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Un Pinocchio disegnato a Riccione


6 Marzo 2022 / Paolo Zaghini

Carlo Collodi: “Le avventure di Pinocchio” Disegni di Anselmo Giardini – La Piazza.

Sul periodico settimanale “Giornale per i bambini” nel 1881 Carlo Collodi (pseudonimo del giornalista e scrittore fiorentino Carlo Lorenzini, 1826-1890) incominciò a far uscire a puntate (dicono per pagare debiti di gioco) il racconto “Le avventure di Pinocchio” che terminò due anni dopo, nel 1883. In quello stesso anno uscì in volume. Da allora il racconto è stato tradotto in 220 lingue straniere, e risulta essere ad oggi la seconda opera più tradotta della letteratura mondiale, nonché la prima tra le italiane.

La storia è nota a tutti: racconta le avventure di Pinocchio, un burattino di legno, scolpito da Mastro Geppetto. Pinocchio è una metafora della condizione umana. Benedetto Croce disse: “Il legno, in cui è tagliato Pinocchio, è l’umanità”.

Per decenni la storia di Pinocchio è stata definita come una storia per ragazzi. Ma la crudeltà e la cattiveria presenti nel libro possono essere tranquillamente rappresentate come un’allegoria della società italiana di fine Ottocento attraversata da profonde trasformazioni economiche e sociali, causa di profondi conflitti in un paese ancora povero, dove la fame non era sconosciuta.

I personaggi principali del romanzo di Collodi sono il protagonista Pinocchio, il “padre” Geppetto, il Grillo parlante, Mangiafuoco, il Gatto e la Volpe, la Fata dai capelli turchini, Lucignolo. Alcuni di questi sono personaggi perfidi, sempre pronti a sfruttare le debolezze altrui, e perfino le autorità come i gendarmi e i giudici, invece di tutelare gli inermi, puniscono e incarcerano gli innocenti.

Un romanzo per ragazzi, si diceva. Ma è vero fino ad un certo punto, anche se Collodi si sofferma molto su aspetti pedagogici come il dedicarsi allo studio, al duro lavoro, al risparmio, all’evitare le cattive compagnie. All’inizio Pinocchio non ascolta ciò che gli dice Geppetto, né presta attenzione alle raccomandazioni del Grillo parlante e finisce sempre per farsi traviare da cattive amicizie e cacciarsi nei guai. Alla fine però le esperienze negative e i buoni consigli della Fata turchina lo conducono sulla retta via: avendo capito l’importanza dello studio e del lavoro, il burattino viene così trasformato in un bambino. Il messaggio di Collodi si basa su un mix di ideali cattolici e mazziniani, fusi con mano felice a disegnare il complesso mondo di Pinocchio.

Lontanissimo dunque dall’essere una semplice fiaba per bambini (anche se i grandi autori di libri per l’infanzia di favole “semplici” ne hanno scritte ben poche).

Alcune battute o personaggi del libro hanno del resto contribuito a creare luoghi comuni usati da tutti: il naso lungo di Pinocchio attribuito a chi mente; il paese dei balocchi come il paese della cuccagna, anche se nasconde in realtà ben altro; “sono fritto” per indicare una situazione senza via d’uscita nata quando Pinocchio sta per essere fritto in padella dal pescatore verde. Oppure Mangiafuoco per indicare un tipo burbero, ma che, sotto sotto, nasconde un cuore d’oro; il Gatto e la Volpe per indicare una coppia di elementi poco raccomandabili; Grillo Parlante per indicare chi si prodiga a dare consigli saggi ma rimane inascoltato.

La mia esperienza di quarant’anni di bibliotecario mi fa dire che sebbene io abbia prestato agli utenti tante volte “Pinocchio”, questi erano quasi sempre adulti. Sulle punte delle dita di una mano le volte che l’ho dato in prestito ad un ragazzino (in ogni caso maschio e mai femmina). E la prevalenza di lettori adulti qualcosa deve significare di come in questi ultimi decenni questo volume sia stato percepito dalla comunità dei lettori.

Del resto le ultime versioni cinematografiche di Pinocchio, come quella diretta da Roberto Benigni nel 2002 o quella diretta da Matteo Garrone nel 2019, ben difficilmente erano rivolte ad un pubblico giovanile. E comunque ben lontane dalla versione animata di Walt Disney del 1940, che contribuì invece a farne una fiaba mondiale per i giovanissimi.

Dall’incontro dell’editore Giovanni Cioria con l’artista riccionese Anselmo Giardini (classe 1952) nasce questa nuova edizione del volume di Collodi: in sole cinquecento copie numerate e firmate da Giardini. Del resto Mauro Matassoni nella Prefazione al libro scrive: “I grandi illustratori hanno in sogno incontrato Pinocchio”. Sono decine e decine gli illustratori, italiani ed esteri, che hanno impreziosito le diverse edizioni del volume.

Le ventisei tavole (cui vanno aggiunti quattro disegni introduttivi) di Giardini, dense di chiaroscuri, spesso finissimo nel tracciato perché eseguito a biro, sono immagini “di elaborato classicismo ed assoluta modernità, senza rischiare l’accademia, la citazione: ogni illustrazione è il risultato della paziente ricerca di ‘quella’ forma” (lo storico dell’arte Riccardo Gresta nel saggio introduttivo). E prosegue: “Trapela da queste immagini una sorta di realismo freddo ma non esente da influenze metafisiche e surreali, in quanto certe immagini sembrano atemporali, strane e stranianti, fuori dal tempo presente, eppure così adatte ai tempi della fiaba”.

E allora, dall’incipit del volume: “C’era una volta … – Un re! – diranno i miei piccoli lettori. No, ragazzi avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno”.

Da 140 anni, in una delle tante edizioni presenti sul mercato editoriale, dunque continueremo a leggere le avventure del burattino di legno Pinocchio. Lo leggeremo, o rileggeremo, da adulti. Ma anche regalandolo ai nostri nipoti perché la favola prosegua.

Paolo Zaghini