Noi del bar Tricheco, in una Rimini piena di speranze
18 Marzo 2018 / Giorgio Giovagnoli
Per un gruppo di amici, una trentina circa, quello che oggi si chiama Bar Tricheco (ma per poco, perché viene demolito in questi giorni), negli ultimi anni ’50 e nei primi anni ‘ 60 era il Bar Zamagni, poi gestito dai fratelli Canaletti: Gilberto (Cibiski) e Nevio (Gatto Rosso).
Perché allora, tutti e trenta, ci chiamavamo e continuiamo a chiamarci con un soprannome. Io ero Triple e per gli amici di allora sono ancora Triple. Dopo il 1962 scelsi un’altra strada, come capita a tutti nella vita. Fui catturato dall’impegno politico, dalla militanza, come si diceva allora, ma anche dallo studio e dal lavoro. Del resto in quel gruppo io ero l’unico che parlava di argomenti politici, ma la discussione finiva quasi subito perché agli amici non gliene fregava niente.
Come dicevo, ognuno scelse la sua strada, ma nessuno si perse per la strada che aveva scelto e tutti si affermarono nella vita, chi in un modo e chi in un altro. Un bel dato statistico! Mi sono chiesto spesso il motivo di questo spaccato positivo delle nostre vite e dei nostri destini.
I primi anni ’60 furono gli anni del “Boom” economico e chi aveva scelto di non studiare aveva trovato subito un lavoro: o nell’attività famigliare o per proprio conto.
Ma il motivo per cui nessuno si perse per strada è che fummo toccati dalla fortuna. Dico fortuna, perché la droga non sapevamo allora cosa fosse. Pochi anni dopo il corpo e la mente di molti giovani furono devastati dalla “scimmia”.
Negli anni successivi ci si incontrava per strada, con alcuni abbastanza spesso, di altri si erano perse le tracce. Venivo sollecitato sempre più spesso perché scrivessi una lettera a tutti per ritrovarci una sera in un ristorante cittadino. Poiché le insistenze si facevano sempre più pressanti scrissi quella lettera e con Giuseppe Canducci, (Geppe o Très Joli e poi Martelloni) stilammo l’elenco degli amici, facendo attenzione di non dimenticarci di qualcuno.
Ecco alcuni brani di quella lettera che esprime gli stessi sentimenti che provo ora.
“Ciao a tutti
riconoscerete nelle fotografie, allegate in fotocopia, alcuni amici con i quali abbiamo passato insieme diversi anni in quel Bar della Vecchia Circonvallazione davanti alle vecchie carceri (il Castello Malatestiano) dove ci siamo ritrovati alla fine degli anni ’50 e nei primi anni ’60… A parte qualche incontro, occasionale, diversi di noi non si sono più visti da molti anni. Fortunatamente “siamo ancora tutti in piedi”. E allora perché non ritrovarci insieme per una rimpatriata? …Il nostro incontro vogliamo che sia un momento per riannodare i fili di un legame affettivo che non si è mai spezzato……”
Seguiva poi l’elenco di tutti gli invitati con i loro soprannomi.
L’incontro era stato fissato per il 7 marzo 1981 al Ristorante la Bicocca di “Pelo” Sorbini. Gli feci presente che gli invitati erano 30 esatti, ma non avendo chiesto conferma, nessuno avrebbe potuto saper in quanti saremmo stati. Chiesi a Sorbini se volesse rischiare, perché magari potevamo essere sì e no in dieci. Accettò.
Io e Geppe andammo mezzora prima, trepidanti, perché avevamo il timore di un fallimento.
Cominciarono ad arrivare i primi, poi i secondi, poi i terzi e l’agitazione mia e di Geppe diminuiva ad ogni arrivo.
Arrivarono in 28. Ne mancavano due: Alfredo Aureli (Dedo) che era in Brasile per la sua SCM. Ci inviò un telegramma. Era anche lui con noi. Tino Santolini (l’Americano) stava festeggiando il suo secondo matrimonio al Caffè delle Rose e lasciò lì la nuova moglie, i famigliari e gli invitati e ci raggiunse alla Bicocca. Offrì champagne. Non per niente lo chiamavano l’Americano. Qualche maligno disse che quello champagne poi lo pagammo noi, perché ad un certo punto tornò dalla sua amata al Caffè delle Rose e sicuramente… se ne dimenticò.
Quella prima rimpatriata ci catturò tutti e quando ci salutami l’imperativo categorico fu: ”Ci dobbiamo vedere anche il prossimo anno”. Anche perché ci dimenticammo di due amici: Giorgio Casalboni, Ciacarina, e Sergio Zagaglia e’ Frutivendul, frutta e verdura all’ingrosso.
Ci sentivamo tutti in colpa per questa mancanza, soprattutto io e Geppe.
L’imperativo categorico fu rispettato e l’anno dopo organizzammo da Tonino Al Lurido la seconda rimpatriata e poi la terza qualche anno dopo ai Cavalieri al Mare, il ristorante di Gilberto. E poi nel 1988 decidemmo che alla rimpatriata partecipassero le compagne della nostra vita. Ci incontrammo ancora una volta al Ristorante Cavalieri al mare. L’ultima che facemmo, credo prima del 2000 ce ne tornammo nel ristorante di Gilberto.
Ci sarebbe da scrivere un libro su quegli anni perché furono anni pieni di speranze, di ingenuità, di generosità, di vera voglia di vivere, di vera amicizia e rispetto, al di là di della nostra appartenenza sociale. Alcuni di quel gruppo non ci sono più, “sono andati avanti” come dicono gli alpini quando muore uno di loro.
Ci hanno lasciati per sempre: Gilberto Feligioni Liborio, Libo; Gilberto Canaletti Cibiski; il mio omonimo Giorgio Giovagnoli, il Professore dove andavamo un po’ tutti a comprare le scarpe nel suo negozio di via Sigismondo; Ramberti Luigi, Netto, rappresentante di dolciumi; Sergio Zavaglia, frutta all’ingrosso; Sandro Angelini, il Geometra; Cannizzaro Bertangelo, Pal Joy, meccanico; Pazzagli Ugo quello del distributore sotto l’enorme platano di piazza Malatesta.
Nessuno di noi se la sentì di parlare di altre rimpatriate.
Adesso ci vediamo sempre di meno e ci siamo persi.
Ci vediamo ormai solo ai funerali.
Così va la vita, cari amici di quel piccolo bar.
Con la sua demolizione, passando di lì, non ci ricorderemo più di quel piccolo bar, e così ci dimenticheremo di quegli anni e della nostra stupenda gioventù.
Giorgio Giovagnoli Triple