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6 febbraio – I ariva i Giapunìs


6 Febbraio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO

Il 6 febbraio la Chiesa cattolica commemora San Paolo Miki (1556 circa – 1597) primo giapponese  proclamato santo da papa Pio IX insieme ai 25 compagni di martirio.

Il martirio di San Paolo Miki e dei suoi compagni

Nato nei pressi di Kyōto da una nobile famiglia, ricevette il battesimo a 5 anni e a 22 entrò nei Gesuiti come novizio: studiò presso i collegi dell’ordine di Azuchi e Takatsuki e divenne un missionario; non poté essere ordinato sacerdote a causa dell’assenza di un vescovo in Giappone. La diffusione del Cristianesimo fu inizialmente tollerata dalle autorità locali, ma nel 1587 il daimyō Toyotomi Hideyoshi mutò il suo atteggiamento nei confronti degli occidentali ed emanò un decreto di espulsione dei missionari stranieri.

Il daimyō (gran feudatario) Toyotomi Hideyoshi, “secondo unificatore del Giappone”

L’ostilità antieuropea raggiunse il suo culmine nel 1596, quando si scatenò una persecuzione contro gli occidentali, quasi tutti religiosi, e i cristiani giapponesi, considerati traditori. Nel dicembre di quell’anno, Paolo Miki venne arrestato insieme ad altri due compagni giapponesi del suo ordine, sei frati missionari spagnoli e i loro diciassette discepoli locali, terziari francescani. Vennero crocifissi sulla collina di Tateyama, nei pressi di Nagasaki. Secondo la passio, Paolo continuò a predicare anche sulla croce, fino alla morte.

Queste drammatiche e complesse vicende sono state ricostruite fra gli altri da Martin Scorsese nel 2016 con il film Silence.

Non deve meravigliare che Gianni Quondamatteo nel suo E’ luneri rumagnol annoti al 6 febbraio Sen Pevli Miki, canonizzato nel 1862, e non Santi più antichi. La sanguinosa parentesi del primo cristianesimo in Giappone era ben nota ai fedeli anche di queste parti e le memorie cittadine riportano vivide immagini di quei tempi. Appena due anni prima dello scatenarsi delle persecuzioni e quando ancora l’affermazione della fede sembrava più che promettente, i Riminesi avevano potuto incontrare a tu per tu i Giapponesi convertiti.

Così narra i fatti Carlo Tonini per il 1585: “Ma di tutti gli avvenimenti seguiti in questi anni quello che maggiormente richiamò l’attenzione universale fu la prodigiosa conversione alla fede dei popoli Giapponesi mercè le sante e indefesse cure di S. Francesco Saverio e della compagnia di Gesù”.

“Memorabile pertanto è l’anno 1585, in cui, spediti da quelle isole sì remote alcuni giovani ambasciatori di tre di quei principi, mossero alla volta di Roma per condursi a’ piedi di Gregorio XÌII. Accompagnati da parecchi padri della detta compagnia, giunsero alla Metropoli del mondo cristiano il 22 marzo, e furono di spettacolo al popolo romano, che genti e foggie e costumi di tal fatta non avea mai veduto. Se non che in mezzo a quelle consolazioni, la troppa gioia forse, e certo la età grave di ottantaquattro anni, condussero alla tomba il pontefice, a cui non tardossi a dare il successore nella persona del card. Felice Peretti, uomo di bassi natali, ma di singolarissime doti di animo e d’ingegno, che si chiamò Sisto V“.

Ben noto egli era ai Riminesi, poiché era stato già lettore di sacri canoni in questo convento di S. Francesco. A lui toccò di fare le onoranze ai Giapponesi, i quali al ritorno passando per Rimini vi si fermarono e vi ebbero speciale accoglienza. Ne parla accuratamente il Clementini; ma noi crediamo ben fatto il riferire su questo argomento le parole spigliate del Bruni“: cioè Vincenzo Bruni (1532 – 1594), gesuita e medico riminese, testimone oculare dell’avvenimento.

«Arrivarono quasi all’improvviso in Rimini – scrive il Bruni – li quattro o cinque re, o fìgli e nepoti di re, dell’isole del Giappone, giovani di 16 in 18 anni o non di più di venti; sbarbati, di picciola statura, di color olivastro, pieni in viso, ma simili assai a gente di Spagna: con quattro soli servitori loro, ed uno italiano interprete e sette preti Gesuiti, ch’erano cinque che gli havevano di sì lontana regione condotti sin dall’altro emisferio a riconoscere il papa; e furono ricevuti e spesati in pubblico nel palazzo della fontana, e con ogni applauso condotti a tutte le chiese e a vedere tutte le reliquie de’ Santi, così ordinando li loro condottieri, che in altro non volsero che fossero distratti: e vi concorsero tutti uomini e donne a vederli vestiti di rosato fino e veste negra sopra, con finimenti d’oro e cappelli di velluto con grossi cordoni d’intorno donatigli da papa Gregorio… Partirono per Bologna verso l’antivigilia della festa del Corpo di Cristo (Corpus Domini, 23 giugno) per essere da poi a Venezia ed ultimamente a Genova, dove una lor gran nave, regia veramente, gli aspettava per ricondurli alle loro lontanissime isole».

“A tali parole del medico cronista – conclude il Tonini – noi non abbiamo altro da .aggiungere, salvo che i padri nostri rimasero sì profondamente colpiti da quello strepitoso avvenimento, che della ospitalità qui data a quei giovani ambasciatori vollero perpetuare la memoria con iscrizione latina in marmo, la quale fu posta sotto la loggia del palazzo pubblico ed ora é nell’atrio del palazzo Gambalunga”.

(nell’immagine in apertura, il giovane Toyotomi Hideyoshi – allora chiamato Kinoshita Tōkichirō – guida un piccolo gruppo all’assalto del castello sul monte Inaba)