Quelle migliaia da Ascoli alla Romagna in cerca di riscatto
2 Ottobre 2022 / Paolo Zaghini
Pietroneno Capitani: “Bussavamo con i piedi. Appunti e immagini di una migrazione. Dall’entroterra ascolano verso la Romagna e la Toscana” – Libri dell’Arco.
In occasione dell’inaugurazione della mostra fotografica “Bussavamo con i piedi”, dedicata ai protagonisti della migrazione dell’entroterra ascolano verso la Romagna, a Rimini sabato 8 ottobre, alle ore 16.00 (presso la Galleria dell’Immagine nel palazzo della Biblioteca Gambalunga), è stato riedito il volume di Pietroneno Capitani, con questo arrivato alla quinta ristampa, per una tiratura complessiva di quasi 5.000 volumi. Un vero e proprio bestseller. La prima edizione era uscita nel 2006, oltre quindici anni fa. La mostra quell’anno fu allestita prima a Bellaria-Igea Marina e poi a Coriano, due dei comuni riminesi maggiormente interessati al fenomeno della migrazione degli ascolani. Poi in questo ultimo decennio la mostra ha girato nei principali comuni ascolani e delle Marche. Per tornare oggi nella città di Rimini.
Stiamo parlando di migliaia di persone che decisero, tra la fine degli anni ’40 e la metà degli anni ’70, di lasciare le loro case a Montedinove, Montalto, Castignano, Offida, Ripatransone e di venire in Romagna (soprattutto a Bellaria, Coriano, Riccione e Rimini). Capitani dà voce a molte di queste persone che raccontano “di un’altra vita che oggi certamente sembra lontana”.
“I miei figli, e i figli dei figli neppure lontanamente riusciranno ad immaginare che vita fosse. Un’esistenza difficile, faticosa, spesso fatta di sacrifici, di accettazione, di sopportazione di soprusi da parte dei potenti, dei padroni, pur di vivere (oggi forse nessuno potrebbe chiamarla vita)”.
Sono due le correnti migratorie degli ascolani verso il riminese: la prima negli anni subito dopo la guerra, nel 1947-48, conseguenza dei durissimi scontri dei contadini con la retriva classe padronale; la seconda, negli anni ’60-’70, più imponente numericamente, causata dall’incremento demografico, nella popolazione dei mezzadri e dei contadini: “I terreni, per secoli lavorati secondo il principio ‘un uomo, un ettaro’, non bastavano più a sfamare le famiglie che crescevano e non ve n’erano a sufficienza di disponibili, liberi per essere coltivati”. In questa seconda fase ha funzionato soprattutto il passaparola: gli ascolani già presenti nel riminese chiamarono parenti e amici. Essi andarono ad occupare i numerosi terreni lasciati liberi dagli agricoltori romagnoli trasferitisi sulla costa a costruire il turismo di massa.
I dati della presenza ascolana riportati nel libro sono fermi al 2006. Ma questi dicono che in quell’anno erano 2.010 i cittadini residenti nel riminese nati in uno dei 73 comuni della provincia di Ascoli Piceno: a Rimini erano 866, a Riccione 277, a Coriano 196 e a Bellaria-Igea Marina 162. Di questi 362 (il 18%) arrivò fra il 1946 e il 1959; 776 negli anni ’60 (il 39%); 348 (il 18%) negli anni ’70. In totale oltre il 75% degli immigrati ascolani giunsero in provincia di Rimini tra i primi anni del dopoguerra e la fine degli anni ’70. Naturalmente a queste cifre dovrebbero essere aggiunti i figli e i nipoti, difficilmente quantificabile, nati nel Riminese: la seconda e la terza generazione.
Capitani ci racconta, anche attraverso immagini e documenti, la situazione dell’agricoltura nell’ascolano, fondata essenzialmente sulla mezzadria. “Era un contratto di associazione con il quale un proprietario di terreni (concedente) e un coltivatore (mezzadro) si dividevano (tradizionalmente a metà) i prodotti e gli utili di un’azienda agricola (podere). La direzione dell’azienda spettava al concedente. Nel contratto di mezzadria, il mezzadro rappresentava anche la sua famiglia”. In uso dal medioevo in poi, sino a quando la legge n. 756 del 13 settembre 1964 vietò la stipulazione di nuovi contratti di mezzadria.
Il rapporto contadino/padrone era interamente sbilanciato dalla parte del padrone che poteva cacciare il mezzadro dal fondo in qualsiasi momento, richiedere giornate ad opera gratuite, regalie varie. “Il contadino-mezzadro aveva un rapporto di subordinazione se non di vera e propria sudditanza nei confronti del proprietario e viveva questa condizione di disagio anche per mancanza di istruzione”. Nella nuova Italia uscita dalla guerra i contadini e le loro organizzazioni, sindacali e politiche, iniziarono un po’ in tutte le regioni a rivendicare il superamento della mezzadria classica, chiedendo “una più giusta ripartizione dei prodotti (almeno il 60% al colono), la ‘giusta causa’ nella disdetta, la durata del contratto, la partecipazione del conduttore alle scelte tecniche della gestione del fondo, la tassa del bestiame a carico del proprietario, la completa abolizione delle giornate ad opera gratuita, la chiusura regolare dei conti e l’assistenza medica, oltre alla richiesta di migliorie delle case”. Il lodo De Gasperi (giugno 1946) tentò di mediare fra le parti in conflitto: Federterra (CGIL) e Confcoltivatori. Ma la dura opposizione del padronato a qualsiasi accordo migliorativo per i coloni scatenò ovunque manifestazioni, scioperi ed episodi di violenza con intervento delle forze dell’ordine. Anche nella provincia di Ascoli Piceno, negli anni 1947 e 1948.
Questa difficile situazione, oltre che la ricerca di condizioni di vita migliori, determinarono la prima ondata di migrazione verso la Romagna. Poi “lavorare la terra in pianura è certamente più agevole e produttivo che farlo in collina e le zone dell’ascolano sono in buona parte collinose”.
I contadini ascolani introdussero in Romagna diverse innovazioni colturali: “Potatura, utilizzazione dei concimi, conduzione della coltivazione della vite, selezione di vari tipi di sementi, capacità di riconoscere i vari tipi di terreno e fare le conseguenti scelte colturali rispettandone la vocazione”. A Bellaria introdussero la coltivazione degli ortaggi, delle insalate, del finocchio e delle patate, utilizzando le capacità di prelievo delle acque per l’irrigazione imparate nella loro terra d’origine.
Nella Presentazione Sergio Zavoli, a proposito delle storie narrate nel libro, scrive: “Crea una certa emozione civile la scoperta di un’umanità semplice, negletta, persino vessata, che ha avuto la forza di arrivare fino a noi”. E Capitani, a conclusione della sua Introduzione al volume: “Nessuno decide di nascere dove in effetti nasce, l’importante è ricordarselo sempre; si è figli della propria terra, a questa si appartiene e ognuno di noi porta con sé un po’ della sua storia. Il risultato di questo mio viaggio è qui. E’ una storia che meritava di essere scritta”.
Paolo Zaghini