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7 novembre 1015 – Tracce di Belen(os) a San Lorenzo a Monte


7 Novembre 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

In un atto del 7 novembre 1015 appartenente all’Archivio del Capitolo della Cattedrale di Rimini, si legge: «padule qui vocatur majore de Sancto Laurentio propre fundum Beleni, qui vocatur Cava».

Una riga di mille anni fa, una messe di informazioni: San Lorenzo a Monte, che dunque già esisteva; quel padule che assomiglia tanto ai vicini Padulli; e poi quel Beleni che forse è lo spunto più affascinante di tutti.

Scrive infatti Luigi Tonini«O Apollo Beleno ebbe una qualche Cappella anche colà, ovveramente quel fondo prese tal nome dall’essere possessione di Beleno, ossia proprietà del Dio di questo Tempio. Non è a tacere però che in S. Lorenzo a monte appariscano ancora notabili avanzi di un Tempio antico; e che in un atto del 958 (…) è ricordato in quel luogo un fondo col vocabolo Massa Fani»: cioè “del Tempio”. 

Apollo Saettatore

Ancora oggi presso la pieve di San Lorenzo a Monte (purtroppo chiusa e non visitabile, finalmente in via di restauro), nominata  la prima volta, come “basilica”, fra l’810 e l’816, si possono osservare numerosi e grossi rocchi di colonne romane

Se non che, almeno finora, le indagini archeologiche non hanno individuato alcun tempio antico sotto la chiesa. Provenivano da un altro edificio, o addirittura dato che i resti ritrovati non combaciano fra loro, ancora da individuare nei paraggi? E questi ipotetici templi erano davvero dedicato ad Apollo Beleno e/o a Minerva, dato che le carte (nel 1059) citano nei pressi anche un «fundum Minervia»? E poi, chi era questo Apollo Beleno?

Rocchi di colonne romane a S. Lorenzo a Monte (da “Pievi del territorio riminese nei documenti fino al Mille” di Currado Curradi, Luisè 1984)

Sempre il Tonini, sulla scorta dell’Adimari (che scriveva nel 1616) ci informa che il culto di tale divinità era ben presente a Rimini e più precisamente nel sito di S. Maria degli Angeli«Del Tempio d’Apollo così l’Adimari: “Nell’orto, ovver cortile di detto Convento” cioè delle Monache degli Angeli, che fu in via Patarina, “vi è un tempio dedicato ad Apollo non ruinato, ma tutto sotto terra; dove è opinione che vi siano cose di gran valore; e dicesi ancora esservi in detto orto un tesoro, e non molti anni sono fu dato principio per cercarlo, ma per occasione di certe gran pioggie s’abbandonò l’impresa”».

Tonini  aggiunge le notazioni di Iano Planco, il quale, nel ‘700, vide nelle mura della città che passavano per quell’orto ben nove «grandiosi» capitelli romani e tanti «pezzi di fregio e di colonne», oltre a «molte metope con rosoni, patere, e teste di toro con infule», nonché «un semibusto non terminato ma che sembra di persona Consolare e una testa di lavoro non fine ma buono che fu battezzata per quella di L. Bruto», «una medaglia di Traiano in rame giallo di prima grandezza»  e un pezzo di muro con alcuni mattoni «col bollo di Antonino Pio».

Concludeva il Planco: «Si arguisce che il basamento del tempio debba ancora esistere nelle vicinanze». Esisterà ancora in piazzale Gramsci, magari con il suo “tesoro”, dopo lo stravolgimento di quel quartiere avvenuto ai primi del Novecento?

Da parte sua, lo stesso Iano Planco possedeva un frammento di lapide trovato «in un muro vicino l’antico Porto», cioè circa nell’area dell’attuale piazzale Clementini, recante l’iscrizione BELEN. V. S.

Spiega infine Tonini«Apollo col soprannome di Beleno, cioè saettatore, ebbe culto in Aquleja, e in molti luoghi della Gallia».

Apollo Beleno ad Aquileia

Ma qui si apre un’altra traccia, che rischia però di condurci lontanissimo. Anche se non, purtroppo o per fortuna, alla celeberrima Belen Rodriguez.

Belen Rodriguez in versione “classicheggiante” a Sanremo 2011

Più o meno inconsapevolmente, la soubrette argentina porta uno dei tanti nomi (Bel, Belan, Belenos, Belus, Belinos, Belinu, Belinus, Belanos, Beleno, Belenu, Belemnus) con cui fu chiamata una divinità non dei Greci, ma dei primissimi Celti. E’ vero che in greco bèlos significa “saetta” e che gli Elleni identificarono quel dio con una manifestazione del loro Apollo, ma non furono essi a portare il culto né ad Aqulieia, né a Rimini, né nelle Gallie. Belenos vi regnava già da molto tempo ed era molto diverso (per dirne una, barbuto) da come lo raffiguravano i Greci.

Il Belenos celtico

Era un dio probabilmente già adorato da Iberi e Liguri, popoli non indoeuropei già stanziati nel continente ancora prima dei Celti. Il suo nome ha origine nella radice ben presente in moltissimi linguaggi arcaici, dal sanscrito a quelli parlati fra Africa e Asia, oltre che dagli Indoeuropei primitivi; significa “luce” o “luminoso” e quindi “bianco”. Bel (Signore) è altresì il dio primordiale della luce in medioriente, venerato sicuramente dai Sumeri a partire dal VI millennio a.C., e forse ancor prima sin dalla notte dei tempi della preistoria neolitica. Una volta giunti da queste parti, inevitabile imbattersi con Baal, il grande dio dei Semiti, dai Fenici alla terra di Canaan. Non volendo giungere a Belzebù, qui ci arrestiamo.

A sinistra, Bel raffigurato accanto a Ba’alshamin, Yarhibol e Aglibol su un rilievo di Palmira, Siria (I sec. d.C.)

Una divinità, come Apollo, sì solare e della conoscenza, ma anche dell’acqua, della fecondità e della rinascita, le cui “saette” erano i dardi infuocati del sole e non le micidiali frecce avvelenate con cui il dio olimpico spandeva la peste. Spesso gli venivano dedicati templi in prossimità di fonti e sorgenti, essendo un dio guaritore; la Galvanina non è distante.

Il dio Belenos

Da qui un’incredibile serie di derivazioni, da quelle sicure a quelle ipotetiche: gli studiosi hanno intravisto la presenza del dio in BelfastBelluno, Bellinzona, Bellagio e Biella; in Belligna presso Aquileia dove esisteva con certezza un suo famoso tempio; in Belgrado e nella Bielorussia; e i Genovesi, persino nel loro belìn.

Certamente Belenos fu uno dei più importanti fra gli dei celtici. La festa primaverile di Beltane sarebbe stata celebrata in suo onore, all’inizio della “stagione luminosa”. E per lui si sarebbero accesi quei falò rituali attorno ai quali ancora oggi ci ritroviamo la notte di San Giuseppe, per la nostra fogheraccia.