Perché l’Università della Terza Età di Rimini ha voluto intitolarsi a Sigismondo
15 Ottobre 2018 / Paolo Zaghini
Rimini è una città che non finisce mai di stupirti. Nascoste fra le pieghe cittadine trovi associazioni di ogni tipo, che si occupano di problemi sociali, sportivi, culturali, sanitari. Realtà che solo raramente finiscono sulle pagine dei giornali, anche se con la loro presenza e attività rendono migliore la qualità della vita di tutti noi cittadini.
Fra queste metterei anche la Università per la Terza Età “Sigismondo Malatesta” di Rimini, nata oltre trent’anni fa (nel 1985), che ha mandato in stampa questo volumetto in cui Bianca Orlandi ne ripercorre la storia.
L’UTE nasce nel corso dell’estate 1984 in spiaggia, sotto l’ombrellone, grazie un gruppo di amici innamoratisi dell’esperienza di Roma, raccontata dalla loro amica marchesa Fulvia Ripa di Meana. L’atto costitutivo e lo Statuto sono approvati il 6 settembre 1985 e “nell’anno accademico 1985-1986 la nuova creatura emetterà i primi vagiti. Non sarà un generico circolo cultural-ricreativo destinato agli sfaccendati di una certa età, ma una istituzione composta da soggetti attivi impegnati in un programma ambizioso, volto alla soddisfazione di interessi artistico-culturali molteplici”.
Motore della realizzazione del progetto è il funzionario di banca Luciano Maccaferri, coadiuvato da Domenico Manaò, Vito Stigliani, Guido Bambini, Severino Baioni. Primo Presidente sarà Manaò (per otto ani sino al 1993). A Lui seguiranno alla Presidenza Maccaferri, Athos Lazzari, Guglielmina Albanesi, Gianfranco Lisi, Luigia Costantini e, dal dicembre 2013, la prof.ssa Lia Trebbi, ex Preside.
Renato Piccioni, nel 1997, fonda l’house organ dell’UTE riminese, il mensile “Noi Sempreverdi” che “vuole stimolare la partecipazione degli associati pubblicando i loro testi poetici, narrativi, autobiografici”.
Le Università per la Terza Età sono diffuse in tutto il mondo e raggruppano oltre 125 milioni di iscritti. Esse sono presenti nelle principali città italiane. La sede centrale internazionale è a Bruxelles.
Secondo lo Statuto (presente in appendice al volumetto) l’UTE vuole, fra tante altre cose, che i “non più giovani” rimangano protagonisti e capaci di mantenere vivi i legami fra loro con le nuove generazioni; promuove l’educazione permanente degli adulti; valorizza la cultura e la storia locale; diffonde i valori della solidarietà e della convivenza civile.
Nel corso dei decenni si sono sviluppati intensi, e proficui, rapporti con il Comune e la Provincia di Rimini, le scuole riminesi, il Museo Civico, altre associazioni di pensionati presenti in Città e in provincia.
All’apertura degli anni scolastici sono intervenuti prestigiosi esponenti della cultura italiana, tanto meglio se riminesi: il poeta Mario Luzi, la prof.ssa Maria Luisa Zennari, l’avv. Cesare Rimini, il sen. Sergio Zavoli, il prof. Antonio Paolucci, la stilista Alberta Ferretti, il prof. Paolo Fabbri.
Nei primi anni 2000 l’attività dell’UTE è frenetica, occupando ogni pomeriggio: “oltre alle due conferenze settimanali del martedì (presso la Sala del Giudizio dei Musei Comunali) e del venerdì alla Scuola Media Panzini Borgese, continua nella cineteca comunale Gambalunga il corso del cinema del lunedì condotto dall’architetto Aldo Villani, alla Scuola Media il corso di filosofia con Silvia Bernardi il giovedì, e nella stessa sede, quelli di lingua francese, inglese e laboratorio teatrale con insegnanti vari e in giorni diversi. Vengono attivati anche corsi di informatica, scrittura autobiografica, fotografia, pittura, Qi Gong”.
Il 4 dicembre 2014 l’Assemblea dei Soci, su proposta della Presidente Trebbi, con voto unanime approva di intestare l’UTE riminese a Sigismondo Malatesta, ponendo l’accento sulla “genialità di un eroe del Rinascimento, Signore munifico, intelligente mecenate, cultore delle arti, sfortunato politico”.
Il volumetto riporta alla fine la sintesi delle tre relazioni presentate da Ferruccio Farina, Bianca Orlandi e Oreste Delucca al Convegno promosso dall’UTE di Rimini il 21 aprile 2017 e dedicato a Sigismondo Malatesta.
Farina nel suo intervento (“Un Papa per nemico. La fama di Sigismondo Malatesta e la campagna denigratoria di Pio II Piccolomini”) ci ricorda che la fama di Sigismondo “più che su avvenimenti e fatti reali, è basata sulle campagne diffamatorie e persecutorie messe in campo contro di lui da Pio II nei sei anni del suo pontificato”.
“In meno di 20 mesi, tra il novembre 1460 e il maggio 1462, scatenò contro il signore di Rimini quattro scomuniche, una requisitoria con una valanga di accuse infamanti degne della fantasia del più spietato inquisitore, e un processo senza prove e senza difesa”. Pio II accusa Sigismondo di essere “lussurioso, incestuoso, stupratore, crapulone, efferato assassino, uxoricida, fraudolento, ladro, bugiardo, infedele, spergiuro, avaro, ingordo, superbo, presuntuoso, ambizioso, tiranno dei suoi popoli. E, soprattutto, di essere eretico, bestemmiatore e disprezzatore dell’autorità ecclesiastica”. Condannato a morte sul rogo, l’esito del processo. “Fortunatamente solo in effigie”, vista l’impossibilità di catturarlo. “Certo, Sigismondo ebbe i vizi e le virtù degli uomini di guerra e di potere dei suoi tempi. Ma certamente non fu neppure il mostro del male come la leggenda, di cui Pio fu l’iniziatore, ancora lo racconta”.
Invece Bianca Orlandi racconta “Le donne di Sigismondo”: le tre mogli (Ginevra d’Este, Polissena Sforza, Isotta degli Atti), ma anche l’amante Vannetta de Toschi e la madre, amante del padre Pandolfo III, Antonia da Barignano di Brescia.
Ed infine Oreste Delucca ci racconta de “La corte di Sigismondo Pandolfo Malatesta”, formatasi negli anni del nascente “Umanesimo”, ovvero “la rivalutazione dell’uomo che ora veniva posto al centro del mondo. L’uomo padrone del proprio destino, capace di superare le bassezze della materia e di elevarsi verso il divino attraverso l’amore e la bellezza”.
E ancora una volta scorrono i nomi dei grandi artisti e letterati presenti a Rimini, ma anche, grazie allo “scavo” archivistico di Delucca, numerosi nomi di riminesi che frequentavano la Corte di Sigismondo. Con la sua morte la Corte finisce, si disperde. “Tuttavia quella gloriosa stagione non è passata invano. Sigismondo ha subito una pesante disfatta materiale, ma ha ottenuto la vittoria cui ambiva soprattutto. Ha vinto l’oblio; ha raggiunto la fama e l’immortalità. Tutto quello che è scaturito dalle menti della sua corte e dalle mani dei suoi artisti è ancora vivo e presente; dopo seicento anni ancora ci interroga e ci stimola”.
Paolo Zaghini