HomeCronacaL’ultimo legal thriller dell’ex pm Roberto Sapio fa male e fa pensare


L’ultimo legal thriller dell’ex pm Roberto Sapio fa male e fa pensare


10 Maggio 2020 / Paolo Zaghini

Roberto Sapio: “Effetto collaterale” – Panozzo.

Dieci anni fa l’ex magistrato, oggi in pensione, Roberto Sapio ci coinvolgeva con le sue favole nere tratte dalla cronaca criminale del Riminese degli anni Ottanta (“Rimini nera. L’altra faccia di una città” NdA press, 2010). Uno dei maggiori successi editoriali registrato nel corso degli anni a Rimini con migliaia di copie vendute.

Sapio, classe 1934, è stato pubblico ministero nella nostra città per oltre vent’anni, dal 1969 al 1993, e poi dal 1994 al 1997 ha insegnato Diritto della Unione Europea all’Università di Bologna, sede di Rimini.

Prima di “Rimini nera” Sapio aveva pubblicato altri tre romanzi fra il 1989 e il 1992: “Un caso d’amore” (San Marco Libri, 1989), “Una variabile indipendente” (San Marco Libri, 1990), “Il funzionario. Le emozioni di un militante di periferia” scritto con Ferruccio Giovanetti (Sellino, 1992).

Ora a distanza di tanto tempo la sua penna ci propone questo nuovo romanzo, il quinto, un legal thriller, su un tema caldo come può essere un processo per stupro. Un romanzo giudiziario ambientato a Rimini.

La protagonista è la giovane avvocato (non avvocatessa, termine che rifiuta) Roberta Sangiorgi.
Un giorno riceve in studio la telefonata della ventenne Natascia Spanò che le dice, piangendo, di essere stata violentata dal suo datore di lavoro.

La Sangiorgi assume la difesa della ragazza. E questa decisione consente al magistrato/scrittore molte riflessioni. Compresa una amara valutazione diffusa sulla denunciante, a causa della sua professione, “modella a domicilio” per la casa di moda del suo violentatore, Armando Andreani: “Una ‘puttanella’ in sostanza”.

La Sangiorgi, nell’impostare la propria arringa processuale, riflette amaramente “sulle difficoltà che ogni donna incontra quando rimane vittima di una aggressione sessuale, sui pregiudizi che ancora imperano in questo campo, sull’inadeguatezza della legislazione del processo così come regolato, sulla resistenza dei giudici stessi o almeno di alcuni, a recepire la deposizione di una donna violentata come la deposizione di qualsiasi altra vittima di un reato”.

Parlando con Natascia, prima di avviare tutto l’iter giudiziario, la Sangiorgi è costretta a descriverle la durezza di ciò che potrà andare incontro nel procedere nella denuncia di stupro: “In questi processi, tutti, chi più e chi meno, sono condizionati dal pregiudizio profondo che nella donna, in qualsiasi donna, sonnecchia una puttana. Si tratta della cultura della donna come strumento del diavolo, è la tradizione della donna come oggetto sessuale, è, se vuoi, una maledizione culturale che finisce per colpire tutti, uomini e donne, che avvelena i rapporti, li rende sospettosi, insinceri, acrimoniosi”.

E alla domanda di Natascia, non bisognerebbe fare qualcosa?, risponde: “Certo! Cambiare la testa alle persone, ma è difficile. Le norme sulla violenza, quelle sì, possono essere cambiate. Almeno si eviterebbe alle vittime l’umiliazione che tu stessa stai sperimentando, la violenza che si rinnova ad ogni fase del processo”. Ed esclama: ”Che fatica essere donna!”.

Non so, probabilmente sì, se Sapio abbia mai svolto la funzione di PM in un processo per stupro. Ma sicuramente conosce alla perfezione tutti i meccanismi che lo regolano. Compreso l’uso strumentale, scandalistico, delle versioni fornite alla stampa da chi è costretto a difendersi, come l’Andreani che è ricorso al più ‘capace’ avvocato del foro di Rimini, Alessandro Accardi. “Per gli addetti ai lavori era un giurista forse al di sopra della norma, ma per la nutrita schiera di fans, era più di un avvocato, era un taumaturgico risolutore di guai”.

L’impressione è che la descrizione degli avvocati, dei magistrati fatte nel libro abbiano dei modelli reali da cui Sapio ha attinto: è probabile che qualcuno possa riconoscersi nei personaggi descritti.

Nel suo discorso al processo Accardi non si perita di affermare: “In questi processi, signor Giudice, la legge viene soverchiata, umiliata, dalla capacità tutta donnesca di suscitare emozioni, di atteggiarsi a vittima, dall’abilità di trasformare una sculettante offerta, una sottile provocazione dei sensi, in una brutale aggressione”. L’accusato “va capito, signor Giudice. Egli è la vittima sacrificale, ma incolpevole, della volubilità femminile, dell’ambiguità femminea, di un’avversione per il maschio che rasenta la paranoia: non mi accontenti, non soddisfi il mio desiderio di lavoro, ebbene non ne discuto, ma mi vendico (…). Vogliamo vedere, una buona volta, chi è questa implacabile accusatrice, che cosa ha fatto nella vita, qual è il suo tasso di moralità?”.

“L’industriale Armando Andreani. Egli spontaneamente vi dirà che è un uomo sano, fisicamente e moralmente. Proveremo che è persona stimata e proveremo che è maschio fino in fondo”.

Il dibattimento processuale è devastante per colei che accusa, non per l’accusato. “Gli occhi di Natascia sul punto di piangere testimoniavano la sua disperazione. Non ne poteva più”.
Ma al termine di una lunga giornata processuale, “In nome del popolo italiano”, il Tribunale condanna Armando Andreani.

Una vittoria per la giovane avvocato Sangiorgi contro il famoso avvocato Accardi. Duplice, perché lei giovane praticante presso il suo studio aveva subito un tentativo di violenza sessuale da parte sua, a cui non aveva avuto il coraggio di dare seguito. “Davvero colpevole quell’Andreani? Lui non lo so, Accardi sì”.

Il romanzo di Sapio racconta anche della fine del matrimonio della Sangiorgi, un rapporto col marito ormai consumato e arrivato alla fine, e della difficoltà di avviarsi verso un nuovo amore.

Centoquaranta pagine che si leggono tutto d’un fiato, che ti prendono, che ti fanno pensare e che fanno anche male. Ancora una volta Roberto Sapio ha saputo prendere i suoi lettori e guidarli con grande abilità narrativa lungo un percorso segnato da numerosi colpi di scena.

Paolo Zaghini