Il 29 gennaio la Chiesa festeggia fra gli altri San Valerio, vescovo di Ravenna (morto il 15 marzo dell’810). Di lui si sa pochissimo e quel poco si confonde con una altro San Valerio, commemorato sempre il 29 gennaio, ma vescovo di Treviri in Germania e vissuto (forse) fra III e IV secolo.
Di qualsiasi Valerio si trattasse, questa data era estremamente importante per il popolo: contrassegnava il primo dei Dé d’la merla, i giorni della merla.
Gli ultimi tre giorni di gennaio si chiamano così in mezza Italia, soprattutto quella settentrionale e centrale. Le spiegazioni di questo nome sono diverse. Quella che veniva data in Romagna e in molte altre regioni con mille piccole varianti, era la seguente.
La leggenda narra che un tempo i merli erano bianchi. Finché una merla, per ingannare Gennaio che ogni anno la faceva soffrire con il freddo e il cattivo tempo, decise di cercare un rifugio per se e la sua prole. Lo trovò in un camino, dal quale uscì solo l’ultimo giorno del mese, che allora durava 28 giorni. Pur annerita di fuliggine, avrebbe deriso Gennaio per essere riuscita a sottrarsi alla sua gelida morsa. Ma Gennaio, infuriato, chiese a Febbraio tre giorni in prestito che riempì di neve e gelo, mentre la merla e tutti i suoi discendenti sarebbero rimasti neri.
La storia forse cerca di spiegare una riforma del calendario – nei calendari lunari i mesi duravano 28 giorni – e la disparità, apparentemente incomprensibile, fra il lungo gennaio e il brevissimo febbraio. Allo stesso tempo, allude alla volontà di risveglio della natura al culmine del gelido inverno.
“Quand e’ canta e’ meral, a sem fura dl’inveran”, dicono infatti a Forlì.
E ancora: “Quând e’ canta l’usel pznen, l’inveran u s’è aviè ben”, quando canta l’uccello piccino l’inverno è ben avviato. A Rimini: “Quand e’ raz znin e’ cminza a cantè, l’inverne u s’è bel che aviè”, quando l’uccellino comincia a cantare, l’inverno è bell’e che avviato: ad andarsene.