Ivo Lotti, il partigiano che fondò l’Unipol
27 Ottobre 2018 / Paolo Zaghini
E’ sempre difficile trovare in un libro quel che cerchi, pensando che ci sia. Ed è quello che mi è successo sfogliando il volume “Fronte di sangue sulla collina. San Lorenzo in Correggiano, settembre 1944” (Il Ponte, 1994) a cura di don Giovanni Tonelli. Cercavo notizie sul GAP dei giovani del luogo, uno dei più attivi nel riminese fra la fine del 1943 e il settembre 1944. Invano, neanche una parola o una citazione.
Invece un bellissimo articolo di Vincenzo Mascia, “Arco d’Augusto: 10 maggio 1944” (in Rimini Oggi, n. 18, 30 luglio 1961), mi fornisce tante informazioni su questi giovani che vivevano in questa frazione del forese del riminese, alle pendici delle prime colline verso Coriano.
Fu uno di questi, Ivo Lotti (nato il 6 aprile 1926), che cercò con insistenza alla fine del 1943 contatti con i responsabili della Resistenza riminese.
Lotti era il figlio maggiore (erano tre fratelli) di un ferroviere, Eugenio, trasferitosi in Eritrea dopo aver abbandonato la famiglia (è sepolto ad Asmara). Fu allevato, Lui e i fratelli, con grandi difficoltà e tanta miseria dalla madre Adelaide. Studiò sino alla quinta elementare e poi trovò lavoro come apprendista meccanico di biciclette.
Cercando collegamenti con la Resistenza trovò Cesare Tombesi (1920-1977), partigiano della 29. GAP, e quest’ultimo organizzò un incontro in un campo di granoturco con Lotti. All’incontro parteciparono “Giulio” di Ravenna, commissario politico, Carlo Caldari (1915-1988), l’armiere della 29. GAP, le due staffette Adriana Neri (“Marga”) (1917-1964) e Ulitta Dalla Motta Canaletti (“Liliana”) (1909 – 1992).
Racconta Mascia: “Per curare un giovane che si presentava senza riserve, a 18 anni, con il solo desiderio di fare qualcosa, di dare un suo contributo alla lotta di liberazione, ne andarono in quattro. Questa fu la prima meraviglia di Lotti che in un certo senso si sentì qualcuno. Quel giovane che stava in ascolto, risoluto, sicuro di sé, ispirò fiducia. Infatti si mise subito all’opera e in pochi giorni riuscì a reclutare tre giovani operai: Silvio Cenci (1920-1944), Ivo Semprini (1924-2003) e Armando Pruccoli (1922-1992). I quattro, così, formarono un gruppo d’azione. Non era difficile nella zona di S. Lorenzo in Correggiano stabilire dei contatti con i giovani”.
Prosegue Mascia: “La prima preoccupazione del gruppo fu quella di procurarsi le armi. Non volevano fare solo atti di sabotaggio; per questi si poteva anche fare a meno di armi, ma loro volevano combattere e poi, armati, si sarebbero sentiti più sicuri, più importanti, più uomini”.
Ma di armi da dar loro il GAP riminese non ne aveva. Tombesi, alle loro ripetute richieste, fu chiaro: “Col bastone si fa la pistola, con la pistola si fa il moschetto, col moschetto la mitragliatrice e con questa il cannone”.
“Fu proprio con i bastoni che si procurarono la prima pistola. Sulla strada che passa davanti al cimitero di S. Lorenzo, armati di bastone, Lotti e Cenci disarmarono un maresciallo tedesco che si recava tutti i giorni a ‘Villa des Vergers’, dove stava con una batteria costiera, a bere in un’osteria della Gaiofana. Gli presero una P38. La prima arma. E con questa, successivamente, presero il moschetto”.
Un po’ di tempo dopo fermarono un milite che portava ordini alla batteria di ‘Villa des Vergers’. “Gli portarono via la bicicletta, una pistola Beretta, il moschetto, due bombe a mano e in più la borsa con gli ordini”. Ma il giorno successivo una quarantina di militi rastrellarono la zona alla ricerca dei ‘ribelli’ e, non trovandoli, “se la presero con il più giovane della famiglia Bianchi. Il giovane fu bastonato e portato via”.
“Il grosso delle armi lo ebbero da un certo Imola che proveniente da Coriano trasportò in un sacco due mitra, una Maschinenpistole, una decina di bombe. Fu lo stesso Lotti che faceva il meccanico a riparare le pistole e a provarle. Parte delle armi furono poi inviate all’8.a Brigata”.
“Il gruppo, nella zona, era diventato la dannazione dei tedeschi e dei fascisti. Non c’era giorno che i fili che collegavano le due batterie [quella di Via Ceccarini a Riccione e quella di ‘Villa des Vergers’], che collegavano il Comando non risultassero tagliati in più punti. I volantini di propaganda li andarono a buttare persino nell’accampamento”.
Giovani, sfrontati, coraggiosi.
Purtroppo nel pomeriggio del 10 maggio 1944 Lotti e Cenci si scontrarono con alcuni militi fascisti del battaglione “M” della “Venezia Giulia” all’Arco d’Augusto. Lotti doveva consegnare una bici a Guglielmo Pini (“Mino”) (1911-1996) del GAP di Spadarolo, mentre Cenci doveva incontrare un partigiano di Santarcangelo che lo doveva condurre verso l’8.a Brigata in montagna per continuare la lotta armata.
Vista la giovane età dei due partigiani, due militi in bicicletta, armati di mitra e pistola, si avvicinarono, chiesero i documenti. I due giovani non li avevano ed inoltre entrambi erano armati con una pistola. Cercarono di prendere tempo dicendo che erano operai della Todt e che erano troppo giovani per essere arruolati. Ma i due militi non vollero sentire ragione e li invitarono a seguirli nella caserma della milizia sul deviatore Marecchia.
Distratti i militi dall’arrivo di un furgoncino, i due partigiani invece di scappare fecero fuoco sui militi. Spararono contemporaneamente. Uno dei militi cadde a terra colpito a morte, l’altro solo ferito.
“Lotti e Cenci scapparono, l’uno con la propria bicicletta, l’altro con quella del milite: una bicicletta militare con le gomme piene e il pedale a scatto fisso. Ma il caso volle che le estremità dei calzoni di Cenci si imbrigliassero fra la catena. Dovette fermarsi. Fu allora che lo raggiunsero raffiche di mitra sparate, non si sa bene, se dal militare che era rimasto a terra ferito o dalla pattuglia dei tedeschi che, attratta dagli spari, si stava dirigendo in fretta verso l’Arco d’Augusto. Cenci fu colpito alla testa, mortalmente. Ivo Lotti riuscì a fuggire per continuare la lotta”.
Ho ampiamente ripreso il racconto fatto da quello pubblicato da Vincenzo Mascia nel 1961 (poi ripreso anche in una ulteriore intervista di Mascia fatta a Lotti, “A colloquio con Ivo Lotti – Partigiano”, nel periodico dell’ANPI riminese “Noi c’eravamo” del 25 ottobre 1980), ma esistono altre versioni dell’uccisione di Cenci. A incominciare dal “Rapporto del Commissariato di PS inviata alla Pretura di Rimini e alla Questura di Forlì” in data 11 maggio 1944 dove si sostiene che a sparare, cinque colpi, fu solo il Cenci.
Scrive Amedeo Montemaggi nell’articolo apparso su Il Resto del Carlino del 25 aprile 1964, “Rapporti fra nazisti e fascisti ed i primi scontri con i partigiani”: “i compagni del bersagliere ucciso [il milite fascista Fulvio Floridan, 19 anni, del battaglione “M” della “Venezia Giulia”] vollero vendicarlo e cominciarono ad arrestare e malmenare tutti i riminesi che trovarono per le vie semideserte, portandoli poi nella Montalti”, cioè alla “colonia del fiume”, allora caserma della Milizia sul deviatore Marecchia, appunto.
In una dichiarazione resa da Costantino Tamagnini (1904-1975) il 9 maggio 1945 durante l’istruttoria penale contro Perindo Buratti, gerarca fascista, c’è scritto: dopo la morte di Cenci “fui tradotto nelle carceri di Rimini, o meglio alla colonia Montalti dove Tacchi aveva allestito una prigione per suo conto, nella quale venivano rinchiusi coloro che a parere del Fascio non dovessero più circolare. In tale carcere fascista appresi che ero stato fermato in quanto ero ritenuto autore del conflitto anzidetto nel quale era rimasto ucciso un fascista. Il Buratti volle farmi fermare, ritengo, non perché egli sapesse che io mi fossi macchiato di delitto, ma solo perché conosceva la mia posizione di capo dei partigiani di Coriano. Con me furono arrestati altri dieci”.
Tutti questi documenti riguardanti Ivo Lotti e Silvio Cenci sono riportati nel volume di Angelo Turchini “Per la libertà e la democrazia. Antifascismo e Resistenza a Rimini e nel Riminese (1943-1944)” (Il Ponte Vecchio, 2015).
Lotti il 10 marzo 1965 fu insignito della Croce al Merito di Guerra per la sua attività partigiana.
Lotti continuò ad operare sino alla Liberazione, per poi venire inquadrato sino al 1947 nella polizia partigiana. La tutela dell’ordine pubblico venne assunta da squadre di polizia partigiana, quasi per intero composte da comunisti. Quando Mario Scelba divenne ministro degli Interni, il suo primo atto fu quello di procedere all’epurazione della polizia partigiana.
Iscrittosi al PCI nel 1944, terminato l’incarico presso la polizia partigiana, ne divenne un funzionario. Privo di una adeguata istruzione svolse varie funzioni tecniche (autista, tuttofare), ma per la serietà e l’impegno venne inviato alla Scuola di Partito.
Dalla seconda metà degli anni ’50 sino al 1964 fu amministratore della Federazione Comunista Riminese (con i segretari del PCI Augusto Randi e Francesco Alici).
Legatissimo a Francesco Alici, a Zeno Zaffagnini, responsabile dell’organizzazione prima di diventare segretario del PCI riminese nel dicembre 1967, e a Veniero Accreman, Sindaco di Rimini fra il 1957 e il 1958 (nel periodo di non eleggibilità di Walter Ceccaroni) e deputato dal 1963. Zaffagnini nel suo volume “Cara Marta … era ieri. Come sono diventato comunista” (EDUP, 2007) ha dedicato a Lotti un breve ed affettuoso ritratto: “Ivo, una bella persona” (pp. 97-98).
Qualche mese dopo il 4. Congresso della Federazione Comunista Riminese (30 novembre-2 dicembre 1956) fu cooptato nel Comitato Federale. Vi rimase sino al 1965, quando al 7. Congresso (27-29 dicembre 1965) venne invece eletto nella Commissione Federale di Controllo ove rimase sino al 1977. Non eletto all’11. Congresso, venne nuovamente rieletto al 12. Congresso (1-4 marzo 1979) nella C.F.C. Al 13. Congresso (9-12 febbraio 1983) non è eletto, ma venne cooptato nella C.F.C. ad ottobre 1984 (e vi rimase sino a marzo 1986).
Il 14 febbraio 1959 sposò Maria Luisa Gugnelli (1935-viv.) e il 22 novembre 1959 nacque la figlia
Liana.
Nel 1963 la Federcoop di Bologna, insieme ad un gruppo di cooperative bolognesi ed emiliane, acquistò dalla casa automobilistica Lancia il marchio UNIPOL, autorizzato come società assicurativa dal 1961 ma mai attivato realmente sul mercato.
Fra il 1963 e il 1964 nacquero nelle varie province romagnole agenzie UNIPOL. Anche a Rimini. Ma l’agenzia assicurativa costituita all’interno della Federcoop riminese non riuscì a decollare, anzi si trovò in grandi difficoltà.
Il problema finì sul tavolo della segreteria della Federazione Comunista. Su proposta del responsabile dell’organizzazione Zaffagnini venne deciso di affidare le sorti dell’Agenzia UNIPOL di Rimini a Ivo Lotti, in quel momento amministratore della Federazione. Lotti non accolse inizialmente molto bene questo nuovo incarico a cui era stato destinato.
Ma fu così che Lotti divenne agente UNIPOL e la sua storia personale per un quarto di secolo finì per coincidere con la crescita e il successo sul mercato assicurativo di questo marchio legato al mondo della cooperazione e della sinistra.
Nel maggio 1967 fu tra gli organizzatori della prima Assemblea del Gruppo Aziendale Agenti UNIPOL (GAAU) che si tenne a Rimini presso il Grand Hotel. Dopo la seconda Assemblea del GAAU a settembre 1969, svoltasi a Maiori (Salerno), Lotti ne divenne il Presidente, incarico che mantenne per una decina di anni.
Lotti fu agente / proprietario dell’Agenzia UNIPOL di Rimini sino alla fine del 1987, quando questa venne acquisita da ASSICOOP Romagna nel progetto di azienda unica romagnola (Forlì-Ravenna-Rimini) che aveva preso avvio nel 1985. Lotti per un anno mantenne un incarico di consulenza.
Per tutta la vita Lotti fu iscritto all’ANPI, fece parte degli organismi comunali dell’Associazione, e non mancò mai alle cerimonie in ricordo dell’amico e compagno Silvio Cenci presso il cippo a Lui dedicato a fianco dell’Arco d’Augusto.
Ivo Lotti morì il 30 ottobre 1992, a 66 anni, dopo alcuni anni di una dura battaglia contro un tumore allo stomaco. L’amico Veniero Accreman lo ricordò con un bellissimo discorso nel corso della cerimonia funebre civile all’Arco d’Augusto, a fianco del cippo dell’amico Cenci, alla presenza di tanti amici e compagni in un tripudio di bandiere rosse e dell’ANPI . E’ sepolto al cimitero di San Lorenzo in Correggiano, lì dove era nato.
Paolo Zaghini