Luca Villa: “Abissinia” – Famija Arciunesa.
Riccionese doc, anche se dal 2012 vive e lavora a Ibiza dove gestisce con la moglie una gelateria. Nato nel 1960, Villa a 62 anni ci regala questo splendido libro narrativo, ironico e umoristico, composto da una quarantina di racconti sulla vita e le avventure di un gruppo di ragazzini, fra cui lui, a cavallo degli anni settanta e ottanta nel quartiere dell’Abissinia, l’ultimo lembo di Riccione verso Misano Adriatico.
Racconti scritti durante il lockdown mentre era bloccato in Spagna e presentati inizialmente sui social. Poi Francesco Cesarini, Presidente della “Famija Arciunesa”, gli ha proposto di pubblicarli in volume e nella Presentazione ha scritto: “Le sue pagine diventano un affresco dai colori vivi di un periodo e di una Riccione del passato, ma anche di un momento storico del nostro Paese”.
L’amico albergatore poeta Luca Nicoletti, nella sua non-prefazione, scrive: “I raccontini sono scritti con il giusto e ambiguo equilibrio fra reale e surreale, nonché con qualche nota di costume capace di richiamare l’atmosfera di un periodo che spazia tra gli anni ‘60 e ‘70, quelli dell’infanzia e dell’adolescenza con sconfinamento negli anni ’80, il decennio del cosiddetto secondo boom economico, dell’edonismo, del divertimentificio assunto a icona della Romagna costiera”.
Per Villa “L’Abissinia non è solo un quartiere di Riccione, è un luogo dell’anima, prima ancora che un luogo fisico (…). L’Abissinia degli anni settanta-ottanta è il meridione della Perla Verde, dimenticato da Dio e dai mezzi di trasporto e lontano anni luce dallo splendore luminoso del centro. Terra di frontiera, ultimo confine della cosiddetta civiltà prima del profondo sud riccionese, pericolosamente vicino a Misano e alle Marche, fatto di campi incolti e case popolari abitate da famiglie di comunissimi mangiatori di bambini. Anche il prete aveva paura quando andava laggiù a benedire le case per Pasqua”.
“Ho frequentato il liceo a Riccione negli anni ’70, e in quegli anni dicevano che c’era la lotta politica: comunisti contro fascisti con in mezzo i ciellini. Per la verità da noi era lotta per modo di dire, si facevano delle gran discussioni, qualcuno alzava la voce, al massimo ci si prendeva a parolacce … e alla fine si andava tutti insieme a mangiare un bombolone al carrettino fuori della scuola”. Però tutti volevano sapere da che parte uno stava, e Villa invece rifiutava di scegliere: “Diciamo la verità: ho sempre fatto fatica anch’io a capire da che parte stare, quindi immagino gli altri”.
“Non abbracciavo un ideale, non avevo idee politiche ben precise, non seguivo un leader, avevo come tanti a quell’età più dubbi che certezze; cercavo la mia strada ma quelle già tracciate mi andavano un po’ strette, quindi stavo lì nel limbo. Sospendevo il giudizio, cartesianamente parlando”. Quando nelle discussioni si arrivava a un punto di stallo, io non ho convinto te e tu non hai convinto me, “mi chiudevano la bocca con quella parola, sibilata con disprezzo: ‘Qualunquista’”. Rischiando anche di essere dichiarato fascista, ma fra i “qualunquisti stavo onestamente meglio”.
Ma al di là della politica, totalmente marginale nella vita della banda dei giovani Abissini, quelle che prevalgono sono le storie delle scorribande prima in bicicletta, poi in motorino, ed infine con le utilitarie dei genitori, per le vie del quartiere, gli incontri con personaggi tratti pari pari dal varietà (l’Abissinia “era un quartiere pieno di matti”), la scoperta dell’altra metà del mondo, cioè le ragazze.
A 13 anni saranno i primi appuntamenti con loro a far uscire dal quartiere i ragazzi: “Per noi giovani sbarbatelli dell’Abissinia che al massimo ci spingevano, la domenica mattina dopo la messa, fino al lato sud di Viale Ceccarini, senza mai trovare il coraggio di attraversare la strada, era un viaggio … da affrontare con l’entusiasmo della gioventù ma anche con un sano timore dell’ignoto. Arrivare fino a Viale Ceccarini fu facile, conoscevamo le strade, era casa nostra. Ma da lì in poi … le strade larghe e i palazzi altissimi ci mettevano un po’ in soggezione, ci sembrava di essere in America … anche le automobili ci sembravano più grandi”.
“Fino ad allora i nostri contatti con l’universo femminile si erano limitati alla visione delle pagine della biancheria intima femminile sul catalogo Postal Market, ma col passare degli inverni le cose iniziarono a cambiare. Complice l’iscrizione alle scuole superiori, alcuni di noi si trovarono costretti ad espatriare nella lontana Rimini per buona parte della giornata. All’inizio furono pianti e tragedie greche, ma ben presto scoprimmo che l’esperienza non era del tutto traumatizzante, c’era un piacevole effetto secondario nel vivere la metropoli: si veniva facilmente a contatto con esponenti del gentil sesso di pari età. Ragazze vero, intendo. Non quelle stampate su riviste o viste nei film”.
Ma la vita in banda e per strada aiutava: “è proprio nei momenti di crisi che l’istinto di sopravvivenza dei giovani Abissini, coltivato e affinato dalle mille avventure vissute tra i viali deserti di un quartiere difficile, viene fuori prepotentemente e ti salva il culo”.
Tra tutti i personaggi descritti nel libro, quello che primeggia nelle pagine, sempre presente, è Franchino, bagnino di salvataggio, genio della tecnica fai da te, ma soprattutto “sempre a caccia di turiste tedesche”. Molte avventure lo vedono protagonista, è lui l’amico che sempre ti aiuta ad uscire dai guai.
In fondo i ricordi dell’adolescenza e della gioventù hanno dato vita a grandi romanzi. “I ragazzi della Via Pàl” dell’ungherese Ferenc Molnar pubblicato nel 1907, è ancor oggi uno dei più noti classici della letteratura, per ragazzi e non. Villa ci ha regalato, con i suoi racconti del quartiere riccionese dell’Abissinia, le emozioni e la fatica del crescere di ragazzi che possono essere, per molti versi, di molte altre parti d’Italia.
Gianni Zangheri è andato a pescare nello straordinario archivio fotografico del padre Pico alcune decine di foto che ben illustrano i racconti di Villa.
Paolo Zaghini