Il 9 febbraio tutte le Chiese cristiane che ammettono il culto dei santi commemorano Santa Apollonia, martire ad Alessandria d’Egitto nel 249 circa.
La tradizione vuole che le furono cavati i denti di bocca e per questo viene considerata patrona dei dentisti, igienisti dentali e odontotecnici. La sua morte sarebbe avvenuta poi sul rogo, il tutto durante una sommossa anti-cristiana. Diversamente da molte giovanissime martiri, Apollonia sarebbe stata una donna anziana non sposata, o almeno così tramanda Eusebio di Cesarea.
Senta Pulogna ebbe una chiesa a Rimini in quella che si chiamava piazza S. Antonio, o delle Erbe: l’odierna piazza Tre Martiri. O meglio, era detta “di S. Apollonia” – a Rimini è frequente che una chiesa sia chiamata con nomi differenti – la chiesa parrocchiale di San Giorgio in Foro. Insieme a tutto l’isolato della Torre dell’Orologio, fu costruita a metà del ‘500, relegando così l’antichissima chiesetta San Michelino nel suo vicolo odierno, pur mantenendo anch’essa l’appellativo “in foro”. San Giorgio – S. Apollonia dovette coabitare per almeno un secolo con le “beccherie pubbliche” – il macello comunale con tutti suoi effluvi – finché queste non furono trasferite in un luogo più igienico nel 1642, per essere sostituite da edifici porticati come li vediamo anche oggi. La parrocchia fu soppressa e la chiesa sconsacrata nel 1808.
Ma dalle nostre parti Senta Pulogna è innanzi tutto patrona di Bellaria e anche se quest’anno in suo onore non si potrà organizza la tradizionale Fiera. L’antico culto della martire egiziana è ben radicato anche altrove e numerose fiere e feste si celebrano nella giornata di oggi, soprattutto in Lombardia e Trentino.
“Per Senta Pulogna us pienta l’aj e la scalogna”, per S.Apollonia si pianta l’aglio e lo scalogno, dicono a Fusignano: “ma per l’aglio – siamo già al 9 febbraio – è tardi!“, chiosa giustamente Gianni Quondamatteo.
Il quale ci ricorda anche che “Pulogna era un personaggio del teatro dei burattini nostrano”.
Come si accennava, si invoca Sant’Apollonia per preservare i denti, ieri più che oggi fonte di sofferenze inenarrabili.
I nostrani proverbi sui denti non possono che confermarlo:
“Fura e’ dent, fura e’ turment”, fuori il dente, fuori il tormento.
“E’ dent bus s’t’an vo cavè, de gran mel t’è da pruvè!”, se non vuoi togliere il dente cariato, dovrai provare un gran male!
“I dint guast s’t’arè, d’un quelc mel t’ patirè”, se avrai i denti guasti un qualche male lo patirai.
“E’ mel di dint, chi j n’è prova un gni crid”, il mal di denti chi non lo prova non ci crede.
I denti poi rientravano in un’infinità di espressioni figurate.
Sempre Quondamatteo:
“Cavè i dint ma un”, cavare i denti a qualcuno: farlo parlare, estorcergli delle notizie.
“Avè i dint dur”, avere i denti duri: cioè un carattere fermo, deciso.
“C’am cheva ste dent!”, togliamoci questo dente: come in italiano, questa incombenza, questo pensiero.
“Arbat i dint ma un”, ribattere i denti a qualcuno: ribattere colpo per colpo, prendersi la rivincita, vendicarsi.
“Avè i dint lighed”, avere i denti legati: non poter esprimere liberamente il proprio pensiero, perché debitore verso qualcuno.
“Dint red, fortunèd”, denti radi, fortunato: così la credenza popolare.
“At sgregn i dint!”, ti sgrano i denti: una pesante minaccia.
“O e’ dent o la ganasa”, o il dente o la mandibola: una delle due, una decisione si impone.
E il poeta contadino di San Clemente, Giustiniano Villa:
“Inciudè i dent”, inchiodare i denti: morire.
(nell’immagine d’apertura Sant’Apollonia in un dipinto attribuito a Piero della Francesca – XV sec.)