9 giugno 1257 – I Francescani hanno la loro grande chiesa a Rimini
9 Giugno 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Il 9 giugno 1257 Giacomo vescovo di Rimini concede la chiesa di Santa Maria in Trivio all’Ordine dei frati minori di San Francesco, nella persona di Fra’ Domenico Guardiano loci B. Francisci Fratrum Minorum de Arimino. La chiesa e i terreni circostanti erano fino ad allora appartenuti al grande monastero benedettino di Pomposa, che già allora si avviava però alla decadenza. Nella cessione si specifica che fu eseguita per volontà del papa, che era Alessandro IV, grande sostenitore degli Ordini mendicanti. E’ il pontefice che solo due anni prima aveva elevato all’onore degli altari Santa Chiara, morta nel 1253. E che aveva riunito in un solo grande Ordine gli Eremitani di S. Agostino
Francesco di Pier Bernardone, nato in Assisi nel 1182, morto nel 1226 e Santo dal 1228, come riporta Luigi Tonini citando il “Wadingo” (il teologo e storico francescano irlandese del ‘500 Lucas Wadding) “fu in Rimini nel 1215 anno in cui la Regola sua venne approvata anche dal Concilio Lateranense: e che fuvvi ospitato in luogo presso alla Chiesa antica de’ Ss. Bartolomeo e Genesio”: era una chiesetta presso l’arco d’Augusto, che diede il nome alla porta medievale con torre che stava all’esterno di quella romana e al Borgo poi detto di San Giovanni e in seguito XX Settembre. “Poi a p. 242 aggiunge che nell’anno stesso fondò il Convento della Villa di Verucchio, ora de’ Minori Osservanti riformati; Convento il più antico che sia nella Provincia Francescana Bolognese, ove è in grande venerazione la Cella del Santo; e si ammira un cipresso, e un ulivo che dicono piantato da lui”.
Fino ad allora i Francescani si erano sistemati alla bell’e meglio adattando a chiesa una cantina “fatta da un tal Cortopasso a’ 5 dicembre 1195” che si trovava in un “broilo”, cioè un orto semi-incolto, dove srabbe stato “quel primo Eremo abitato da S. Francesco”. Si era in quello che in epca napoleonica sarebbe stato denominato Rione Pataro, come Patara ( e prima “Ausella”, o “Apisa interiore”) si chiama la fossa (oggi tombinata) che lo attraversa: un settore della città scarsamente popolato ma dove erano mumerose le attività artigianali proprio lungo la fossa. Artigiani che fino a buona parte del XIII secolo avevano aderito in massa alle eresie della “Pattarina”. Quindi occorreva affrontarli con un forte presidio di ortodossia.
Già nel 1228 nel testamento di tale Druda vedova di Cono, datato 2 febbraio dunque cinque mesi prima della santificazione di Francesco proclamata il 16 luglio, si legge “che colei lasciò pauperibus Christi fratribus Minoribus in civ. Arim. ultra Apusam permanentibus l’uso di un Orto posto ultra dictam Apusam; per Apusa non si può intendere che la fossa, la quale, come è noto per altro Documento del 1262, fu anche detta Aprusa”, ovvero l’Ausa.
Francesco d’Assisi nella sua prima Regola aveva stabilito per i suoi frati in modo assoluto e inequivocabile il divieto assoluto di possedere qualsiasi cosa, salvo le esplicite eccezioni di una veste, una cintura e un paio di mutande. Non potevano nemmeno accettare elemosine e tanto meno donazioni, dovendosi guadagnare il pane solo con il lavoro manuale. Si noti che la vedova Druda in effetti lascia ai frati “l’uso” e non la proprietà del suo orto. Ma già quando Francesco era ancora in vita questa Regola aveva dovuto subire smussature ed eccezioni. Non senza contrasti: drammatica la spaccatura dell’Ordine fra Spirituali, ligi alla prima Regola, e i più accomodanti Conventuali, che perdurò almeno un secolo.
Tornando al 1257, il 28 luglio i monaci di Pomposa, “anch’ essi in ubbidienza al Papa fecero dono ai Frati Minori di tutte le ragioni che avevano su quella chiesa e sulle pertinenze sue. Lo che del pari fu approvato dal Pontefice con Bolla del 20 settem. 1259”. La chiesa del Trivio era antichissima – le prime notizie risalgono a prima del Mille – quanto piccola. I Frati Minori la demolirono per costruire invece una vasta chiesa ad aula unica adatta alle predicazioni, insieme a un ampio convento. Il primo chiostro fu costruito solo verso il 1330. Dopo l’intervento di Leon Battista Alberti del 1447 per volere di Sigismondo, la chiesa medievale inglobata da un involucro classicheggiante sarà il Tempio Malatestiano, primo edificio al mondo ispirato ai nuovi canoni dell’Umanesimo. Il convento, dopo la sconsacrazione del 31 agosto 1798, sarà adibito a caserma per tutto l’Ottocento, poi a pinacoteca civica e museo archeologico fra gli anni Venti e Trenta del Novecento e infine completamente distrutto dai bombardamenti del 1943-44.
Presso San Francesco “fu l’ampio Cimitero appellato di Sant’ Antonio Abbate, ove per la pestilenza del 1348 furono sepolte 24 centinaja di morti, come dice la pietra scritta in caratteri gotici, che oggi vedesi nell’attual chiostro”. Nel 1362 il notaio Franceschino Muzzoli, “essendo Guardiano Fra Michelino da Rimini, e Sagrestano Fra Giovanni da Longiano”, redige un elenco delle sepolture. Ne conta più di 113 davanti e intorno alla Chiesa da ambo i lati, ne descrive “44 juxta plateam et refectorium. Poi una fila juxta murum prati, in mezzo al qual prato era la cisterna. Indi altra fila in Claustro sub Porticu juxta Ecclesiam de Paradiso”, dove “sono annoverate parecchie Arche alte da terra ed ornate”. Fra le quali quelle di Rainerio e Zanchino Giudici figli di Ugolino di Guglielmo Sena, e quella di Maestro Filippo Medici oculorum. Poi otto sepolture oltre quelle degli Omodei, potente casata ghibellina, “la seconda delle quali era di Pietro de’ Battagli della contrada S. Agnese; poi altre otto, cominciando dal portico della Sagrestia; poi altre 17 in diversa direzione; poi altra fila in Cimiterio S. Antonii, a Cappella S. Antonii …… usque ad Apsam, cioè la fossa. Altrove poi son distinte quelle dei Malatesti, e delle lor donne, e de’ loro figli naturali. Fra le notabili attorno alla Chiesa era l’Arca di Donna Taddea, che dovea essere de’ Malatesti, e quella di Gozio, che crederemo fosse del Cardinal de’ Battagli riminese morto in Avignone, il quale nel suo testamento fatto colà a’ 16 agosto 1345 ordinò che le sue ossa dovessero portarsi nella Cappella eretta in que sta Chiesa da lui”.
Oltre la Chiesa maggiore ne sorsero di minori, o Celle. Una era quella gà citata di S. Maria del Paradiso “che è quella che, concessa poi alla Confraternita de’ Falegnami, venne ampliata o rinovata col nome di San Giuseppe”. Poi S. Antonio Abate, che era quella del Cimitero “ove passa la fossa”: intesa come Patara; “Questa, concessa poi alla Compagnia della Croce, nel 1547 venne convertita in ampia Chiesa, la quale secondo la descrizione del Righini ebbe cinque Cappelle per parte e tre di fronte. Ma nel 1625 per lite tra i Frati e la Compagnia fu abbandonata da questa, la quale passò ad erigere nella vicina contrada l’elegante Oratorio che prese nome di Croce nuova, ed oggi ha titolo di San Simone. All’altra venne allora il titolo di Croce vecchia; e fu precisamente ove sorse la casa Passeri, poi Selva, ora Bellini”.
Quindi l’oratorio del Riscatto dell’omonima Confraternita, che si occupava di pagare la libertà dei cristiani catturati dai pirati musulmani e caduti schiavi in “Barberia”, “la quale nel 1663 cominciò altra Chiesuola demolita poi nel 1759”.
Ammiriamo ancora il crocifisso di Giotto nel Tempio Malatestiano. Ma il Vasari dice che nel costruirlo “vennero perdute pitture nobilissime che adornavano il principal Chiostro rappresentanti la Storia della B. Michelina da Pesaro. Ed in vero dovettero essere eccellenti, essendosi giudicate dal Vasari opera di Giotto: lo che è falso, sendo che Giotto morto nel 1336 non potè istoriare la vita di quella Beata morta 20 anni dopo. Probabilmente furono di qualche suo discepolo”: e quasi certamente di un pittore della scuola trecentesca riminese, che nel 1856 in cui scrive il Tonini non era ancora stata individuata.
Esistevano poi sei quadretti “creduti del Perugino” che abbellivano il vecchio pulpito era abbellito che “oggi sono in Sagrestia”; inoltre “nel Refettorio ammirasi un magnifico affresco rappresentante la Cena, lungo m. 11, 50, non ricordato dal Marcheselli. Ignoto ce n’è l’Autore: vi lessi però da piedi il millesimo così; MCCCCCXV-XXI_LVIO -: il qual millesimo oggi è stato coperto col bianco nel por quella sala a servigio di Ospedal militare, Vedi che chi scrisse apparteneva alla Venezia. Ed anche in quel fondo che ai Frati servi ultimamente di cucina, ora stalla, ed ha ingresso nel Chiostro, oggi si sono scoperti avanzi di pitture antiche. Forse quelle viste dal Vasari?”.
“Per ultimo la storia di questo luogo vuol si ricordi che vi fu tenuto un Capitolo Generale nel 1386; e che vi furono ospitati uomini rispettabili per dignità e per dottrina, fra quali, secondo il Righini, Papa Gregorio XII quando dimorò in Rimini: e dicono che Sisto V vi sia stato studente. Questo Convento fu anche avuto in molto conto dal Comune, che in esso pose l’Archivio principale: nè è a tacere che ebbe celebre Biblioteca, arricchita di Codici da Sigismondo, ed accresciuta della suppellettile libraria del Valturio, la quale venne trasportata a più conveniente luogo nel 1490 dal Guardiano Fra Giovanni Baiotti”.