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Prima del “liscio”, i balli nella vecchia tradizione della Romagna


14 Agosto 2017 / Paolo Zaghini

Il “liscio” (con tutto quello che questa parola comprende) si può amare o no. Ma per la nostra terra esso ha rappresentato un fenomeno culturale importante. Questo libro ci fornisce tutte le informazioni disponibili sui balli in Romagna prima del “liscio”, ma poi inevitabilmente finisce per affrontare anche  i temi legati a questa musica. Eraldo Baldini è un antropologo culturale, mentre Susanna Venturi è una etnomusicologa. Con le competenze che entrambi hanno riescono a dare ai lettori un quadro complessivo della storia e della musica della Romagna degli ultimi  secoli. Una lettura appassionante non solo per gli addetti ai lavori, ma per tutti coloro che amano conoscere la storia culturale della propria terra.

L’etnomusicologo Stefano Cammelli già nel 1978 scriveva: “Nel volgere di pochi anni la vita culturale e musicale delle popolazioni contadine affrontò rivolgimenti di grande rilevanza i cui effetti sono ancora avvertibili. Gli strumenti musicali un tempo popolari, le arie e le musiche che avevano fino a quel momento caratterizzato le feste contadine vennero dimenticate ed abbandonate per cedere il passo alla nuova moda del tempo. Il valzer, la polka e la mazurka divennero balli popolarissimi. Strumenti e repertori musicali frutto di lenta evoluzione uscirono per sempre dalla tradizione popolare per diventare episodi marginali”.

E prosegue Franco Dell’Amore, altro studioso della storia musicale romagnola: “La musica da ballo romagnola ha origine nella seconda metà dell’Ottocento dall’imitazione dello stile dei valzer, polche e mazurche mitteleuropei, dai ritmi di danza presenti nelle operette francesi. Una musica quindi che non ha nessun legame con il patrimonio di balli folclorici presenti sino a quel momento in Romagna (trescone, saltarello, manfrina, ecc.)”.

I vecchi balli nella società contadina si svolgevano soprattutto nei giorni di Carnevale, in occasione delle sagre patronali e paesane e delle fiere che si tenevano nelle varie località, e nei momenti di chiusura dei più importanti raccolti e lavori agricoli. Balli questi ultimi che si svolgevano soprattutto sulle aie e nelle case coloniche. “Il ballo popolare ha spesso spaventato il potere, da quello civile a quello religioso, preoccupato che nei ritrovi danzanti, occasioni collettive e sfrenate d’incontro, potessero allignare i germi della laicizzazione, della corruzione della morale, della libertà dei costumi sessuali e financo della rivolta”. La Chiesa (che in Romagna ha comunque a lungo coinciso col potere politico) ha condotto per molto tempo una battaglia contro il ballo, e soprattutto contro i nuovi balli di coppia che si affermarono verso la fine dell’Ottocento.

In un articolo del 1925 a firma David sul periodico “La Riviera Romagnola” veniva descritta l’esecuzione di uno di questi balli: “Nei balli dei nostri vecchi era proibito l’abbracciarsi; si ballava a coppie distaccate, e ad un certo punto, dopo giri, salti e minuetti, la donna gettava la pezzola che veniva presa, per un’altra punta dall’uomo e si teneva sopra le teste, mentre sotto si moltiplicavano i così detti ‘prilotti’, finchè la pezzola si attorcigliava come una fune”.

Gli strumenti più usati dai suonatori sono l’organetto e la chitarra, talvolta il violino. Si suonava per il ballo senza appoggiarsi a un testo musicale scritto, nel solco di una pratica tramandata oralmente di generazione in generazione. In un saggio di Paola Sobrero su “Romagna arte e storia” (n. 75/2005) vengono elencati i balli più esercitati: “Sino alla metà dell’Ottocento i balli contadini più in voga erano il ‘trescone’, dal carattere prettamente romagnolo, la ‘manfrina’, la ‘padvanela’, la ‘furlana’ e il ‘bergamasco’, che si eseguivano a coppie staccate, con giri, salti e minuetti. C’erano poi dei balli particolari, che abbinavano la musica e la danza al gioco: erano i balli cosidetti della scranna e dello specchio, della mela e del fiasco, dei gobbi e dello schioppo, fra i più in voga il ballo del fiore”.

Nella parte centrale del libro gli Autori elencano una sessantina di vecchi balli, riportandone la storia, la documentazione inerente e l’eventuale trascrizione musicale. Un lavoro complessivo di documentazione prezioso.

Negli ultimi decenni dell’Ottocento arriva poi il liscio romagnolo con i suoi tre balli fondamentali: valzer, polka e mazurka. Si abbandonano i balli di gruppo e si passa alla danza di coppia chiusa. Il creatore del liscio romagnolo è Carlo Brighi (1853-1915), detto “e’ Zaclèn”. Con la propria orchestra suonò ovunque in Romagna i ballabili da Lui scritti (quasi 1.200). E poi arriva Secondo Casadei (1906-1971) che  “crea il genere romagnolo e innesca una forte accelerazione al processo di folklorizzazione fino a quel momento latente. Egli ‘rappresenta’ la Romagna che diviene un luogo ideale”. Casadei definisce lo ‘stile romagnolo’, ne definisce i caratteri tipici: “tempi veloci, brillantezza strumentale, stile staccato e puntato del clarinetto, cantabilità ‘portata’ del saxofono, flessibilità ritmica caratterizzata da un sottile equilibrio di trattenuti e leggeri accelerati, predominanza di ritmi puntati e gioco del ‘rubato’. Il tutto riassumibile in un certo ‘swing romagnolo’”. Del resto i brani scritti da Secondi Casadei negli anni trenta e Quaranta rappresentano il cosiddetto “vero liscio”. Poi il nipote Raoul a partire dagli anni Sessanta imboccherà la strada del successo “portando fino in fondo la folklorizzazione e la commercializzazione del liscio”.

Negli anni Settanta si assiste ad una proliferazione di orchestre: è questo il periodo più fecondo del liscio romagnolo. La crisi odierna deriva “da una semplificazione sempre più marcata del repertorio e ad una sua standardizzazione impoverita”. Un liscio romagnolo impoverito, ridotto ad un repertorio di ballabili ormai senza più specificazioni stilistiche e territoriali.