, di Ugooe da Castel delle Gengbe, di Bianco e Rinaldo fratelli, e di Andrea Bandoli”.

Lo scomparso castello di Genga in val Foglia nel disegno di Francesco Mingucci (1626)

Sia che la guerra non dovesse volgere a loro favore, sia che l’accerchiamento fosse ormai totale, a quel punto Urbino cedette e chiese ai Cesenati di fare da mediatori per arrivare a una pace.

Inviati “oratori” al Conte di Romagna, questi accetta la loro buona volontà. Pace che appare una resa su tutta linea: ostaggi urbinati inviati a Forlimpopoli, ripristino di tutti i patti esistenti con Rimini prima della guerra, ma soprattutto l’accettazione dei Montefetro come Conti imperiali.

L’accordo entrò in vigore il 6 gennaio 1234. Rimini aveva ottenuto quanto voleva; senza immaginare di aver instaurato la signoria che dopo oltre due secoli di lotte avrebbe causato la sua rovina.