6 marzo 1229 – Il primo dei “riminesi” Tiepolo diventa Doge di Venezia
6 Marzo 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Misteriose le vie dello snobismo. Si può concepire qualcosa di più esclusivo del patriziato veneto? Quanti, per esempio nella “grezza” Rimini della “popolana” Romagna, vorrebbero degli avi a farne parte, quando non arrivano a millantarne? Un’oligarchia ristrettissima che per secoli difese ferocemente il proprio rango, impedendo con ogni mezzo a famiglie di ricchezza e prestigio più recenti di ricoprire le cariche supreme della Serenissima Repubblica. Eppure, essendo Venezia di fondazione relativamente “giovane” rispetto alla maggior parte delle città italiane, in epoche in cui l’antichità delle origini era tutto, fra i titoli di nobiltà da poter vantare non poteva bastare essere nel novero dei fondatori primigeni. Poca gloria ai nobili veneziani poteva apportare l’essere autoctoni delle selvagge isole della laguna, ai tempi aurei dell’impero romano popolate di pescatori e salinari ma prive di civitates.
Di qui l’affannarsi a rintracciare antenati quanto più remoti, ma soprattutto distanti da Rialto e Malamocco, da Torcello come da Murano e Burano. Poteva forse bastare l’oscura città romana di Altino, che si voleva distrutta da Attila nel 452? Si narrava che i fuggiaschi dagli Unni (e/o dai successivi Longobardi e Ungari?) si sarebbero poi rifugiati nella laguna. Un po’ poco per impreziosire il blasone; molto meglio che i genealogisti si dessero da fare a scovare predecessori in luoghi ben più importanti e possibililmente fra le Gentes nella stessa Roma.
Solo per stare alle 24 “Case Vecchie”, quelle che pretendevano di aver fondato Venezia, nemmeno una ammetteva di essere nativa del luogo e poche di essere giunte da zone limitrofe. Dalla diruta Altino si dicevano i Soranzo, ma appartenenti alla gens Superanzia, e i Dandolo dalla gens Ursia. Poi c’erano gli Ziani da Eraclea, i Sanudo e i Barozzi da Padova, i Morosini da Mantova, Zorzi da Pavia; oppure si dicevano giunti dall’altra sponda adriatica come i Giustinian da Capodistria (ma discendendo dall’imperatore di Costantinopoli Giustino II), i Bragadin da Veglia, i Polani ovviamente da Pola. Ecco invece i sedicenti romani di Roma: i Contarini che si vollero discendenti diretti degli Aureli Cotta (la famiglia della madre di Giulio Cesare), come dalla gens Anicia (potentissima fra IV e VI secolo annoverando ben quattro imperatori, tre pontefici, uno stuolo di consoli e prefetti, qualche santo e il primo ministro-filosofo Severino Boezio) pretendevano di derivare i Michiel, i Memmo ovviamente dai Memmii, i Querini dalla gens Sulpicia, i Bembo niente po’ po’ che dalla gens Cornelia, ma passando da un presunto ramo bolognese.
E qui già siamo nella nutrita schiera di coloro che vantavano ascendenze, come si direbbe oggi, emiliano-romagnole. Sono i Baseggio da Reggio Emilia, i Falier da Fano passando per Forlì (dove un ramo avrebbe generato gli Ordelaffi), i Gradenigo da Ravenna, i Salamon forse da Salerno ma piuttosto da Cesena. E ben due famiglie “romane” ma migrate da Rimini: i Corner e i Tiepolo.
Lignaggi che avevano tanto fondamento quanto quello dei Malatesta epigoni degli Scipioni. Ma proprio ciò è notevole: che a Venezia per aumentare il grado di aristocrazia ci si dovesse immaginare progenie in civitas quali Ariminum o Forum Livi pur di giungere da un “altrove” sentito pur sempre più nobile della terra in cui non solo vivevano, ma prosperavano al massimo grado.
La prima famiglia “riminese” che raggiunse il dogato fu quella dei Tiepolo, con Jacopo di Pietro eletto nel 1229 e morto nel 1249. Anche loro raccontavano di essersi rifugiati in laguna incalzati dai barbari. Erano una delle dodici famiglie “apostoliche” che avrebbero partecipato all’elezione del primo doge Paolo Lucio Anafesto. In realtà notizie certe su di loro appaiono solo dopo il mille, più attivi nel commercio che in politica. Jacopo però compie una carriera straordinaria; alleato con gli Ziani, imparentato con gli Storlato (una “Casa nuova”) e i Gradenigo, subito dopo la IV crociata e il sacco di Costantinopoli ottiene il Ducato di Candia, poi è più volte podestà dei veneziani presso l’imperatore latino installato sul Bosforo. In Italia ricopre la stessa carica a Treviso e tiene i rapporti con il papato.
La sua elezione a Doge avviene per sorteggio, poichè alle votazioni non si riusciva a superare lo stallo con l’altro candidato Marino Dandolo. Nella carica suprema riforma gli statuti della Serenissima sempre con l’occhio rivolto allo sviluppo dei commerci, apre agli ordini mendicanti (fondando Santa Maria Gloriosa dei Frari per i Francescani e la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo per i Domenicani).
In politica estera entra in rotta di collisione con Federico II di Svevia che pur aveva offerto la pace, appoggiando invece la Lega Lombarda e le mene dei pontefici contro l’Impero. Pagando un prezzo molto caro: suo figlio Pietro da podestà di Milano conduce l’armata guelfa a Cortenuova, dove il 27 e 28 novembre 1237 viene disfatta da Federico. Catturato, fatto sfilare a Cremona legato al carroccio milanese preda di guerra, trasferito in catene a Pisa e infine a Trani, ostinandosi il padre a non accettare patti, Pietro per ordine dell’imperatore viene impiccato e lasciato appeso in un sacco di cuoio nel punto più alto della città, così che sia visibile alle galee veneziane che incrociano al largo.
Un’intransigenza che nonostante alcuni successi (riconquista della ribelle Pola, temporanea occupazione di Ferrara) non paga neppure in patria. L’invasione del Regno di Sicilia fallisce, l’allenza con la tradizionale nemica Genova è maldigerita e irta di sospetti reciproci, finchè nel 1245 la poltica anti-imperiale, sconfessata anche da Marino Morosini, Ranieri Zeno e Giovanni Canal caduti in mano ai ghibellini di Amedeo IV di Savoia, si spegne del tutto. Jacopo Tiepolo, ornai anziano, abdica nel maggio 1249, per morire il 19 luglio. Anche suo figlio Lorenzo sarà Doge, poi la famiglia non raggiungerà più la carica, pur restando, anche dopo la celebre congiura di Baiamonte Tiepolo (1310) fra le più notevoli della Repubblica. Avrà invece un Patriarca (Giovanni, dal 1619 al ’31). Non appartenevano al ramo nobile della famiglia i pittori settecenteschi Giambattista, Giandomenico e Lorenzo.
Gli altri sedicenti “riminesi” Corner si dicevano discendenti dalla gens Cornelia. Suddivisi in quattro linee principali (Corner “della Piscopia”, “di San Polo”, di “San Maurizio” e di “San Cassiano”), diedero alla Serenessima ben quattro Dogi: Marco dal 1365 al ’68; Giovanni I dal 1625 al ’29; Francesco per diciannove giorni nel 1656; e Giovanni II dal 1709 al ’22. I Corner erano una delle quattro famiglie “evangeliche” , cioè quelle che nel 982 avrebbero partecipato alla fondazione del monastero di San Giorgio Maggiore.
Il primo doge Corner, 59º della Repubblica, fu Marco (1286-1368). Compì una carriera gloriosa e densa di avvenimenti, spesso drammatici. Anni non facili per Venezia, sconfitta clamorosamente da Genova nella Guerra degli Stretti (1350-55) e attaccata da Luigi I d’Ungheria che si prese la Dalmazia e arrivò ad attaccare Treviso. Crisi culminata con la congiura del doge Marin Faliero (1355) per insignorirsi della Serenissima, quando Marco svolse un ruolo decisivo nel sventarla e nella condanna a morte dell’aspirante tiranno. Eletto doge, Marco represse spietatamente l’ennesima rivolta di Candia (Creta) dove la popolazione fu decimata, molti villaggi rasi al suolo, per poi ripopolare le zone punite con coloni selezionati per la loro fedeltà. Ma almeno la Repubblica restò in pace per aluni anni, riuscendo a resistere in una complicatissima fase.
Sempre appartenente a questa famiglia fu Caterina Cornaro, l’ultima regina di Cipro, prima come consorte del re Giacomo II di Lusignano, poi come reggente per il figlio Giacomo III di Lusignano, ed infine come unica regnante dal 1474 al 1489. Infine venne costretta ad abdicare nel 1489 in favore della Serenissima, che si prese l’ultra strategica isola, e fece ritorno in patria.
Inoltre, furono dei Corner ben otto i cardinali, numerosi politici, diplomatici e militati. Ed Elena Lucrezia Corner Piscopia (1646-1684), prima donna al mondo a conseguire una laurea, anche se poi le fu negato l’insegnamento.
L’Università di Padova sbandiera tuttavia il record, nonostante le pretese di Bologna che sostiene di aver laureato Bettisia Gozzadini in diritto canonico a Bologna nel 1236, Napoli che accampa Costanza Calenda dottoressa in medicina nel 1422, Cordova che schiera Isabella Losa dottoressa in teologia ai primi del ‘500, Avignone che dichiara Juliana Morell, suora dominicana addottorata nel 1608.
Chissà cosa avrebbe pensato di questa gara di vanterie il cardinale Gregorio Barbarigo (venerato come santo dalla Chiesa cattolica), il quale si oppose in ogni modo alla laurea della Corner in quanto riteneva “uno sproposito” che una donna potesse diventare “dottoressa”, perché avrebbe significato «renderci ridicoli a tutto il mondo».
(nell’immagine in apertura: ritratto ideale di Jacopo Tiepolo del Tintoretto, seconda metà del XVI sec.)