Stando a quanto trapela dal suo entourage, la Befana potrebbe prendere seriamente in considerazione l’eventualità di bypassare quest’anno il cielo d’Italia. Pare vada infatti ripetendo: “Ma cosa ci vado a fare? Non hanno bisogno di me, c’è già la Meloni.”
Evidentemente il riferimento non è alla sembianza facciale della Signor Presidente del Consiglio, che pure talvolta si avvicina a quella della celebre “Miss 6 Gennaio”, ma agli innumerevoli doni che il suo Governo sta portando agli Italiani.
Certo, non possono esserci regali per tutti, ma per tanti sì. In particolare per gli evasori fiscali, grazie soprattutto all’intercessione spirituale del cuore di Salvini; ai trafficanti di capitali; ai pensionati, ma solo se abbienti: agli innamorati del contante sempre e comunque; a chi si arricchisce trasformando in opportunità i drammi generati dall’aggressione simil-nazista di Putin all’Ucraina; all’immondezzaio dei “no vax”, dicendo loro “sulle cautele anti covid e sui vaccini fate un po’ come vi pare” e riammettendo in servizio anzitempo i miserevoli medici negazionisti; a chi in questi anni ha intessuto imbrogli nel mondo del calcio, trasformando in una graziosa “marchetta-premio” a suo favore un quota di quanto ricavato dallo scippo del sostegno economico ai Comuni, annullato in extremis dopo che l’aveva già deliberato all’unanimità l’apposita Commissione Parlamentare, su proposta di Andrea Gnassi.
Per non parlare delle soddisfazioni che il governo Meloni sta annunciando in ambito istituzionale a chi intenda stravolgere lo spirito e perfino manomettere il testo della Costituzione. Qui troneggia l’intenzione di dare all’Italia il Presidente della “Nuova Repubblica Populista”, scelto dalle tifoserie dei governanti del momento, con il mandato di offrirsi a loro come collaborazionista.
Ma il regalo più grosso di tutti “sta nel manico”. Ossia, come non fa altro che ripetere Meloni, perché “questo è un Governo di destra, nato con un programma di destra, per fare scelte di destra”.
Ecco allora comparire un “Ministero dell’Istruzione e (ridicolmente) del Merito” affidato a quel Velditara uscito dalla scuola razzista di Gianfranco Miglio, nemico di tutti i diritti civili osteggiati dai santi inquisitori di “Pro Vita”, in primis le “Unioni Civili”. Uno che ha inoltre fatto ridere mezzo mondo confezionando per Salvini un libro di denuncia del pericolo immigrazione, intitolato (non ridete) “L’impero romano distrutto dagli immigrati”.
Sulla stessa linea reazionario-oscurantista ci sono tre signore ministre. C’è Marina Elvira Calderone, che considera un affronto la richiesta del salario minimo per chi lavora. C’è Eugenia Roccella, che volendo far dimenticare, prima di tutto a se stessa, il suo passato di radicale (addirittura candidata al Parlamento) e leader femminista, oltreché di autrice del libro “Aborto: facciamolo da noi”, tenta di assomigliare ogni giorno di più a Madre Teresa di Calcutta. C’è Daniela Santanché (nota anche come “Santanchi?”), la labbro-siliconata titolare del Turismo che presto verrà a raccontarci come anche la nostra Riviera debba diventare un lussuoso e assolato salotto-bene, ad imitazione della spiaggia blasonata di cui è comproprietaria con quel sintattico-labile di Flavio Briatore.
Al Viminale Piantedosi, detto il “replicante Matteo”, scalda ogni giorno la sedia in attesa che gli arrivino imbeccate dal “Matteo originale”, il quale passa la sua sconsolata vedovanza dal Ministero degli Interni giocherellando in quello delle Infrastutture con i lego di ponti e cavalcavia.
L’ultima trovata è un concentrato di infame crudeltà verso i disgraziati che tentano di fuggire via mare da guerre e fame.
D’ora in poi una nave ONG, pena multa salatissima e sequestro dell’imbarcazione, potrà effettuare un solo salvataggio per volta. Caricati a bordo i naufraghi, dovranno poi essere torchiati a dovere, chiedendo a ciascuno di loro identità, provenienza e ragione di quella traversata. Se nel restante tragitto verso il porto designato – meglio se il più lontano possibile – la nave incontrasse un altro naufragio, il comandante si limiterà a dedicare a chi stia affogando un “pater-ave-gloria”, o in alternativa una “requiem aeternam”.
Qualora la nave ONG si trovi invece di fronte a due barconi che affondano contemporaneamente, il comandante lancerà una monetina per sapere chi debba essere salvato e chi no.
Ma il più bello la destra ce lo deve ancora far arrivare: “La Giornata (che fa rima con stronzata) dei Figli d’Italia”.
A dire il vero La Russa e la discepola del Rauti di Salò avrebbero voluto chiamarla “Giornata dei figli della lupa”, mentre il reverendo Pillon avrebbe preferito “figli di Maria”, oppure “della provvidenza”.
Ma almeno questa comica trovata un merito l’avrà: portare dentro un unico contenitore patriottico i tanti figli “sottomultipli” di qualcosa o di qualcuno che ogni giorno ci capita di nominare.
Pertanto non più figli dei fiori, figli di un dio minore, figli di buona donna, figli di nessuno, figli di papà, figli del peccato. Presto confluiranno tutti sotto l’egida dei Figli d’Italia. Tranne per la verità i nostrani “fiul de pori sugamen”, perché qualche giorno fa l’aggrovigliato mentale che funge da ministro della cultura è stato perentorio: «Usare parole straniere è snobismo radical chic».
Nando Piccari
Post Scriptum
Alla domanda se festeggerà il 25 aprile, Giorgia Meloni ha dovuto rispondere con un ermetico e scocciatissimo sì. Vedere il post-neofascista Presidente del Consiglio omaggiare la Resistenza insieme ai partigiani, credo sarà un po’ come immaginare Mattarella che il 27 ottobre festeggi a Predappio la Marcia su Roma.