Dodici racconti contro le certezze della vita
15 Maggio 2017 / Paolo Zaghini
Stefano Lunedei: “Come cinque stagioni” – Italic.
Devo confessarlo: mi sono divertito a leggere questa opera prima di Stefano Lunedei, riminese, insegnante di inglese nelle scuole superiori. Precedentemente aveva edito presso Raffaelli (fra il 2000 e il 2012) quattro volumi di poesie.
Le pagine di quest’ultimo volume sono fortemente ironiche, al limite del surreale, ma contemporaneamente in grado di far riflettere sulla tragicità della vita. Come dice la bandella del libro: “Partendo dalla realtà quotidiana o comunque da situazioni apparentemente ‘normali’, la narrazione procede veloce verso esiti immancabilmente insospettati, o insoliti, e anche nei racconti più ‘drammatici’ il profilo è quello della leggerezza e del gioco psicologico, più o meno velato”.
Non spaventi questa descrizione: lo ripeto il testo è piacevolissimo, di amena lettura, di abile narrazione. I dodici racconti, tutti con lo stesso incipit (“Si svegliò con uno strano formicolio al braccio”), aprono però dodici storie diverse in cui alcuni personaggi sono presenti più di una volta.
Ci sono gli appartenenti ai Mufloni Assetati: “un gruppo di amici ormai più vicini alla mezz’età che alla giovinezza, che ogni anno, cascasse il mondo, si concedevano una tre giorni enogastronomica estiva sui monti, con le moto. Le prerogative per essere Muflone erano semplici: non potevi essere femmina, astemio o scooterista”.
Poi c’è Filo, “un meraviglioso esemplare di gatto maschio fulvo”, che vive “con Meg, un’animalista vegana, che mi adora. Come biasimarla. Considerata la razza, anche lei non è male, un po’ stramba, forse, con la sua fissazione a non mangiare ‘cadaveri’, come li chiama lei. Però è sempre pronta a gettarsi nella mischia per i più deboli, cioè noi animali, e quindi la mia stima è assoluta”.
E Due Tiri, un giocatore sfortunato in fuga: “Viveva sopra una panchina dei giardinetti, di fianco all’edicola. All’inizio, lo avevano guardato come un pericoloso barbone ubriaco – per via dell’onnipresente bottiglia di birra – ma poi, a poco a poco, avevano capito che era inoffensivo, non chiedeva l’elemosina e, soprattutto, era gentilissimo con le persone. Ben presto divenne benvoluto da tutti, e lo consideravano soltanto un giovane un po’ bizzarro, di buona cultura, che stava attraversando un brutto periodo”.
Ed ancora Franco, professore di lettere al Liceo classico: “Parlava molto con se stesso perché, a parte le mattinate scolastiche, non frequentava il mondo e viveva da solo. Aveva ormai sessant’anni ma ne sentiva cento. Non apprezzava nessuno, non sopportava nessuno, non voleva nessuno”. Aveva stilato e affisso nella sala insegnanti un proprio decalogo: il decimo punto recitava “più anni d’insegnamento accumuli, più pensi a Erode come a un filantropo”.
Nitro “ha 89 anni e mezzo, la vita è una prigione. Sono pronto a partire: fragorosa e sbalorditiva fregatura è l’esistenza. Non conosco più nessuno, vedo poco, sento meno, ho male dappertutto”.
Dumbo invece era “uno dei capi del tifo cittadino e per novanta minuti più recupero, si trasformava in un barbaro dagli istinti incendiari. Poi tornava il dolcissimo maestro che i bambini a scuola chiamavano Dumbo, perché ogni tanto faceva l’elefante, scarrozzando sulla groppa tre o quattro pargoli alla volta, in mezzo all’aula”.
Ed infine Orso “un insaccato ovale di più di cento chili, con sguardo bovino” che sta assieme a Maria che sembra “un tavolo basso, assemblato al buio, sormontato da una testa che persino Picasso avrebbe disapprovato. Nel complesso, tra i vertebrati, una delle cinque coppie più brutte del mondo”. Per magia (in realtà per tocco di una mosca) L.F.D.M., ovvero Sonja la modella italo-croata chiamata La Fine del Mondo (da cui l’acronimo sopra), si innamora di Orso.
Ognuna di queste storie ha una fine tragica: il leader dei Mufloni si suiciderà; Filo commetterà un terribile errore per difendere la sua padrona: rivelerà agli uomini la sua capacità di comprendere e di parlare la lingua degli umani; Due Tiri dovrà affrontare la morte e decidere se vale la pena di riprendere a vivere; Franco ‘scoppierà’ e armato di “due pistole puntate verso la propria testa”, “in mezzo a urla di terrore e occhi sbarrati, premette i due grossi grilletti, e si spruzzò d’acqua entrambe le tempie”; Nitro ha sempre 89 anni e mezzo, la sua vita è ancora una prigione, “ma per l’ultima volta: stanotte passerò tra le sbarre. Addio, e tante belle cose”; Dumbo, dopo una tragica rissa con i tifosi, adesso entra in campo da basket seduto: “il basket in carrozzina non è molto diverso da quello per ‘anime lunghe’: agonismo e competizione sono la regola, e ogni tanto il pubblico assiste ammutolito a dei pericolosi cappottamenti”; ed Orso, passato l’effetto magico della mosca e svanita ogni illusione su L.F.D.M. è costretto a tornare sulla terra: “riprese a singhiozzare, maledicendo il giorno in cui non aveva iniziato a fumare”.
Come dice Meg la vegana: “Qualunque cosa, ma non ci limiteremo a esistere”. Qualunque cosa? I protagonisti di Lunedei ci testimoniano che qualunque cosa è possibile pur di non naufragare nelle cosiddette, spesso false, certezze della nostra vita.
Paolo Zaghini