8 gennaio – San Severino, patrono di Austria e Baviera le cui reliquie furono a San Leo
8 Gennaio 2024 / ALMANACCO QUOTIDIANO
Nell’anno 488 giunge nel “castron Monteferetron” il corpo di San Severino del Norico. Le reliquie resteranno nella futura San Leo fino al 492, quando papa Gelasio I propose di trasferirle a Napoli. Qui furono poste nel Castrum Lucullanum, così chiamato dalla villa che Lucullo aveva eretto sull’isolotto di Megaris, lo scoglio della sirena Partenope dove i Greci di Cuma fondarono il loro primo insediamento e dove oggi sorge il celeberrimo Castel dell’Ovo.
San Severino Abate è commemorato l’8 gennaio; è il patrono nazionale dell’Austria e della Baviera, in Italia di San Severo e Striano. Fu uno dei santi più venerati dell’alto medio evo, che visse in prima persona e in prima linea il crollo dell’impero romano d’Occidente. Storia e leggenda si mescolano nella trama affascinante del suo culto, che corre attraverso i secoli dal drammatico trapasso dal mondo classico a quello medievale fino al pieno Rinascimento.
Severino era nato verso il 410 in Italia, certamente di nobile famiglia romana, forse senatoria; talvolta si accenna a un’origine africana. Alcuni hanno proposto di identificarlo con Flaviano Severino, console nominato dall’imperatore Maggioriano nel 461, o con un suo figlio omonimo, ma la tesi non ha trovato molti consensi.
Il Limes nel Norico e nell’Alta Pannonia
La vita di Severino fu scritta dall’abate Eugippio nel 511. Si narra della sua formazione religiosa presso i monaci orientali, forse in Egitto; lui stesso rimase sempre un anacoreta. Dopo le devastazioni di Attila e dei suoi Unni, fu inviato – o volle andare – sul limes danubiano per riorganizzare la Chiesa e assistere le popolazioni. Nel 453 giunse nel Norico: era la provincia romana che comprendeva le attuali Austria centrale, parte della Baviera e della Slovenia. Regione di quella frontiera sul Danubio sempre più difficile da tenere sotto la pressione dei barbari: dopo Marcomanni e Naristi, dal III secolo erano comparsi Alemanni, Iutungi e Vandali. Quando vi giunse Severino il pericolo maggiore era rappresentato dai Rugi.
La popolazione norica era composta da celti romanizzati e in buona parte già convertiti al cristianesimo. Severino si dedicò a un’intensa attività caritativa, ma anche politica, guadagnandosi il rispetto anche dei re germanici per la sua condotta irreprensibile, la saggezza dei suoi suggerimenti e i prodigi compiuti. Era sempre a piedi scalzi, anche d’inverno; in ogni stagione sopra il cilicio penitenziale indossava solo una tunica; mangiava una sola volta al giorno al tramonto e un solo giorno alla settimana durante la Quaresima; dormiva sul nudo pavimento del suo oratorio. Fra i suoi interventi ritenuti soprannaturali, la profezia, inascoltata, sull’imminente e distruttivo assalto barbaro ad Asturis (forse Zwentendorf an der Donau), il primo presidio romano dove giunse. Fece lo stesso a Comagenis (Tulln) dove invece gli diedero retta e si arroccarono, mentre un terremoto metteva in fuga nel panico gli assedianti barbari. Le sue mani accendevano il fuoco per i sacri lumi, guarivano i malati a iniziare dai lebbrosi. Ma la sua specialità era la profezia e non solo di calamità. Alle chiese che ne erano prive, predisse l’arrivo miracoloso di reliquie: quelle dei Santi Gervasio e Protasio e poi di San Giovanni Battista.
Sul piano terreno, si adoperò in ogni modo per alleviare la fame di quelle popolazioni, che appare nella sua storia come l’incubo sempre incombente. Senza neppure aver accettato l’autorità di vescovo, chiese decime per comprare cibo da donare agli indigenti; e tutti obbedivano. In un’occasione distribuì prezioso olio a tutti i poveri della regione. La sua fama e le opere si estesero alla Rezia, la provincia romana che comprendeva le attuali Svizzera, Baviera, Svevia, parte dell’Austria, del Trentino, del Tirolo, della provincia di Belluno ed alcune valli della Lombardia settentrionale, tra cui la Valtellina. Severino si stabili a Favianis (Mautern an der Donau) dove fondò il monastero di cui divenne abate.
Nel 480 predisse anche il giorno esatto della sua morte, l’8 gennaio, due anni prima che avvenisse. Disse anche che poco dopo il suo trapasso tutta la popolazione “romana” avrebbe dovuto lasciare il limes noricum; pregò quindi i discepoli non lasciare lì il suo corpo, ma di riportarlo in Italia.
Nel 488 Odoacre, ormai padrone dell’Italia, sconfisse e diperse i Rugi. Anche il re degli Eruli, come Gibuldo re degli Alamanni e Flacciteo dei Rugi, aveva stimato Severino e cercato i suoi consigli. Nonostate la vittoria, sapeva di non poter più difendere la regione e ordinò l’evacuazione dei romani oltre le Alpi. Come Severino aveva previsto e richiesto, le sue spoglie viaggiarono pertanto assiene ai profughi che scendevano in Italia. Lungo il cammino, i malati guarivano e i peccatori si pentivano.
Le reliquie si fermarono sul Monte Feltro. Perchè? La permanenza di soli quattro anni indica che si trattò di una soluzione provvisoria in vista di una sistemazione definitiva. L’anno successivo all’intervento di Odoacre nel Norico, l’Italia era stata invasa dagli Ostrogoti di Teodorico su istigazione dell’imperatore d’Oriente Zenone. Per combattere contro gli Eruli, ai Goti si erano uniti anche i Rugi assetati di vendetta; si sarebbero poi stanziati definivamente fra la laguna veneta e il Friuli. La guerra fra i popoli germanici in terra d’Italia durò quattro anni, con sorti alterne e danni incalcolabili, fino alla feroce resta dei conti del 493 a Ravenna dove Teodorico assassinò Odoacre con le sue mani mentre gli Eruli venivano sterminati. In quei tempi tumultuosi, evidentemente l’inviolabile fortilizio fu ritenuto il luogo più sicuro in Italia, la “cassaforte” dove meglio custodire tanto tesoro. Fra l’altro, proprio nella leggenda di San Severino si trova per la prima volta la notizia di un “castron” sulla rupe feltresca. Dove la breve sosta del Santo lasciò tracce durature.
Nel 715 sulla rupe feretrana sono attestati due monasteri: oltre quello dedicato a San Leone appare quello di San Severino. Il nome è rimasto al monte che impervio e aguzzo si erge di fronte a San Leo, oltre San’Igne. E castrum Sancti Severini si chiamava il castello detto anche “Nuovo”, il cui nome sopravvive nella frazione di Castelnuovo: qui è anche oggi l’oratorio di San Severino. Se ne parla per la prima volta XIV secolo; non sappiano se l’antico monastero sorgesse in quel luogo o se, come viene ritenuto più probabile, fosse all’interno della città leontina.
La leggenda tramanda come il viaggio delle reliquie proseguì fino a Napoli. Nel cosiddetto Castello Luculliano Odoacre aveva tenuto prigioniero Romolo Augustolo dopo averlo deposto. Secondo la leggenda sarebbe stata la nobildonna Barbaria, madre dell’ultimo imperatore d’Occidente, a trasformare la villa-fortezza in un monastero da dedicare a San Severino. In realtà la madre di Romolo si chiamava Flavia Serena, tuttavia non era estranea al Norico: suo padre, un altro Romolo, ne era stato comes.
Il biografo Eugippo fu il secondo abate del nuovo monastero. Ma nel 909 le continue incursioni dei Saraceni avevano reso il luogo insicuro. Il monastero fu allora raso al suolo e le reliquie trasferite nel centro di Napoli, costruendo appositamente la grandiosa abbazia benedettina dei SS. Severino e Sossio; quest’ultimo era un compagno di San Gennaro. Vi restarono fino al 1807, quando a seguito delle soppressioni napoleoniche l’arcivescovo Michele Arcangelo Lupoli, nativo di Frattamaggiore, fece traslare i corpi di Severino e Sossio nella sua città, dove riposano tutt’ora. Loro reliquie sono anche a Striano e a San Severo di Puglia.
In questa località nel 944 fu eretto il duono dedicato a San Severino. Il quale non mancò di elargire i suoi salvifici interventi. Il santo patrono apparve due volte in soccorso della città a lui affidata: nel 1522, assieme a San Sebastiano, per avvertire i cittadini dell’attacco di mercenari saccheggiatori, e nel 1528, quando scacciò l’esercito imperiale apparendo a cavallo con una spada nella destra e una bandiera rossa nella sinistra. Dopo quest’ultimo episodio, San Severino fu proclamato ufficialmente Defensor Patriae e la sua immagine inserita nel gonfalone di San Severo.
(nell’immagine in apertura: San Severino fra due angeli nella facciata della chiesa Matrice di San Saverino Abate a San Severo)