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8 febbraio 1831 – Francesca da Rimini eroina dei patrioti italiani


8 Febbraio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Ferruccio Farina nel suo “Francesca da Rimini: storia di un mito: letteratura, teatro, arti visive e musica tra XIV e XXI secolo” racconta l’enorme successo riscosso dalla tragedia che Silvio Pellico aveva tratto dalla vicenda narrata per prino da Dante Alighieri nel V canto dell’Inferno: “Opera che lui amava più di ogni altra e che più di ogni altra amava anche il pubblico”. Rappresentata la prima volta il 18 agosto 1815, “tre mesi dopo l’abdicazione di Napoleone e la restaurazione imposta dal Congresso di Vienna, e sei mesi dopo il Proclama di Rimini di Murat, primo appello all’indipendenza della storia italiana. E certo, non è un caso”, sottolinea Farina. Dal 1818 al 1850 il lavoro di Pellico conobbe più di 60 edizioni a stampa, con traduzioni in francese, tedesco e inglese.

Nel 1830 Silvio Pellico era stato graziato dall’imperatore Francesco II dopo aver passato 8 anni nelle durissime carceri dello Spielberg, dovendo scontarne 15 in commutazione alla pena capitale per cospirazione comminata in prima istanza. Spossato nel corpo e nello spirito, avviato al ritorno nella fede cattolica,  si era ritirato a Torino dove stava stendendo le memorie della sua detenzione in quello che diverrà il suo capolavoro, “Le mie prigioni”, che sarà pubblicato nel 1832.

Mentre l’autore in piena crisi ideologica era bollato pressochè come traditore, la sua Francesca era diventata una bandiera per i patrioti di mezza Europa, soprattutto per quei versi pronunciati da Paolo il Bello nella scena quinta del primo atto: “Per chi di stragi si macchiò il mio brando? / Per lo straniero. E non ho patria forse, / cui sacro sia de’ cittadini il sangue? / Per te, per te che cittadini hai prodi, / Italia mia, combatterò se oltraggio / ti muoverà l’invidia. E il più gentile / terren non sei di quanti scalda il sole? / D’ogni bell’arte non sei madre, o Italia? / Polve d’eroi non è la polve tua?”.

Stemma del Governo delle Provincie Unite

Fra gli esempi che Farina riporta, c’è una testimonianza del  ferrarese Francesco Rangone, conte e patriota. “Nella sua cronaca delle giornate ‘calde’ della sollevazione del 1831, rievoca la serata dell’8 febbraio a Bologna ove si era appena insediato il governo delle Provincie Unite e ove al teatro Contavalle si recitava la Francesca di Pellico:

«Fra due atti intuonarono l’Inno Marsigliese e l’Inno Italiano. Il tenore diede la nuova della resa di Lugo, Ferrara e Massalombarda» e l’attore-patriota Francesco Pescantini, nelle vesti di Paolo il Bello, interruppe la scena e, «sventolando il tricolore, si lanciò in un appassionato discorso sulla libertà e l’onore italiano, interrotto dall’entusiasmo del pubblico e da duecento giovani della Guardia Nazionale rivoluzionaria che salirono sul palco acclamando».

“Conclusa la rappresentazione di Francesca i giovani patrioti sfilarno per le vie e i teatri di Bologna con il loro tricolore, inneggiando alla Patria e alla libertà”. Conclude Farina: “Pellico, Patria e Teatro. E Francesca da Rimini che, per gli oltre cent’anni a venire, nessuna compagnia teatrale di rango potrà omettere dal suo repertorio”.

(nell’immagine in apertura: incisione in Christien Ostrowsky, Françoise de Rimini tragédie en trois actes et en vers, imitée de l’italien, Paris, Marcant, 1838)