Ma l’alpino di Rimini Renato Parisano fu eroe vero senza bisogno di retorica
25 Novembre 2019 / Paolo Zaghini
“Grappa – Cima Valderoa 13 dicembre 1917” le lettere di Renato Parisano – Panozzo.
Il medico Bartolo Nigrisoli scriveva alla madre Angiolina, che chiedeva notizie del figlio, in data 30 dicembre 1917: “Il Parisano morì eroicamente il 13 dicembre corr., a Cima Valderba, colpito alla testa: fu visto cadavere e il cadavere è rimasto in mano del nemico”. Il corpo di Parisano non fu mai ritrovato.
Il Tenente Renato Parisano aveva compiuto 21 anni da qualche mese (era nato a Napoli il 2 giugno 1896). Per via della professione del padre, capomusica della Regia Marina, peregrinò nei primi anni di vita per varie città, fermandosi infine a Rimini città natale della madre Guglielma Campana.
A Rimini frequentò le scuole superiori e nel 1913 si iscrisse all’Università di Bologna, facoltà di medicina. Interventista, venne chiamato alle armi con la sua classe nel novembre 1915. Rinunciò a far parte del Servizio di Sanità, e chiese di entrare in un corpo combattente.
Nominato sottotenente venne assegnato al Corpo degli Alpini e destinato al 7° Reggimento, Battaglione “Feltre”. Nell’agosto 1916, come comandante della 64.a Compagnia, è in prima linea, impegnato nei combattimenti sul Monte Cauriol. Qui per oltre un anno combatté coraggiosamente con i suoi alpini.
Dopo Caporetto, il 24 ottobre 1917, il “Feltre” dovette ripiegare e attestarsi sul Monte Grappa, unica punta avanzata del fronte italiano, perno delle due battaglie del Piave. Nel corso di un duro scontro il 13 dicembre 1917 Parisano cadde, in maniera eroica, mentre con i suoi alpini resisteva ad un furioso attacco di truppe tedesche e austriache. Già insignito di una Medaglia di bronzo, in occasione della sua morte venne decorato con una ulteriore Medaglia d’argento al valor Militare.
Nel 1919, per iniziativa della Famiglia, venne dato alle stampe un libro che conteneva molte delle lettere del giovane Parisano alla madre, alla zia, ad alcuni amici. Nella Presentazione redatta dal Gruppo ARIES di Rimini è scritto: da queste lettere “emerge prepotente il suo amor patrio, il desiderio impetuoso di combattere, le sue premure per i sottoposti e nelle quali si descrivono minuziosamente sia la vita di trincea, sia le asprezze del clima, le copiosissime nevicate, i furiosi temporali, il timore dei fulmini, l’incubo delle valanghe, la vita di baracca”.
Alla fine del libro sono raccolte le testimonianze sulla sua morte, compresa la copertina, notissima, disegnata da Achille Beltrame per “La Domenica del Corriere” dell’8 gennaio 1918 (“L’epica difesa degli alpini del battaglione ‘Feltre’ su Cima Valderòa. Finite le bombe a mano, gli eroici difensori affrontano il nemico con sassi e macigni”, nell’immagine in apertura).
La retorica patriottica, l’esaltazione del giovane Parisano eroe, l’odio per il nemico, l’amore per le armi italiane possono essere comprensibili nel reprint di un libro, curato dai familiari, del 1919. Lo è un po’ meno quando queste stesse vengono esaltate oggi nella presentazione del Gruppo Alpino “Capitano Iorio” di Rimini.
Il Gruppo alpino riminese, a 100 anni dalla uscita di questo volume, lo ha voluto rieditare (per i tipi di Panozzo) come omaggio a questo giovane alpino caduto nel corso della Prima Guerra Mondiale, e a cui il Comune di Rimini già nel 1934 aveva intitolato una via nella zona a mare.
Ben venga dunque questo omaggio, visto che in fondo gli alpini riminesi non sono tantissimi: il gruppo dell’ANA riminese conta oggi circa 60 iscritti, divenuti tali solo in previsione della manifestazione nazionale dell’ANA a Rimini per i suoi cento anni dall’8 al 10 maggio 2020. Io, visto che oltre 40 anni fa fui chiamato a svolgere il periodo di leva fra gli alpini di Brunico in Val Pusteria, sono uno di quei 60 alpini riminesi.
Il libro porta una dedica iniziale di Indro Montanelli agli alpini: “Gli alpini hanno infiniti torti: parlano poco in un paese di parolai; ostentano ideali laddove ci si esalta a non averne; adorano il proprio Paese, pur vivendo fra gente che lo venderebbe per un pezzetto di paradiso altrui; non rinunciano alle tradizioni, pur sapendo che da noi il conservare è blasfemo; sono organizzati e compatti, ma provocatoriamente non si servono di questa forza; diffidano dei politici e si rifiutano di asservire ad essi la loro potente organizzazione”. Anche in questo caso molta retorica, ma anche molta verità su che cosa sono stati e sono gli alpini nella storia del nostro Paese.
Infine una breve considerazione sulle lettere di Parisano: sono molto belle, scritte magnificamente, da un giovane idealista interventista convinto della necessità di completare l’unificazione dell’Italia. In esse non vi è retorica (sparsa invece a piene mani nei commenti redatti dalla famiglia), ma la consapevolezza che il Paese viveva un momento cruciale della sua giovane storia. E vi sono descrizioni molto precise delle condizioni di vita dei soldati italiani nelle trincee.
In una lettera al padre il 9 settembre 1916 Parisano scriveva: “Il battaglione, proprio la sera del 27 aveva conquistato, con mirabile slancio, la vetta del monte, ergentesi a 2500 metri, tra le nuvole. E l’aveva tenuta, nonostante i continui contrattacchi, che duravano ancora violenti al nostro arrivo. Appena giunti fummo subito mandati sulla cima, in posizione e lì, per tre ore, sotto una pioggia continua e un furioso bombardamento camminammo per raggiungere la cima. Vi arrivammo stanchi, e bagnati come pulcini e subito assumemmo il comando dei nostri plotoni, rimasti senza ufficiali (…). Così passò la mia prima notte di guerra, insonne e all’erta. I giorni seguenti trascorsero così, tra i bombardamenti e i contrattacchi: si mangiava alla meglio pane e scatolette di carne e si dormiva sul duro sasso, con la mantellina soltanto come coperta”.
Il 22 novembre 1916 in una lettera a casa: “Non c’è cosa più terribile della tormenta in montagna! E’ un uragano di neve, di nevischio che taglia il viso, che mozza il respiro, che fa scomparire i sentieri, che non fa vedere più nulla, che dà una strana impressione di solitudine, che annienta ogni volontà: guai a lasciarsi sorprendere, soli, dalla tormenta: si è sicuri di non andare più avanti! E i nostri soldati che resistono a tanto tormento, che stanno delle ore di vedetta! Non si può concepire, in Italia, quanto soffrano e patiscano gli Alpini, su questi monti!”.
Ma, dopo Caporetto, il giovane Parisano torna l’ardente patriota (in una lettera all’amico Pietro del 19 novembre 1917): “Mai, come ora, mi sono sentito veramente Italiano, e qualunque sia la mia sorte, ne sarò lieto e felice. Sono più che mai fidente nel nostro trionfo e nella nostra riscossa”. E alla zia il 3 novembre 1917: “Siamo pronti a tutto: – di qui non si passa! – è il nostro motto e ne terremo fede: non lo dico per vana millanteria, poiché è convincimento radicato nell’animo di tutti noi, dal più umile soldato, al più elevato ufficiale”.
Paolo Zaghini